sabato 28 novembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 29 novembre 2020

Chiesa dei Santi Cosma e Damiano - Rezzago (CO)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento… Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!»»

E’ un brano che invita alla piena fiducia, a non preoccuparsi: non è importante conoscere il momento della propria fine, ma sapere che quel momento è nelle mani del Padre.

Ma l’invito è a restare in attività, perché anche se sapete che la vostra fine è nelle mani del Padre, spetta a voi collaborare con un’attività fedele al messaggio della buona notizia.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal vangelo secondo Marco (Marco 13, 33-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 

Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 

Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». 

Il commento.

Il capitolo 13 del vangelo di Marco è indubbiamente il più difficile e complesso di tutto il suo vangelo. Ne è cosciente lo stesso evangelista che proprio al versetto 14 scrive “che il lettore comprenda”, perché sa che sta dicendo qualcosa di molto complesso.

A complicare il quadro ci sono le scelte incomprensibili dei liturgisti che, per esempio, nel brano di oggi mutilano il versetto iniziale, quello che aiuta nella comprensione di tutto il brano. Pertanto leggiamo il capitolo 13 del vangelo di Marco, ma iniziamo dal versetto 32, che è stato omesso dai liturgisti.

Gesù, dopo aver parlato della fine di Gerusalemme e della fine di tutti i poteri che schiacciano e umiliano l’uomo, e per questo si richiede la collaborazione dei discepoli, annunzia la fine individuale di ogni suo discepolo.

E dice, “Quanto però a quel giorno e a quell’ora nessuno lo sa, né gli angeli del cielo, né il Figlio, eccetto il Padre”. L’espressione “quel giorno” finora nel vangelo di Marco appare tre volte e sempre in relazione alla morte ed esaltazione di Gesù, cioè alla vittoria di Gesù sulla morte. Questa volta invece è applicata ai discepoli per far comprendere che anche la morte dei discepoli non sarà una fine, ma un inizio, non una sconfitta, ma una vittoria.

Ebbene Gesù dice “non vi preoccupate perché il Padre lo sa”. Questo sapere non è un semplice conoscere, ma un sapere per operare. Nel momento della propria fine, anche se drammatica e traumatica come quella di Gesù, ci sarà il Padre che verrà in aiuto ai suoi.

Quindi è un brano che invita alla piena fiducia, a non preoccuparsi. Non è importante conoscere il momento della propria fine, ma sapere che quel momento è nelle mani del Padre. Quindi il messaggio di Gesù è pienamente positivo ed è un invito alla piena fiducia. Detto questo Gesù, con due imperativi dice: “Fate attenzione, vigilate”. Vigilare significa rinunciare a dormire. Il sonno nei Vangeli è l’immagine della rinuncia all’attività. Quindi l’invito è a restare in attività, perché anche se sapete che la vostra fine è nelle mani del Padre, spetta a voi collaborare con un’attività fedele al messaggio della buona notizia.

E poi Gesù dà questa immagine. “E’ come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato …” E qui la traduzione che abbiamo è “dato il potere ai suoi servi”, ma in realtà è “data la sua stessa autorità ai suoi servi”, il termine greco è molto enfatico. Qui il padrone, il signore della casa è Gesù dopo la morte. Gesù non ha servi, lui l’ha detto chiaramente in questo vangelo “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”.

Si tratta dei servi della comunità, cioè gli uni a servizio degli altri. Ebbene Gesù, a coloro che mettono la propria vita a servizio degli altri, concede la sua stessa autorità. Cos’è l’autorità? L’autorità nel vangelo di Marco è la capacità di esercitare una funzione divina con la quale si comunica vita.

Attraverso il dono dello Spirito Gesù comunica questa sua autorità, questo Spirito anche ai suoi discepoli. “A ciascuno il suo compito e ha comandato …”, il verbo comandar appare una sola volta in questo Vangelo, riferito ai comandamenti di Mosè, qui invece c’è il comandamento di Gesù. E’ la nuova relazione con Dio, che non è più impostata sulle leggi di Mosè, ma sull’accoglienza del suo amore.

