sabato 28 marzo 2020

Il Vangelo con commento di domenica 29 marzo 2020.

Tenna (TN) con la sua chiesa. 
"Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario." 

È la comunità che deve liberarsi dall’idea della morte come fine della persona perché, fintanto che si piange una persona come morta, non la si può sperimentare come vivente. Allora bisogna sciogliere il morto, lasciarlo andare verso il Padre, dove Lazzaro già è, vivo, vivente più che mai. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL vangelo secondo Giovanni (Gv 11,1  -45)
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?».
Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Il commento. 
La buona notizia portata da Gesù è che la morte, non solo non interrompe la vita, ma è quello che le permette di fiorire in una forma nuova, piena e definitiva. E’ quanto formula Giovanni nel suo vangelo con un episodio che è esclusivo di questo evangelista, quello della risurrezione di Lazzaro, al capitolo 11.
Lazzaro, discepolo di Gesù, sta male, muore, e, quando Gesù arriva, è già nel sepolcro. Vediamo come l’evangelista presenta l’incontro di Gesù con la comunità rappresentata dalle sorelle. Ebbene, la prima reazione di una delle sorelle, Marta, è di rimprovero verso di lui. Avevano mandato a dire a Gesù che Lazzaro era malato e Gesù non si è mosso.
Quindi, la prima reazione è di rimprovero, “«Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Ma anche ora so …»” lei si rifà a quello che sa, alla tradizione, “«.. che qualunque cosa chiederai a Dio, Dio te la concederà»”. Per comprendere tutta la dinamica di questo dialogo bisogna sapere questo: il verbo chiedere indica la richiesta di un inferiore a un superiore, mentre quando una richiesta è tra pari, si usa il verbo ‘domandare’. Quindi lei pensa che Gesù sia inferiore a Dio, non ha capito che in Gesù si manifesta la pienezza di Dio.
Gesù le risponde: “«Tuo fratello risorgerà»” e Marta replica seccata: “«So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno»”. Lei crede che la risurrezione sia alla fine dei tempi e quindi questo non porta consolazione o conforto a chi piange la persona amata. Ed ecco – è importante questo versetto – che Gesù cambia radicalmente il concetto della vita, il concetto della morte e il concetto della risurrezione.
“Gesù le disse: «Io sono»”, ‘io sono’ è il nome divino, ma è al presente, non dice ‘io sarò’. “«Io sono la risurrezione»”. La risurrezione non sarà in un futuro, come Marta crede, ma è presente con Gesù, perché Gesù dice: “«Io sono la risurrezione e la vita»”. Gesù è la risurrezione e la vita. E poi, ecco l’importante dichiarazione di Gesù sulla vita e la morte. “«Chi crede in me, anche se muore, vivrà»”.
Quindi un discepolo, come Lazzaro, che ha dato adesione a Gesù, anche se adesso è morto, continua a vivere. Quindi, chi crede anche se muore, vivrà. E poi, rivolto alla comunità, invece, che è viva, Gesù dichiara: “«Chiunque vive e crede in me»”, quindi quelli che hanno dato adesione a lui, “«non morirà in eterno»”.
Gesù viene a cambiare il concetto della vita e della morte. Il Signore non risuscita i morti, ma dona ai vivi una vita capace di superare la morte. La vita eterna non è più una speranza per il futuro, ma una certezza del presente. Quindi, di fronte a questo cambio radicale della vita e della morte, Gesù chiede a Marta: “«Credi questo?»” cioè, credi che chi mi da adesione ha una vita capace di superare la morte?
“E Marta risponde: «Sì, o Signore, io credo»”. Ora finalmente non sa, ma crede e dà adesione, “«Che tu sei il Cristo»” - c’era la scomunica per quanti riconoscevano in Gesù il messia – “«il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo»”. Dette queste parole va a chiamare Maria, di nascosto. Perché di nascosto? Fintanto che la comunità crede che Gesù sia un profeta, un inviato da Dio, gode di simpatia nel popolo, anche tra i capi. Ma, quando riconosce che Gesù è il messia, è lì che incominciano i problemi.
Ebbene, Gesù – afferma l’evangelista – “non era entrato nel villaggio”, il villaggio è sempre il luogo della tradizione, che fa fatica ad accogliere la novità portata da Gesù e, in questo villaggio, ci sono invece i Giudei, i capi del popolo, che fanno il cordoglio funebre alle sorelle di Lazzaro per la morte del fratello. E qui c’è da distinguere tra due verbi greci, tra ‘piangere’ e ‘singhiozzare’.
