sabato 25 agosto 2018

Il Vangelo con commento di domenica 26 agosto 2018.

Levico e la Chiesa del Santissimo Redentore. 
Mangiare il pane, è il significato dell’Eucaristia, la carne, senza poi farsi pane per gli altri, questo non serve a nulla.
Una partecipazione all’Eucaristia nella quale l’amore che viene ricevuto non si trasformi anche in amore comunicato, non serve assolutamente a nulla.

Il Vangelo con il commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 60-69)

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Il commento al Vangelo. 

L’evangelista registra con amarezza come il lungo discorso di Gesù nella sinagoga  di Cafarnao, tutto incentrato sull’Eucaristia, sia stato un gran fallimento. Ridicolizzato dai capi religiosi che non capiscono come quest’uomo parli di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, Gesù non viene compreso neanche dai suoi discepoli.
Scrive l’evangelista che “molti dei suoi discepoli dopo aver ascoltato dissero: «questa parola è dura»”. Il termine tradotto qui con “duro” è il greco ‘skleros’, che significa cioè quello che è insolente, quello che è offensivo. Cos’è questa parola dura?
Anzitutto il distacco che Gesù ha preso dalla tradizione dei padri, mentre i discepoli seguono i padri di Israele, Gesù invita a seguire il Padre, ma poi soprattutto hanno capito, loro che seguono Gesù per ambizione – ricordiamo che lo seguono perché vogliono che Gesù diventi il re del popolo – hanno capito che, se vogliono seguire Gesù, come lui devono farsi dono, devono farsi pane per gli altri. Questo “duro” significa inaccettabile.
E quindi mormorano contro di lui. Hanno mormorato i giudei, mormora la folla e anche i discepoli mormorano contro Gesù.
Allora Gesù dichiara: “questo vi scandalizza?” Lo scandalo è la morte del Messia. Non possono accettare un Messia che vada incontro alla morte e dice Gesù: “se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima?”. La morte era considerata una discesa nel regno dei morti e la risurrezione una salita. Ma per salire bisogna passare attraverso la morte, Gesù passerà attraverso la morte più scandalosa, più infamante, la crocifissione, riservata ai maledetti da Dio.
Ed ecco l’indicazione importante e preziosa che Gesù dà, e l’evangelista ci sottolinea, sul significato dell’Eucaristia. “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”. Cosa vuol dire Gesù? Mangiare il pane, è il significato dell’Eucaristia, la carne, senza poi farsi pane per gli altri, questo non serve a nulla. Una partecipazione all’Eucaristia nella quale l’amore che viene ricevuto non si trasformi anche in amore comunicato, non serve assolutamente a nulla.
Ma Gesù garantisce “le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita”. Chi accoglie questo pane e si fa pane per gli altri, scopre dentro di sé la potenza generatrice di queste parole che sprigionano energie vitali.
“Ma tra di voi - aggiunge Gesù - “vi sono alcuni che non credono”. È il fallimento di Gesù, molti replicano che il suo discorso è duro, molti non credono, addirittura aggiunge “tra di voi c’è addirittura uno che mi avrebbe tradito”. Il fallimento totale di Gesù. Ma Gesù non intende cambiare il programma, anzi provoca i suoi discepoli “che da quel momento”, sottolinea l’evangelista, “tornarono indietro e non andavano più con lui”, Gesù non li rincorre. Gesù è disposto a rimanere solo pur di non cambiare il programma, ma li provoca e dice ai Dodici: “volete andare via anche voi?” Loro seguono Gesù per la propria convenienza, per la propria necessità e non hanno capito che invece per seguire Gesù bisogna proiettare la propria vita per il bene e la necessità degli altri.
“Gli risponde Simon Pietro” – ricordiamo che questo discepolo si chiama Simone, ha un soprannome negativo, Pietro, che gli evangelisti indicano quando è in opposizione a Gesù. Quando viene presentato con il nome e il soprannome significa che questo discepolo da una parte è d’accordo con Gesù e dall’altra no – “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”.
Ecco Pietro, Simone ha compreso che le parole di Gesù che si sono fatte carne in lui sono quelle che comunicano la vita capace di superare la morte. Ma, ecco la parte negativa. “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Il Santo di Dio è un’espressione che indica il Messia della tradizione che è apparso altre volte nei vangeli sempre in un contesto negativo, in Marco e in Luca, in bocca agli spiriti impuri o ai demòni e al Messia dell’aspettativa popolare, cioè quello che avrebbe dovuto restaurare la monarchia, quello che avrebbe dovuto dominare i pagani e soprattutto quello che avrebbe dovuto rispettare e imporre la legge.
Questo è il Messia che Pietro desidera e questo sarà il motivo che lo porterà al suo tradimento.

lunedì 20 agosto 2018

Ponte Morandi, alcune considerazioni schematiche dello stato dell'arte all'epoca e sulla scelta tecnico costruttiva: ma non facciamo di tutta l'erba un fascio.