E il comandamento qual è? Il comandamento lo dà il portiere, che in quella cultura era colui che era responsabile della sicurezza di coloro che stavano dietro. E’ una figura collettiva che riguarda l’impegno di tutta la comunità. “… e ha comandato al portiere di vegliare”. Il verbo “vegliare” verrà ripetuto tre volte e sappiamo che il numero tre significa quello che è completo, quindi una stretta vigilanza.

Gesù invita i componenti della sua comunità ad esercitare una funzione permanente di servizio che li renda riconoscibili. Non un servizio una volta ogni tanto, ma un servizio che sia il distintivo della comunità. Se c’è questo la fine non deve preoccupare perché il Padre viene in soccorso.

E Gesù continua: “Vigilate dunque: voi non sapete quando il signore della casa…” questo signore della casa è contrapposto al signore della vigna di cui Gesù aveva parlato, dove la vigna era l’immagine di Israele. Ebbene ora non c’è più la vigna, immagine di Israele, ma c’è la casa, immagine di familiarità, di umanità, perché il messaggio di Gesù non è più limitato a un popolo, a una nazione, a una religione, ma è un messaggio universale, e la casa è un’immagine che tutta l’umanità può comprendere.

E poi qui Gesù divide la notte in quattro parti (la sera, mezzanotte, il canto del gallo e il mattino), secondo l’uso romano e non tre secondo l’uso ebraico, per far comprendere che questo messaggio non è più limitato a questa nazione, ma si estende in tutta l’umanità. E’ un messaggio valido per gli uomini di ogni condizione e di ogni latitudine.

E di nuovo l’avviso di Gesù: “Fate in modo che, giungendo all’improvviso… ” - all’improvviso significa un’irruzione che non lascia tempo di cambiare atteggiamento – “.. non vi trovi addormentati” come purtroppo li troverà al momento della cattura nel Getsemani, quando questi discepoli saranno addormentati, incapaci di dare adesione a Gesù nel momento più importante della sua esistenza.

E la conclusione: “Quello che dico a voi lo dico a tutti”, Quel messaggio che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli è un messaggio per tutta l’umanità. Il servizio, come distintivo che rende riconoscibile la persona, il discepolo, in maniera permanente, abituale e distinguibile, è quello che permette al Padre di occuparsi dei suoi quando sarà il momento della fine.



sabato 21 novembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 22 novembre 2020.

Il Duomo di Monreale - Palermo.
E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”

E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna…

 

Il comportamento che consente l’accoglienza o no della vita definitiva non riguarda l’atteggiamento che si è avuto nei confronti di Dio, ma verso l’uomo.

In questo brano il Signore non chiederà alle persone se hanno creduto, ma se hanno amato; non chiederà se sono saliti al tempio, ma se hanno aperto la loro casa al bisognoso. Non chiede se hanno offerto, ma se hanno condiviso il loro pane con l’affamato…


Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL VANGELO SECONDO matteo (Matteo 25, 31-46)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».


Il commento

Nel capitolo 25 di Matteo, versetti 31-46, ci viene presentato l’ultimo importante insegnamento di Gesù, che l’evangelista cura in maniera particolare. In questo insegnamento Gesù dichiara che il comportamento che consente l’accoglienza o no della vita definitiva non riguarda l’atteggiamento che si è avuto nei confronti di Dio, ma verso l’uomo.

Un Dio che si è fatto uomo chiede conto agli uomini del loro comportamento verso i loro simili. E Gesù proclama in questo messaggio che “«Quando il Figlio dell’uomo»”, l’uomo nella pienezza condizione divina, “«verrà nella sua gloria … siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli»”. Gesù prende come modello un brano conosciuto della tradizione ebraica in cui si diceva che il Signore si sarebbe messo seduto sul suo trono con il rotolo della legge.

E chi avesse osservato questa legge sarebbe entrato nella sua gloria. Ebbene questo giudizio non è un giudizio universale, per tutti. Scrive infatti Matteo: “«Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli»”, e adopera il termine greco ethne che indica le nazioni pagane; quindi non è per il popolo di Israele e non è per la comunità cristiana. E’ per quelli che il vero Dio non l’hanno mai conosciuto. Quello è il loro destino.