Le sorelle e i Giudei piangono ed è il pianto che significa disperazione per qualcosa che non c’è più. Ebbene Gesù, vedendo tutto questo, qui traducono con ‘si commosse profondamente’. Non si commosse, il verbo indica ‘sbuffare’, Gesù freme perché vede che la sua comunità la pensa esattamente come i suoi nemici, i Giudei. Non hanno ancora compreso la novità che lui già aveva detto, che la vita che lui comunica è capace di superare la morte.
Gesù già l’aveva detto: “Chi osserva la mia parola non morirà mai”, ma ancora non è stato capito. Allora, “Molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?»” Cioè, siete voi che lo avete messo da qualche parte. E Gesù non ‘scoppiò in pianto’, ma lacrimò. L’evangelista distingue il pianto dei Giudei e delle sorelle, che è un pianto di disperazione, e il lacrimare di Gesù che è espressione di dolore.
Allora Gesù, sempre fremendo, si reca al sepolcro – era una grotta – “contro di essa era posta una pietra”. Conosciamo tutti il detto “mettere una pietra sopra”, significa che è finito tutto. Sì, si risuscita l’ultimo giorno, ma non è certo una speranza. E qui ci sono tre verbi imperativi che Gesù comanda alla sua comunità e sono “togliere”, “sciogliere” e “lasciare”.
Il primo “togliete la pietra”. Siete voi che avete messo questa pietra che impedisce la comunicazione tra i morti e i vivi. “E gli rispose Marta, la sorella del morto”. E’ strano che l’evangelista ci ricordi che Marta è la sorella del morto e non di Lazzaro, perché è l’idea della morte che domina questa comunità. “«Signore, manda già cattivo odore»”. La morte si considerava reale, definitiva al terzo giorno, quando iniziava ormai irreversibile la decomposizione de cadavere.
Quindi nel quarto giorno il cadavere era già in putrefazione e l’effetto della morte è la puzza. “«E’ lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Ma Gesù quando aveva chiesto a Marta se credeva le aveva chiesto “credi che chi vive e crede non muore?” Adesso invece Gesù dice: “Se credi vedrai la gloria di Dio”.
Cosa vuole indicare? Che con la vita indistruttibile, capace di superare la morte, si manifesta la gloria di Dio. La gloria di Dio è una vita capace di superare la morte. “Tolsero dunque la pietra”, e il termine pietra appare per la terza volta, “e Gesù gridò a gran voce …”, lui si rivolge ad un vivo, “«Lazzaro, vieni fuori!»” perché il regno dei morti non è il luogo per un discepolo di Gesù. Chi ha dato adesione a Gesù, ha lo spirito, e lo spirito è vita. E là dove c’è la vita, non ci può essere la morte.
Ma, stranamente, mentre Gesù ha chiamato Lazzaro, scrive l’evangelista, “il morto uscì”. Allora qui c’è un problema. Se è morto non può uscire, se è vivo non è più morto. Perché l’evangelista dice che il morto uscì? E addirittura dice “i piedi e le mani legati con bende”. Una delle immagini per indicare la morte, e la troviamo nel salmo 116 “mi stringevano le funi di morte”. E’ la comunità che deve cambiare l’immagine della morte e della risurrezione. Per loro Lazzaro è morto e questo morto che deve uscire dal sepolcro per permettere poi a Lazzaro di essere presente nella comunità.
Sono loro che lo hanno legato nelle funi della morte, considerando la morte come un fatto irreversibile. Ed ecco allora il comando di Gesù: “«Scioglietelo»”, sciogliendo il morto è la comunità che si scioglie dalla paura della morte. E l’ultimo strano comando di Gesù, non dice “andiamogli incontro, accogliamolo, facciamolo venire”. Tra l’altro Lazzaro poi scompare e non dice neanche una parola né a Gesù, né alle sue sorelle. “«Lasciatelo andare»”.
Ma dove deve andare Lazzaro? O meglio, dove deve andare il morto? Deve continuare il cammino verso il Padre. Il verbo ‘andare’ nel vangelo di Giovanni è usato per Gesù per indicare il suo itinerario verso il Padre. Allora cosa vuol dire l’evangelista attraverso queste immagini? Che è la comunità che deve liberarsi dall’idea della morte come fine della persona perché, fintanto che si piange una persona come morta, non la si può sperimentare come vivente. Allora bisogna sciogliere il morto, lasciarlo andare verso il Padre, dove Lazzaro già è, vivo, vivente più che mai.

sabato 21 marzo 2020

Il Vangelo con commento di domenica 22 marzo 2020.