Tipologie di ponte strallato. 
L'immane tragedia successa a seguito del crollo parziale del ponte, ha scatenato come era prevedibile, molte prese di posizione dei politici: confesso di non averle lette in quanto poco interessanti, mi sono soffermato invece su quanto esposto dai tecnici.

Vi espongo nel seguito la mia opinione sviluppata per punti.

1. La scienza delle costruzioni, negli anni '60, non aveva metodologie di calcolo quali gli elementi finiti, che permettono la verifica delle tensioni puntuali, e non erano disponibili degli elaboratori elettronici (leggi pc) e software per le verifiche strutturali approfondite ivi compresi i fenomeni della sollecitazione a fatica e sismici.

2. Sempre all'epoca non c'era una conoscenza della durata dei cementi e delle metodologie più adatte per impermeabilizzare il cemento affinché il ferro interno non venisse aggredito da agenti esterni con conseguente innesco di fenomeni di corrosione che indeboliscono la struttura portante.

3. Le ipotesi di calcolo probabilmente non prevedevano carichi e frequenze di passaggio come quelli attuali e d'altronde era difficile immaginarlo.

4. La scelta costruttiva innovativa per l'epoca, ponte a stralli (tiranti) con 4 stralli in cemento armato precompresso, risulta alquanto originale visto che usualmente gli stralli sono realizzati con più funi che lavorano a trazione senza l'utilizzo del cemento.

I punti elencati sopra ci portano alle seguenti considerazioni.

I ponti non sono tutti eguali quindi niente allarmismi.

Certo le strutture progettate negli anni '60 / '70 andrebbero monitorate partendo da quelle che adottano soluzioni costruttive non consolidate ed avveniristiche.

Sarebbe inoltre opportuno, per tali strutture, rifare i calcoli strutturali con le conoscenze attuali: questo perché più delle verifiche visive/strumentali i calcoli strutturali ci potrebbero consigliare la demolizione del manufatto anziché l'accanimento manutentivo.

Termino citando una frase di Andrea Dari pubblicata su INGENIO web:

"Tutti si concentreranno sul bla bla bla mediatico mentre nessuno ascoltava pochi mesi fa il presidente dell'Ordine degli Ingegneri di Genova quando affermava al Sindaco, e io ero presente, che le strutture sono come il latte, hanno una scadenza ..." 

sabato 18 agosto 2018

Il Vangelo con commento di domenica 19 agosto 2018.

Chiesa Santa Maria Assunta - Pieve Tesino (TN). 
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. Il progetto di Dio è quello di fondersi con l’uomo.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Il commento al Vangelo. 