Ebbene, Gesù dice che “«separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dalle capre»”. Mentre nella tradizione ebraica si diceva che Dio scriveva le azioni dell’uomo su un libro per vedere poi se il saldo era positivo o negativo, Gesù, come il pescatore, sa distinguere i pesci buoni dai pesci marci, o come il contadino sa distinguere i frutti buoni dai frutti fradici, e così distinguere le persone che attraverso l’amore si sono realizzate e invece quelle che hanno pensato unicamente a se stesse.

A quelli che si sono realizzati dirà: “«Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo»”, cioè sono coloro che hanno realizzato il progetto di Dio sull’umanità. Cos’hanno fatto di straordinario per realizzare questo progetto? Hanno risposto agli elementari bisogni delle persone, sono andati incontro alle sofferenze delle persone, sono stati sensibili alle necessità degli altri e Gesù elenca sei azioni con le quali si comunica vita (aver dato da mangiare a chi aveva fame, aver dato da bere a chi aveva sete, ecc.) e nessuna di queste riguarda il comportamento verso Dio.

Quello che consente di avere la vita eterna non è il comportamento religioso, ma quello umano. Stupisce trovare in queste sei azioni la visita al carcerato perché il carcerato a quell’epoca non suscitava nessuna pietà; era uno che giustamente era punito. “«Allora i giusti gli risponderanno»”, i giusti sono i fedeli - in questo caso i fedeli all’uomo. I giusti si meravigliano e dicono: “«Quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere»”, ecc.

E la risposta di Gesù: “«In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli»”, cioè le persone invisibili della società, gli emarginati, gli esclusi, i bisognosi, “«l’avete fatto a me»”. Questo non giustifica una certa forma di spiritualità che contempla “vedere nell’altro Gesù”, ma di guardarlo come Gesù. Quindi non amare gli altri per Gesù, ma amarli con Gesù e come Gesù.

E poi ecco la sentenza invece verso quelli che stanno alla sinistra: “«Via lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno»”. Mentre prima Gesù ha detto “venite benedetti dal Padre mio”, perché il Padre benedice, qui dopo “maledetti” non dice “dal Padre mio”. Da chi sono stati maledetti? Da se stessi.

Chi si chiude alla vita si maledice. Questa maledizione, l’unica volta che la troviamo nel vangelo di Matteo, ricorda la prima grande maledizione che c’è nella Bibbia a Caino, l’omicida del fratello, “Sii maledetto”. Chi nega aiuto all’altra persona, la uccide. E quindi è maledetto come un assassino. Per quanto questa non sia una maledizione da parte di Dio, ma sono le stesse persone che si sono maledette chiudendosi alla vita, chiudendosi al bisogno. Hanno pensato unicamente a sé e non agli altri.

«Nel fuoco eterno»”, cioè quello che distrugge tutto, “«preparato per il diavolo»” ed è l’ultima volta che compare il diavolo e si annuncia la sua sconfitta definitiva perché il fuoco era quello che eliminava tutto, “« e per i suoi angeli»”, letteralmente “inviati”. Queste persone sono stati inviate dal diavolo perché, anziché comunicare vita come i primi, hanno soltanto comunicato la morte.

«Anch’essi allora risponderanno»”, e qui la risposta è differente. Mentre i primi hanno detto “quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare?”, questi, molto più sbrigativamente, riassumono il tutto. “«Quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo servito?»”

Quindi riassumono le situazioni di bisogno verso le quali sono stati indifferenti. E’ interessante il verbo adoperato, “servire”; questi non hanno nulla a che fare con un Dio che non chiede di essere servito, ma di servire. Loro pensano di servire il Signore, ma non sanno che il Signore non è venuto per essere servito, ma lui a servire. Loro credono di averlo servito mediante le pratiche religiose, magari proclamandolo Signore.