Veduta di Levico Terme con la sua chiesa. 
Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato»... 

L’evangelista sta dicendo che non la dottrina, ma l’esperienza dell’individuo è quella che ha la meglio.

E’ il primato della propria coscienza sulla dottrina. La dottrina può dire quello che vuole, che la tua esperienza è negativa, che sei in peccato, ma se la tua vita ti dice che questo è positivo, se questo ti dà e comunica vita, questo è quello che conta.

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL vangelo secondo Giovanni (Giov 9, 1 - 41)
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: « È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Il commento.
Le autorità religiose che pretendono di essere la luce del popolo, le guide dei ciechi – come amavano farsi chiamare – in realtà sono esse stesse accecate dalla propria dottrina che impedisce loro di vedere le azioni del Dio creatore. E’ quanto formula il capitolo 9 del vangelo di Giovanni.
In questo episodio Gesù restituisce la vista a un cieco nato, mandandolo alla piscina di Siloe. E l’evangelista specifica cosa significa “l’inviato”, che è Gesù stesso. Quindi Gesù, che si è definito “luce del mondo”, invita quest’individuo, che mai ha saputo cosa fosse la luce, ad andargli incontro. “Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”.
E qui cominciano i guai. Da miracolato, l’individuo si trova subito ad essere imputato. Anzitutto c’è la meraviglia dei vicini, di quelli che lo avevano visto prima, che era mendicante, che non lo riconoscono. E’ strano. Come fanno a non riconoscerlo? In fondo gli è solo tornata la luce agli occhi, non è che ha cambiato fisionomia. E’ che quando si incontra Gesù, e il suo messaggio restituisce dignità e libertà alle persone, si è quelli di prima, ma si è anche una persona completamente nuova.
E’ questo il motivo per cui non riconoscono il cieco nato. E, di fronte alla disputa su “è lui o non è lui”, l’ex-cieco dice “«Io sono»”. E’ lo stesso modo con il quale Gesù rivendica la condizione divina. Quando si incontra Gesù, la condizione divina di Gesù è comunicata anche a quanti lo accolgono. Come aveva detto Giovanni nel suo prologo “A quanti lo hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio”.
Ebbene, incomincia qui il problema per questo ex cieco. Per la prima volta, e ben sette volte – è questo il tema conduttore del brano – gli chiederanno come gli siano stati aperti gli occhi. Per comprendere questa domanda che cadenzerà tutto l’episodio per ben sette volte, bisogna ricordare che “aprire gli occhi” era immagine di una liberazione dall’oppressione, e sarebbe stato il compito del messia.
Incapaci di avere un’opinione propria, che non fosse quella emanata dalle autorità e dai capi spirituali, conducono questo ex cieco dai farisei, i leader spirituali del popolo. Perché? Perché era sabato. Per la seconda volta Gesù guarisce qualcuno in un giorno in cui era proibito non solo curare gli ammalati, ma anche visitarli. Il sabato – lo sappiamo – era il comandamento più importante, quello che Dio stesso osservava.
Quindi sono incapaci di giudicare questo avvenimento perché c’è indubbiamente un aspetto positivo, però c’è la trasgressione del comandamento più importante. Allora anche i farisei chiedono come quest’uomo abbia recuperato la vista. Non c’è nessuna allegria, nessun rallegramento rispetto al fatto che quest’uomo, cieco dalla nascita, avesse recuperato la vista. Ma vogliono sapere soltanto il come.
E, abituati sempre a giudicare tutti e tutto con la legge in mano, che è l’unico loro criterio di giudizio, “alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo»”, cioè Gesù, “«non viene da Dio perché non osserva il sabato»”. L’unico criterio di giudizio per i farisei è l’osservanza della legge, non il bene dell’uomo. Per Gesù, invece, il criterio di giudizio è il bene dell’uomo. Chi giudica in base alla legge, alla dottrina, a un codice, è chiaro e sostiene che Gesù non viene da Dio. Altri chiedevano come potesse un peccatore operare questi segni.
“Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che cosa dici»”. Incapaci di dare una risposta, vogliono che se la dia l’ex cieco, “«dal momento che ti ha aperto gli occhi»”, è questo che li preoccupa. Li preoccupa che l’uomo abbia aperto gli occhi perché l’istituzione religiosa può dominare le persone fintanto che il popolo è cieco, ma quando apre gli occhi e vede il volto di Dio e la dignità alla quale lo chiama, i primi a farne le spese sono quelli che presumono di essere rappresentanti di questo Dio e in realtà sono soltanto la tenebra che ostacola questa luce del mondo.
Ebbene lui risponde: “«Viene da Dio». Mentre i farisei erano sicuri dicendo “Quest’uomo non viene da Dio”, il cieco – colui che era cieco vede invece coloro che vedevano sono ciechi – dice: “«E’ un profeta», cioè viene da Dio. Allora entrano in campo i giudei. Con questo termine l’evangelista indica i capi religiosi del popolo; ebbene, per difendere la loro dottrina, questi negano l’evidenza. “Non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse riacquistato la vista”.