L’evangelista ci presenta la conclusione del lungo discorso tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, tutto incentrato sull’Eucaristia.
Giovanni è l’evangelista che non ha il racconto della cena Eucaristica, ma in realtà è l’evangelista che, più degli altri, ne esplora i ricchissimi significati. Vediamoli.
Gesù, rivendicando la condizione divina con il nome “Io sono”, afferma di essere questo “pane vivo che discende dal cielo. Chi lo mangia vivrà per sempre”, quindi è un pane che consente una vita di una qualità tale che neanche la morte potrà scalfire, e, dichiara Gesù “il pane che vi darò è la carne per la vita del mondo”.
Qual è il significato di questa espressione? ‘La Carne’ indica l’uomo nella sua debolezza. La vita di Dio non si può dare al di fuori della realtà umana. Non può esserci comunicazione dello Spirito dove non ci sia anche il dono della carne. I doni dello Spirito passano attraverso l’umanità, più si è umani e più si scopre il divino che è in sé.
Ebbene “i Giudei” – ricordo che con questo termine si indicano le autorità religiose, i capi - non accettano questo, si mettono a discutere aspramente e dicono “come può costui” – notiamo come i giudei si rivolgano sempre a Gesù con disprezzo, ed evitano sempre di nominarlo - “darci la sua carne da mangiare?”
Un Dio che, anziché pretendere i doni si fa lui dono per la vita del mondo, questo è inaccettabile per un’istituzione religiosa che ha creato un Dio a sua immagine e somiglianza, e come essa sfruttatrice dei bisogni dell’uomo.
Ebbene, ecco la dichiarazione di Gesù “in verità, in verità vi dico” – affermazione importante che significa ‘vi assicuro, con certezza’ – “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita”. Questa carne e sangue sono un tema molto caro all’evangelista, che rimanda a Gesù quale Agnello di Dio. Gesù è stato presentato fin dall’inizio di questo vangelo come l’Agnello di Dio, cioè l’agnello dell’esodo pasquale, quell’agnello di cui, secondo le indicazioni di Mosè, bisognava mangiare la carne per avere la forza di iniziare questo esodo e il cui sangue avrebbe liberato dalla morte nella notte dello sterminio dei figli degli egiziani.
Ebbene Gesù viene presentato da questo evangelista come il vero Agnello, la carne darà la capacità di perpetuare questo esodo fino al suo pieno completamento e il sangue non libererà dalla morte terrena, da una morte fisica, ma libera dalla ‘morte per sempre’, cioè consentirà di vivere una ‘vita per sempre’.
E Gesù, a questa espressione già difficile da accettare per i giudei, mangiare la carne, aggiunge qualcosa che stride per la cultura e la mentalità ebraiche, cioè bere il sangue. Per evitare che intendano in maniera simbolica, in maniera metaforica, Gesù dice “chi mastica”. Qui l’evangelista per il verbo ‘mangiare’, usa il greco ‘trogo’ (trogo), che già dà l’idea di qualcosa di molto rude che significa ‘triturare’, ‘masticare’, quindi Gesù vuole evitare che ci sia un’adesione ideale; no, l’adesione deve essere completa.
“Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Di nuovo Gesù torna sul tema che gli è molto caro: la vita eterna non è collocata nel futuro, come una ricompensa per il buon comportamento tenuto nel presente, ma un’esperienza nel presente. Chi dà adesione a Gesù e come lui si fa carne per la vita degli uomini, si fa pane per il bene degli uomini, questo ha già una vita di una qualità tale che la morte non potrà interromperla.
E continua Gesù “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. Il progetto di Dio è quello di fondersi con l’uomo. Mentre l’istituzione religiosa allontana Dio dall’uomo per mettersi come unica mediatrice, Dio vuole fondersi con l’uomo e diventare una sola cosa con lui. Dichiara Gesù “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”, c’è questa fusione tra Dio e l’uomo.
L’unico vero santuario nel quale si irradia l’amore di Dio da questo momento è l’uomo che lo ha accolto.
E, continua Gesù, “come il Padre, che ha la vita” - è la prima volta nel vangelo il Padre viene dichiarato il Padre vivente, colui che comunica vita – “ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”. Non è soltanto la causa, ma è anche l’effetto. Chi mangia di Gesù vivrà grazie a lui, ma vivrà per lui. Come il Padre ha mandato il Figlio nel mondo per essere testimone di un Dio ESCLUSIVAMENTE BUONO, di un amore fedele, così questo sarà il destino e la missione di tutti quelli che accolgono Gesù.
L’unico vero santuario dove si manifesta l’amore di Dio è dove questo amore non esclude nessuno. E poi Gesù di nuovo ritorna sull’affondo “questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono”. Ricorda il fallimento dell’esodo che è avvenuto perché non hanno ascoltato la voce di Dio. “Chi mangia questo pane vivrà in eterno”, l’esodo di Gesù è destinato a realizzarsi pienamente.

mercoledì 15 agosto 2018

Sulla rotta dei venditori ambulanti di stampe tra '700 e '800.


Museo "Per Via" Pieve Tesino (TN).
Sulla rotta dei venditori ambulanti di stampe tra '700 e '800: quando le immagini non viaggiavano su internet ma comunque viaggiavano per l'Europa e non solo, partendo a piedi dal Tesino...

Un museo che racconta una storia poco nota: a partire dal '700, per circa 2 secoli, molti abitanti del Tesino intrapresero il commercio ambulante di stampe prodotte dai Remondini di Bassano del Grappa (VI).


Si avventuravano a piedi, di qui l'appellativo perteganti, dal Tesino verso il nord Europa: partivano ad ottobre per ritornare in primavera.


Inizialmente commercializzavano soltanto le stampe ma poi, approfittando anche dei progressi sulle tecniche di stampa, stampano a loro volta e aprono negozi nelle varie città europee.

Alcuni presero la via del mare per portare le stampe fin nelle Americhe... In questo caso rimanevano lontani da casa per più anni.

Le principali famiglie: Avanzo, Buffa, Caramelle, Daziaro, Pasqualini, Tessaro... solo per citarne alcune.