Ebbene, Gesù con questi non ha nulla a che fare. Gesù non conosce quelli che non hanno amato. In questo brano il Signore non chiederà alle persone se hanno creduto, ma se hanno amato; non chiederà se sono saliti al tempio, ma se hanno aperto la loro casa al bisognoso. Non chiede se hanno offerto, ma se hanno condiviso il loro pane con l’affamato.

Ed ecco la sentenza: “«In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me. Ed essi se ne andranno: questi al supplizio eterno …»”, letteralmente “punizione”. Il termine “punizione” viene dal verbo che indica “mutilare”. La punizione non è dovuta al Padre, ma sono essi stessi che si sono puniti in quanto la loro è una vita mutilata, non giunta a pienezza. Hanno pensato soltanto a nutrire se stessi e non hanno nutrito gli altri. Quindi è una vita mutilata.

«I giusti invece alla vita eterna»”. Gesù sta citando il profeta Daniele però inverte la finale. Mentre la finale del profeta Daniele parlava di “infamia eterna”, Gesù lo volge al positivo, con un’immagine al positivo, con la vita eterna. Per avere la vita eterna basta rispondere agli elementari bisogni delle persone. Non si chiedono azioni straordinarie, ma soltanto azioni umanitarie.

domenica 15 novembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 15 novembre 2020.

 Il santuario della Madonna del Bosco - Imbersago (LC).
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro... 

La paura di Dio impedisce alle persone – per paura di correre rischi o di commettere peccati – di realizzarsi.

E’ la religione che inculca la paura di Dio per dominare le persone.

Quindi non la paura di Dio deve regolare l’atteggiamento del credente, ma l’amore. L’amore libera ed è liberatore delle persone.

Il Vangelo con commento nel seguito. 

DAL VANGELO SECONDO matteo (Matteo 25, 14-30)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 

Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò subito a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.

Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Il commento 

Un’immagine sbagliata, errata di Dio, può rovinare per sempre l’esistenza del credente. Per questo è bene conoscere il vero volto di Dio, come Gesù lo ha rivelato. E’ quanto esprime Matteo nel capitolo 25 del suo vangelo, dai versetti 14-30.

Dice Gesù: “«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni»”. A quell’epoca tutti i dipendenti di un re, di una persona importante, venivano chiamati servi, ma in questo caso qui si tratta di alti funzionari. Infatti a questi viene affidato un patrimonio ingente. E’ importante il verbo adoperato dall’evangelista. Il verbo “consegnare” significa dare senza riprendere, quindi non è una custodia, ma un trasferimento dei propri beni ai suoi funzionari

“«A uno diede cinque talenti»”, il talento è una misura d’oro che oscillava, secondo i tempi, tra i 26 e i 36 chili d’oro, quindi una somma ingente. Un talento corrispondeva a 6000 denari, che equivalevano a circa venti anni di salario di un operaio, quindi una cifra considerevole. “«A un altro due, a un altro uno, secondo le capacità …»”, letteralmente “la forza”, cioè quello che sono capaci di portare avanti, “«… poi partì».

Ebbene, Gesù dice che “«Colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così fece anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.»”. Invece il terzo ha un atteggiamento strano. “«Colui che aveva ricevuto un solo talento»”, che non è poco, sono sempre trenta chili d’oro, quindi è una somma ingente, “«andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone»”.

Perché questo? Perché lui è rimasto servo. Mentre gli altri con questa cifra si sentono già signori e padroni dei propri beni, per lui il talento è il denaro del suo padrone, lui è rimasto servo. Ma perché lo va a seppellire? Perché, secondo il diritto rabbinico, quando si seppelliva un tesoro o del denaro in terra, in caso di furto non si era poi tenuti a risarcirlo.

Qui questo servo non crede alla generosità del padrone e non crede neanche a se stesso come destinatario del dono. Ebbene, “Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.»”, non si intende per restituire, ma per conoscere il loro operato. “«Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: ‘Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque’»”, il padrone dice: “«’Bene’»”, con gli stessi termini con i quali il Dio della creazione, il creatore contempla ammirato la sua opera.