Per difendere la loro teologia, per difendere la loro dottrina, per difendere la legge, negano la vita, negano l’evidenza, negano la vita. E intimidiscono i genitori dell’ex cieco e li interrogano. E’ un interrogatorio molto pesante, facendo intuire che sono degli imbroglioni e fanno due domande: “«E’ questo il vostro figlio»”, quindi insinuano il dubbio che non fosse il loro figlio, “«che voi dite essere nato cieco?»” Quindi sono due domande. “E’ vostro figlio?” e “E’ nato cieco? Come mai ora ci vede?” I genitori rispondono che è loro figlio, è nato cieco, e non sanno come abbia aperto gli occhi e dicono “«Chiedetelo a lui, ha l’età»”. Significa che è maggiorenne, è maggiore di tredici anni.
E l’evangelista annota che dissero questo per paura delle autorità religiose perché avevano già deciso che, chiunque avesse riconosciuto Gesù come il messia, il Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga, cioè la morte civile. Con gli espulsi dalla sinagoga, considerati degli appestati, bisognava tenere una distanza di almeno due metri di sicurezza.
Non contenti, “chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio»”, espressione che significa “confessa, riconosci, sii sincero, anche magari a tue spese”. Ed ecco allora la sentenza: “«Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore»” Quindi il giudizio delle autorità deve essere più valido dell’esperienza dell’individuo. Per le autorità il popolo non può avere una propria opinione che non sia quella da loro emanata.
Ebbene la risposta dell’ex cieco è ricca di humor. Dice: “Io non entro in questioni teologiche che non è mia la competenza” … “«Se sia un peccatore non lo so»”, quindi non entra in questioni dottrinali, lui parla della propria esperienza, “«Una cosa so: ero cieco e ora ci vedo»”, voi direte che quest’uomo è un peccatore, voi forse volete insinuare che per me sarebbe stato meglio rimanere cieco piuttosto che recuperare la vista da un peccatore, ma la mia esperienza è positiva: prima ero cieco e adesso ci vedo.
L’evangelista sta dicendo che non la dottrina, ma l’esperienza dell’individuo è quella che ha la meglio. E’ il primato della propria coscienza sulla dottrina. La dottrina può dire quello che vuole, che la tua esperienza è negativa, che sei in peccato, ma se la tua vita ti dice che questo è positivo, se questo ti dà e comunica vita, questo è quello che conta.
Quindi l’ex cieco ridicolizza l’atteggiamento di queste autorità. Dice “se sia un peccatore non lo so, ma so una cosa: che  ero cieco e ora ci vedo”. Ed ecco allora di nuovo l’insistenza della domanda: “«Come ti ha aperto gli occhi?»” Questo vogliono sapere, come ha fatto ad aprirgli gli occhi. E, con fine umorismo, il cieco dice: “«Ve l’ho già detto e non avete ascoltato .. Volete forse anche voi diventare suoi discepoli?»”
Non l’avesse mai detto, “Lo insultarono”. Quando le autorità non sanno come rispondere, passano all’insulto. “E dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè!»” Loro non seguono un vivente, ma venerano un morto. “«Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio, ma costui …»”, è interessante che nei vangeli le autorità religiose, i Giudei, i capi, quando si rivolgono a Gesù, o parlano di Gesù, evitano sempre di nominare il nome, e usano un termine dispregiativo “Costui”.
“«Costui non sappiamo di dove sia»”. Non conoscono Gesù perché non conoscono Dio, non conoscono il Padre amante della vita. I difensori del Dio legislatore non possono comprendere le azioni del creatore che non si manifestano nella dottrina, ma nella vita. “Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: voi non sapete di dove sia eppure mi ha aperto gli occhi»”.
Per la sesta volta notiamo l’insistenza di questo aprire gli occhi che il filo conduttore di tutto questo brano, e l’ex cieco, che è un mendicante, con il buon senso, ridicolizza le acrobazie teologiche dei capi. Tutti si rendono conto che c’è un intervento divino, meno le autorità. E con il buon senso replica, “«Da che mondo è mondo non si è mai sentito che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla»”. E’ una cosa elementare. E’ una cosa talmente chiara …
Come fanno le autorità a non comprendere questo? La dottrina li ha accecati. Per loro, quello che interessa è il bene della dottrina, quindi la difesa della loro istituzione, e non il bene dell’uomo. A loro il bene dell’uomo non interessa. Non desiderando apprendere, ma soltanto insegnare, gli replicano con violenza “«Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?» All’inizio del brano c’era la domanda dei discepoli se avesse peccato questo ragazzo o i suoi genitori per il fatto di essere cieco.
La cecità era considerata una maledizione perché impediva lo studio della legge. Ebbene, i Giudei, i capi, non hanno dubbi. E’ nato nei peccati; l’uomo deve tornare cieco per dare loro ragione. “E lo cacciarono fuori”, cioè l’espulsione dalla sinagoga. Ma non è un gran danno: cacciato dalla religione, trova la fede. Infatti, cacciato dalla sinagoga, Gesù lo cerca e lo trova. I capi religiosi che scomunicano, in realtà sono loro i veri scomunicati.