I soggetti delle stampe riguardavano figure di santi, paesaggi, viste di città e particolari rappresentazioni denominate "La scala della vita" che raffiguravano l'uomo, la donna e la famiglia nelle diverse età (gioventù maturità e vecchiaia) con disegni e frasi di commento che valgono la pena di essere lette.

Le stampe venivano trasportate nella "cassèla" (cassetta in legno); in seguito, su altri tipi di cassèla, trovavano posto piccoli oggetti che valeva la pena di essere commercializzati quali, bigiotteria, occhiali, sementi ecc...


Il museo, insediato in una casa abilmente ristrutturata e riadattata, di un ricco commerciante dell'epoca vi farà ripercorrere quel periodo fatto di viaggi avventurosi e immagini preziose destinate a durare nel tempo...

Si ringrazia per la collaborazione la prof.ssa Maria Avanzo.
Museo "Per Via" Pieve Tesino (TN)
www.museopervia.it

Foto e testo di Alberto Giacomoni
È permessa la riproduzione  previa citazione dell'autore.

sabato 11 agosto 2018

Il Vangelo con commento di domenica 12 agosto 2018.

La cattedrale di Palermo. 
La vita eterna per Gesù non è una promessa da conseguire nel futuro, per la buona condotta tenuta nel presente, ma una realtà che si può sperimentare in questa esistenza. Quindi Gesù non dice “chi crede avrà” poi nel futuro la vita eterna, ma “chi crede ha già”, sperimenta già adesso una vita di una qualità tale che è indistruttibile.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 41-51)

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Il commento al Vangelo. 

Con l’espressione ‘Giudei’ nel vangelo di Giovanni, non si indica il popolo, ma i capi religiosi, le autorità religiose, e sono queste che mormorano contro Gesù. Che mormorino contro Gesù i capi si può capire, ma in questo vangelo mormorano contro Gesù sia la folla, ma anche i discepoli.
Gesù è riuscito a scontentare tutti quanti e vedremo in questo vangelo perché.
Qui gli scontenti sono i capi del popolo perché non possono ammettere che Gesù rivendichi la condizione divina. Gesù ha detto “Io Sono” – è il nome di Dio – “il pane disceso dal cielo”. Che un uomo pretenda di avere la condizione divina per le autorità religiose è un crimine intollerabile. Dio mette tutto il suo intento per avvicinarsi all’uomo e fondersi con lui; le autorità religiose hanno tutto l’interesse e mettono tutto l’intento per separare l’uomo da Dio, perché più Dio e l’uomo sono lontani, più essi si possono inserire quali unici mediatori.
E quindi non accettano la pretesa di Gesù di essere un uomo con la condizione divina.
Ecco perché replicano “ma non è costui il figlio di Giuseppe?” E Gesù dà un importante criterio per avvicinarsi e accoglierlo: “nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”.
Cosa vuol dire per Gesù? Andare a Gesù significa riconoscere Dio come Padre, cioè colui che è a favore dell’uomo, perché Gesù è l’espressione dell’amore di Dio per tutta l’umanità.
Chiunque vede in Dio un alleato per l’uomo si sente poi attratto da Gesù. Ecco perché i capi non avvicineranno mai Gesù e non arriveranno mai a Dio, perché loro non sono interessati al bene dell’uomo, ma soltanto al proprio prestigio. Non conoscono il Padre, ma soltanto il loro interesse.
Questo amore che Gesù comunica è un amore che viene da Dio e quindi è indistruttibile, ecco perché Gesù può assicurare “io vi dico che chi crede”, cioè ‘chi dà adesione a questo Gesù, a questo progetto d’amore di Dio per l’umanità, “ha la vita eterna”.
La vita eterna per Gesù non è una promessa da conseguire nel futuro, per la buona condotta tenuta nel presente, ma una realtà che si può sperimentare in questa esistenza. Quindi Gesù non dice “chi crede avrà” poi nel futuro la vita eterna, ma “chi crede ha già”, sperimenta già adesso una vita di una qualità tale che è indistruttibile.
Poi Gesù dice quello che non dovrebbe dire, ecco perché riesce a scontentare tutti quanti, e mette il dito nella piaga.
Gesù, rivendicando la condizione divina, “Io Sono io pane della vita”, dice “i vostri padri”. Gesù avrebbe dovuto dire “i nostri padri”, anche lui è un componente del popolo di Israele, ma Gesù prende le distanze. Lui è mosso dal Padre e segue il Padre, non i padri, non la tradizione del popolo.
“I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti”. Gesù mette il dito nella piaga del grande fallimento dell’esodo. Tutti quelli che sono usciti dalla schiavitù egiziana sono tutti morti nel deserto. Neanche uno è entrato nella terra promessa; i loro figli sono entrati nella terra promessa. Ma neanche Mosè c’è riuscito e sono tutti morti.
E perché sono morti? Secondo il libro di Giosuè e secondo il libro dei Numeri, sono morti per non aver dato ascolto alla voce di Dio.
Allora Gesù dà un monito “come quella generazione morì nel deserto per non aver ascoltato la voce di Dio, anche voi rischiate di non entrare nella pienezza della libertà se non ascoltate questa voce”.
Ed ecco allora Gesù che rivendica e conferma “se uno mangia di questo pane” – che è lui, la sua vita – “vivrà in eterno”. La vita che Gesù comunica è una vita che non viene interrotta dalla morte.
E poi questa preziosa indicazione: “il pane che io darò è la mia carne” ‐ l’evangelista usa il termine ‘carne’ (sarx) che indica la debolezza dell’uomo ‐ “per la vita del mondo”. Non esistono doni divini che non si manifestino nella debolezza della condizione umana.