Quindi qui il padrone, che rappresenta Dio, è soddisfatto di questa persona che, avendo ricevuto i suoi doni, li ha realizzati pienamente. Lo chiama “«servo buono e fedele – ‘sei stato fedele nel poco…’»”, dire che uno è fedele nel poco con 150 chili d’oro … ,”«’ti darò potere sul molto’»”, cioè letteralmente “ti stabilirò sul molto”. “«’Prendi parte alla gioia del tuo padrone’»”. Questo padrone si dimostra di una grande generosità. Non solo non chiede indietro il denaro, i talenti che aveva dato: non solo non chiede interessi, ma addirittura a questo funzionario, a questo servo, lo invita a far parte di tutti i suoi beni, gli affida tutta quanta la sua amministrazione.

Non è più un servo, ma è signore come lui. Ugualmente per quello che aveva avuto due talenti. Invece, quando si presenta colui che aveva ricevuto un solo talento, gli dice: “«Signore, so che sei un uomo duro»”, quindi è qualcosa che lui sa, ma ha un’immagine distorta che non corrisponde a quello che abbiamo visto. Qui c’è un padrone estremamente generoso che, non solo non chiede indietro i suoi averi, ma addirittura invita i suoi funzionari a far parte di tutti i suoi averi; non li tratta più come servi, ma come padroni.

Invece questo dice: “«’So che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura …’»”, ecco il tema fondamentale di questa parabola, è la paura di Dio. La paura di Dio che impedisce alle persone – per paura di correre rischi o di commettere peccati – di realizzarsi. “«’ … sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra’»”. Questo è importante, il “tuo” talento. Il padrone glielo aveva dato, infatti gli altri hanno detto “quello che io ho”. Invece lui non si è mai considerato padrone di questo talento. Infatti dice “Il tuo talento”, e lo ripete, “«’Ecco ciò che è tuo’»”.

Non l’ha mai considerato proprio. La risposta del padrone è molto severa. “«’Servo malvagio e pigro’»” e omette di definirsi “uomo duro”, come il servo l’aveva definito. “«’Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso’»”, l’espressione del padrone è in forma interrogativa, lui non è così. “Sei tu che pensi che io sia così, sei tu che hai quest’immagine sbagliata di me”, quindi è all’interrogativo.

La paura di sbagliare nell’individuo ha paralizzato la sua crescita e il padrone lo rimprovera dicendo: “«’Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento …’»”, perché viene tolto il talento? E perché lasciargli quello che per lui è soltanto motivo di angoscia, di ansia, di paura?

“«’ … E datelo a chi ha dieci talenti’»”. Ed ecco qui la sentenza di Gesù, molto importante, che già abbiamo ascoltato nella parabola dei quattro terreni, “«’A chiunque ha verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi no ha, verrà tolto anche quello che ha’»”. Il verbo avere è un verbo risultativo, che è il risultato sempre di qualcosa. Qui si tratta di produrre. A chi produce amore, viene data una ancor più grande capacità d’amare; ma chi non produce piano piano si sterilisce quella che ha e si trova a non avere più niente.

Quindi non si tratta di un’ingiustizia da parte del Signore, ma si tratta di una dinamica della vita. A chi fa fruttare i doni viene data un’aumentata capacità di farli fruttare; più si ama e più si viene resi capaci di amare dal Signore.

Ed ecco la conclusione tremenda, molto severa. “«’E il servo inutile …’»”, chiamato ad essere signore, è rimasto servo. Gesù vuole traghettare i suoi discepoli da una condizione di servi di Dio, come Mosè aveva loro imposto - l’alleanza di Mosè è un’alleanza tra dei servi e il loro signore – a figli di Dio, signori come lui.

Ma Gesù tiene presente la difficoltà di passare da questa condizione e di obbedienza, a quella della libertà dei figli di Dio. Non tutti ci riescono perché la libertà non ha nessuna sicurezza se non quella della forza interiore. Allora il servo inutile, chiamato ad essere signore, ma rimasto servo, “«’Gettatelo fuori nelle tenebre’»”, perché nelle tenebre? Lui, avendo seppellito il suo talento, si era già seppellito, lui era già morto, non aveva vissuto. “«’Là sarà pianto e stridore di denti’»”, espressione con la quale nella Bibbia si indica il fallimento di un’esistenza. E questa persona ha fallito la sua esistenza per la paura di Dio.