sabato 14 marzo 2020

Il Vangelo con commento di domenica 15 marzo 2020.

Basilica di Santa Novella - Firenze.
... «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete»”...
Perché quest'acqua è immagine della legge e la legge non riesce a rispondere al desiderio che ogni uomo porta dentro.
Perché, per la legge, l'uomo è sempre limitato, inadeguato, inadempiente.

Quindi l'amore di Dio non è un'esperienza di osservanza di una legge esterna all'uomo, ma l'esperienza di una forza interiore, perché Dio non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d'amore.

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Gv 4, 5-15.19b-26.39a.40-42)
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».
Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui. E quando giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Il commento.
Sono tre i personaggi femminili nel vangelo di Giovanni, ai quali Gesù si rivolge con l'appellativo “donna”, che significa “sposa, moglie” e rappresentano in qualche modo le spose di Dio. Il rapporto tra Dio e il suo popolo, attraverso i profeti, in particolare da Osea in poi, il profeta della Samaria, era raffigurato come quello di un matrimonio. Dio era lo sposo e il popolo la sua sposa.
Allora in questo vangelo Gesù si rivolge chiamandola “donna”, cioè “sposa”, la madre alle nozze di Cana, la madre rappresenta il popolo che è stato sempre fedele a Dio, testimone della nuova alleanza che Gesù verrà a proporre, perché in quella vecchia non c'è vino, cioè manca l'amore.
Poi Gesù, nel brano che adesso vediamo, si rivolge con lo stesso appellativo “donna”, moglie, alla donna adultera, la sposa adultera, che lo sposo va a riconquistare non attraverso delle minacce o dei castighi, ma con un'offerta ancora più grande di amore. Infine, il terzo ed ultimo personaggio femminile al quale Gesù si rivolgerà chiamandola “donna” è Maria di Magdala che rappresenta la nuova comunità, la sposa del Signore.
In questo brano c'è l'intenzione di Dio, che è Gesù, di recuperare la sposa adultera. Ecco perché nel versetto che purtroppo la liturgia ha eliminato da questa lettura (i versetti 3 e 4) si legge che “Gesù lasciò la Giudea, si diresse di nuovo verso la Galilea” e, scrive l'evangelista, “doveva perciò attraversare la Samaria”.
Questo “doveva attraversare la Samaria”, non si deve a un itinerario geografico. Normalmente dalla Giudea alla Galilea si percorreva la più comoda e tranquilla vallata del Giordano, perché, essendoci inimicizia tra galilei, giudei e samaritani, attraversando quella regione significare andare incontro a guai. E spesso ci si lasciava la pelle. Allora questo “dover” da parte di Gesù “attraversare la Samaria”, non si deve a motivi di itinerario, ma a motivi teologici.
E' lo sposo che va a recuperare la sposa adultera. L'evangelista ci presenta una donna samaritana, anonima. Quando i personaggi sono anonimi significa che sono personaggi rappresentativi di una realtà che l'evangelista vuole presentare. E Gesù, indifferente ai conflitti della razza, della religione e del sesso, si rivolge a questa donna chiedendole da bere. E' una cosa che un uomo giudeo non avrebbe mai fatto, chiedere a una donna, e per di più ad una samaritana, una nemica, che è considerata impura.