sabato 4 agosto 2018

Il Vangelo con commento di domenica 5 agosto 2018.

Duomo di Como. 
Ognuno di noi gestisce il suo tempo come pane e pesci da moltiplicare-condividere per crescere in sapienza e conoscenza del Signore che chiama al suo banchetto che sfama per la vita eterna...

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 24-35)

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Il commento al Vangelo.

    La prima unità del capitolo 6 di Giovanni (cfr Gv 6, 1-15) potrebbe essere un midrash cristiano (il midrash è il commento rabbinico alla Bibbia che si propone di metterne in luce gli insegnamenti giuridici e morali utilizzando diversi generi letterari: racconti, parabole, leggende. A lungo ignorata quando non disprezzata e assimilata al folclore, la letteratura midrashica è oggi considerata una interpretazione creativa e originale del testo biblico, anzi, l’interpretazione propriamente ebraica della Torà) con cui la comunità giovannea rileggeva l’Antico Testamento attraverso il tema del pane-eucaristia, adombrando nelle figure del passato l’immagine di Gesù che ora realizza ciò che quelli avevano prefigurato: Mosè, Eliseo, Elia, Davide. Nella persone di Gesù tutto l’Antico Testamento si compie e giunge a maturazione con una quantità tale che non solo sazia i contemporanei, ma ne resta anche per le generazioni future (cfr Mt 5, 17).
Quindi ognuno di noi:
- sente e vive se stesso come pane d’orzo, pane povero che si spezza, segno visibile della chiesa intera, immersa nel cuore del mondo che è strangolato dalla fame dei suoi figli più deboli;
- riceve e accoglie il pane, ne conserva con cura gli avanzi nel cuore come promessa del mondo futuro;
- viene dalla sua casa all’altare dell’Eucaristia, incarnando l’esodo di liberazione, simbolo dell’andare dall’Egitto alla Terra Promessa della fedeltà e dell’amore totale e indiviso a Lui che ci ama per primo;
- va dall’altare dell’Eucaristia all’Eucaristia della vita, perché il tempo e lo spazio che viviamo diventino «luoghi» privilegiati di comunione e di condivisione, sapendo che ogni Eucaristia potrebbe essere l’ultima;
- sta davanti all’altare come se stesse sulla montagna del Sinai e sulla montagna con Gesù e gli apostoli, da cui riceve non più le tavole di pietra, ma la Persona stessa di Gesù nella garanzia del suo Spirito che si concretizza nelle scelte di vita;
- vive l’Eucaristia come Pasqua perenne, principio e fondamento di comunione e di servizio;
- porta nel cuore la povertà e la fame nel mondo… i poveri con cui Gesù si identifica (Mt 25, 3-40);
- si carica delle ceste avanzate, distribuendole all’umanità affamata con i sacrifici che la vita comporta, vivendolo con amore totale nel Cuore di Dio, là dove, nella solitudine che è la compagnia di Dio, può incontrare i fratelli e le sorelle che chiedono il pane della mensa e il Pane della vita;
- si mette a servizio del Signore, ponendo il proprio pane e il proprio pesciolino a servizio della Provvidenza e della Missione, vivendo la preghiera come appuntamento in Dio con tutta l’umanità assetata di redenzione;
- gestisce il suo tempo come pane e pesci da moltiplicare-condividere per crescere in sapienza e conoscenza del Signore che chiama al suo banchetto che sfama per la vita eterna;
- si fa pane spezzato con Cristo, consumandosi d’amore totale fino all’ultima briciola per essere solo respiro pasquale e segno vivente di armonia sponsale.