E’ la religione che inculca la paura di Dio per dominare le persone. Ma Gesù viene per liberare da questo. C’è nella prima lettera a Giovanni l’espressione molto bella che “nell’amore non c’è timore e chi teme non è perfetto nell’amore.

Quindi non la paura di Dio deve regolare l’atteggiamento del credente, ma l’amore. L’amore libera ed è liberatore delle persone.

domenica 8 novembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 8 novembre 2020.

Chiesa di Sant'Antonio - Fornace (TN). 

La parabola delle 10 vergini. 

Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!” Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Gesù non riconosce chi ha atteggiamenti di fedele ortodossia (Signore, signore), chi ha atteggiamenti di riverenza e di ortodossia, ma riconosce soltanto chi, come lui, ha fatto della propria vita un dono d’amore affinché gli altri abbiano vita.

Il Vangelo con commento nel seguito. 

DAL VANGELO SECONDO matteo (Matteo 25, 1-13)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.

A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!” Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.

Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!” Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Il commento. 

Nel vangelo di Matteo Gesù, per l'ultima volta, affronta la tematica del Regno dei Cieli, la società alternativa che lui è venuto a inaugurare. Lo fa nel capitolo 25.  

Scrive l'evangelista: “Allora ...” L'inizio si rifà alla venuta del Signore, alle sue manifestazioni nella storia umana. “Il Regno dei Cieli”, questa società alternativa che inizia qui in questa esistenza terrena, “sarà simile a dieci vergini”, cioè dieci ragazze. L’espressione indica donne che ancora non sono sposate, “che presero le loro lampade”; ecco qui la traduzione “lampade” non deve essere fraintesa. Non sono le piccole lampade di creta o di coccio che si tengono nelle case, queste sono le torce che si usavano per uscire all'aperto.

“E uscirono incontro allo sposo”. La tematica dello sposo, nell'Antico e nel Nuovo Testamento, indica l'incontro con il Signore. Quindi l’ambiente è festivo, è quello nuziale. “Cinque di esse erano stolte”. Il termine adoperato dall’evangelista è in realtà molto più forte, è “pazze”. E' lo stesso termine che Gesù proibisce di usare all'interno della sua comunità; “chi avrà detto pazzo a suo fratello è meritevole della Geenna”, e soprattutto – e questo ci aiuta a comprendere il significato di questa parabola – è il termine che Gesù ha indicato per quelle persone che vanno a costruire la casa sulla sabbia, senza fondamenta.

Gesù ha detto al capitolo 7 che ci sono due tipi di persone: quelle che accolgono il suo messaggio e lo mettono in pratica, sono simili a quelli che costruiscono la propria casa, cioè la propria esistenza, sulla roccia; invece ci sono i pazzi, quelli che ascoltano ma poi non pensano a praticare, allora come un pazzo che va a costruire la casa sulla sabbia, alla prima fiumana la casa crolla.

Quindi l'evangelista ci sta dando già un'indicazione, questa follia di queste ragazze è una rappresentazione di quelli che accolgono il messaggio di Gesù ma non pensano a praticarlo. “Le altre invece erano sagge”. Il termine è stato adoperato dall'evangelista sia per quelli che costruiscono la casa sulla roccia, ma anche per il servo fedele che procura il cibo per gli altri, mettendo in relazione questo ascolto della parola di Gesù con la pratica del procurare vita agli altri.

“Le stolte presero con se le loro lampade ma non presero con sé l'olio. Le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi”. E' olio che serviva per alimentare appunto questa torcia. “Poiché lo sposo tardava si assopirono tutte e si addormentarono”. Il tema non è la vigilanza, perché tutte quante si addormentano, il tema è quello di avere la capacità poi quando arriva il momento opportuno, di poter essere accolti a questo incontro nuziale.

Ed ecco infatti che “A mezzanotte si alzò un grido: «E' lo sposo! Andategli incontro!» Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade”, cioè inzupparono di olio le loro torce. “Le stolte dissero alle sagge: «Dateci un po' del vostro olio perché le nostre lampade si spengono»”.

L'olio è qualcosa che tutti quanti possono avere però è qualcosa – lo vedremo da questa risposta – che non si può prestare. Dal punto di vista narrativo il brano è illogico e incongruente, sia perché non esiste questa tradizione nuziale delle ragazze che vanno incontro allo sposo, sia perché in questo brano fanno tutti una brutta figura, lo sposo che ritarda e rimprovera le ragazze che non avevano le torce accese, e sono arrivate in ritardo; queste ragazze sono senza olio e le sagge che sembrano anche un poco acide, prive di senso di solidarietà.

Quindi non cerchiamo una congruenza dal punto di vista narrativo e logico. Gesù usa proprio queste espressioni per colpire il suo uditorio e far passare il suo messaggio. Quindi la risposta delle sagge: “«No, perché non venga a mancare a noi e a voi»” significa che questo olio si può avere ma non si può prestare e che comunque è meglio essere in poche ad andare incontro allo sposo con le lampade, piuttosto che tutti quanti al buio. Quindi questo olio è un'indicazione di vita che viene donata e quindi viene ricevuta. E questo non si può prestare; si tratta delle azioni positive che hanno costruito l'individuo e questo non si può trasmettere dall'uno all'altro.

Ed ecco che “Mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo”, ecco l'immagine di nuovo festosa di gioia, delle nozze, “e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze e la porta fu chiusa”. Anche questa dal punto di vista narrativo è un'incongruenza. Alle nozze, nell'area della Palestina, tutto il paese era invitato, non si chiudevano le porte, quindi se Gesù usa queste incongruenze è perché vuole trasmettere un messaggio particolare.

“Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, signor, aprici»”. Anche qui Matteo ci sta dando un’indicazione preziosa: quest’invocazione “Signore, signore” è la stessa che Gesù rimprovererà a quelli a cui dirà: “Non chi dice Signore Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi compie la volontà del Padre”.

Non basta un’adesione formale a Gesù, non basta essere entusiasti del suo messaggio, bisogna che questa adesione si traduca in sequela e bisogna che questo entusiasmo alle sue parole si traduca in azioni pratiche che comunicano vita. Ed ecco per questo la risposta di Gesù è molto severa ed è identica a quella riservata a coloro che dicevano “Signore, signore”, ma poi non compivano la volontà di Dio. “Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco»”, esattamente come agli operatori di iniquità, o meglio ai costruttori di nulla, quelli che non hanno utilizzato la parola per costruire se stessi.

E l’invito di Gesù a tutti quanti: “«Vigilate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora»”. Quale può essere il significato di tutta questa parabola, di questo olio? Il richiamo ancora una volta ci dall’interno del vangelo. Gesù nel capitolo 5, versetto 16 di Matteo aveva detto ai suoi discepoli: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”.

Quindi questa è un’indicazione che questo olio che mantiene la torcia accesa sono le opere buone. Quali sono le opere buone? Azioni con le quali si comunica vita agli altri. Gesù non riconosce chi ha atteggiamenti di fedele ortodossia (Signore, signore), chi ha atteggiamenti di riverenza e di ortodossia, ma riconosce soltanto chi, come lui, ha fatto della propria vita un dono d’amore affinché gli altri abbiano vita.

domenica 1 novembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 1 novembre 2020

Chiesa di Centa San Nicolò - Altopiano della Valsugana (TN). 

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati... 

L'evangelista, che ha in mente i dieci comandamenti di Mosè, presenta l’alternativa delle beatitudini.

Mentre l’accoglienza e la pratica dei comandamenti garantiva lunga vita in questa terra, l’accoglienza e la pratica delle beatitudini garantisce una vita talmente forte, talmente potente che non sarà interrotta neanche dalla morte.

Il Vangelo con commento nel seguito. 

ECCO LA GENERAZIONE CHE TI CERCA, SIGNORE 

Mt 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si  avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Il commento. 

La nuova relazione d’amore tra Dio e il suo popolo ha bisogno di una nuova alleanza. E’ quanto ci presenta Matteo nel suo vangelo al capitolo 5 con le beatitudini di Gesù.

L’evangelista presenta Gesù collocato su “il” monte. L’articolo determinativo indica che non  é un monte qualunque, ma il monte già conosciuto. Vuole rappresentare il monte Sinai dove Mosè ricevette da Dio l’alleanza con il popolo di Israele.

Ebbene ora Gesù non riceve da Dio, ma lui - che è Dio e l’evangelista lo ha presentato come “il Dio con noi” - propone una nuova alleanza con il popolo. Mosè, il servo del Signore, ha imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore basata sull’obbedienza. Gesù, che non è il servo del Signore, ma il figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre basata sull’accoglienza e la pratica del suo amore.

E poi Gesù apre bocca ed elenca le beatitudini. L’evangelista ha curato in maniera particolare questo testo, sia per il numero delle beatitudini che sono otto. Perché otto? Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la settimana, cioè l’ottavo giorno e questo nel cristianesimo primitivo, questa cifra “otto” ha sempre indicato la vita capace di superare la morte. Il numero otto era il numero della risurrezione.

Allora l’evangelista, che ha in mente il decalogo di Mosè, presenta l’alternativa delle beatitudini. Mentre l’accoglienza e la pratica del decalogo garantiva lunga vita in questa terra, l’accoglienza e la pratica delle beatitudini garantisce una vita talmente forte, talmente potente che non sarà interrotta neanche dalla morte.

Ma non solo, l’evangelista addirittura calcola con quante parole, secondo lo stile letterario del tempo, comporre il suo scritto. Ebbene sono esattamente 72. Perché proprio 72? Perché secondo il libro del Genesi era il numero delle nazioni pagane conosciute. Mentre il decalogo era esclusivo per il popolo di Israele, le beatitudini sono per tutta l’umanità.

Poi il decalogo si apriva con l’affermazione, la rivendicazione di Dio quale unico Signore del suo popolo, ecco perché la prima delle beatitudini non è uguale alle altre, ha il verbo al presente. E’ la scelta del Padre come unico Dio.

Nel decalogo poi si proseguiva con tre comandamenti, che erano esclusivi del popolo di Israele, ed erano gli obblighi assoluti nei confronti di Dio. Nelle beatitudini non ci sono obblighi nei confronti di Dio, perché Gesù è il Dio con noi, Dio si è fatto uomo e c’è da andare con lui e come lui verso l’umanità. Ecco allora che al primo posto vengono elencate situazioni di sofferenza dell’umanità con la possibilità di soluzione e d’aiuto da parte di Dio e del suo popolo.

Nel decalogo si continuava con sette comandamenti nei confronti degli uomini, ebbene nelle beatitudini non ci sono questi doveri nei confronti degli uomini, che sono già stati espressi, ma l’azione di Dio nella comunità che accoglie le beatitudini.

E allora, accogliendo le beatitudini, sarà una fioritura di atteggiamenti diversi che emergeranno non come qualità di qualcuno, ma come atteggiamenti riconoscibili da parte di coloro che, mediante l’accoglienza delle beatitudini, saranno a loro volta misericordiosi come il Padre è misericordioso, saranno puri di cuore, saranno costruttori di pace.

E, infine, l’ultima beatitudine, che ha il verbo al presente come la prima, l’accoglienza e la fedeltà alle beatitudini non porterà al plauso delle persone, ma porterà alla persecuzione. Ma come la scelta della prima beatitudine, quella della povertà, cioè la decisione di condividere gioiosamente e liberamente con gli altri, non comporta effetti negativi perché Dio si prende cura di queste persone, così ugualmente l’ultima beatitudine, quella della persecuzione, è attenuata dal fatto che Dio si prende cura di costoro.

La beatitudine iniziale si riallaccia all’ultimo dei comandamenti. L’ultimo dei comandamenti qual era? Non desiderare le cose degli altri. La prima beatitudine è “desidera che gli altri abbiano le tue stesse cose”. Questa è la novità del regno che Gesù è venuto a proporre.