Infatti la donna samaritana si meraviglia e chiede a Gesù: “«Come mai tu che sei giudeo, chiedi da bere a me che sono donna»”, e lo sottolinea, un uomo non rivolge la parola a una donna, e poi questa è samaritana. I samaritani, per la loro idolatria che adesso vedremo, erano considerati impuri, nemici di Dio e nemici di tutti gli uomini. E l'evangelista diplomaticamente sottolinea: “I giudei infatti non hanno rapporti con i samaritani”, ovvero se le davano di santa ragione tutte le volte che si trovavano.
Bene, Gesù ha chiesto un minimo segno di accoglienza, di ospitalità, per poi rispondere lui con il suo dono. E “Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio»”. Lo sposo va a riconquistare la sposa adultera, non attraverso le minacce, ma con un'offerta ancora più grande del suo amore. E dice Gesù: “se tu conoscessi questo dono e colui che ti da da bere, tu stessa gli avresti chiesto acqua viva”, cioè l'acqua della sorgente.
Ed ecco che qui il dialogo si svolge tra due differenti termini che riguardano il luogo di quest'acqua. Dispiace che i traduttori non ne tengano conto. Mentre la donna parla di pozzo, che significa un luogo dove c'è l'acqua, ma l'acqua non è viva e, soprattutto, esige lo sforzo dell'uomo, in questo caso della donna, per attingere l'acqua.
Il pozzo è l'immagine della legge e l'acqua è quella che da la vita. Mentre la donna parla di pozzo, cioè lei non conosce un dono gratuito, Gesù le parla di sorgente. Nella sorgente l'acqua è viva, l'acqua zampilla, e soprattutto non richiede nessuno sforzo da parte della donna che ha sete, se non quello di bere. Infatti Gesù le risponde: “«Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete»”, immagine della legge. La legge non riesce a rispondere al desiderio che ogni uomo porta dentro.
Perché, per la legge, l'uomo è sempre limitato, inadeguato, inadempiente. Ma Gesù dichiara: “«Chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno»”. Il suo messaggio, la sua persona, è la risposta di Dio al desiderio di pienezza che ogni persona si porta dentro. E, aggiunge Gesù: “«Anzi, l'acqua che io gli darò, diventerà in lui ...»”, quindi non è più un'acqua esterna, ma un'acqua interiore “«... una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna»”. L'amore di Dio, che attraverso Gesù viene comunicato all'uomo, nella misura in cui l'uomo lo accoglie e lo trasmette agli altri, in questo dinamismo di un amore ricevuto e di un amore comunicato, realizza, fa crescere e matura la sua esistenza per sempre. Rende la vita indistruttibile.
Quindi non è un'esperienza di osservanza di una legge esterna all'uomo, ma l'esperienza di una forza interiore, perché Dio non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d'amore. A questo punto, stranamente, Gesù chiede alla donna di andare a chiamare il marito. La risposta della donna è che non ha marito. E Gesù le fa notare che ha avuto cinque mariti.
Cosa significa questo? Abbiamo visto che la donna è anonima; i personaggi anonimi sono personaggi rappresentativi, quindi la donna rappresenta la Samaria, e cosa sono questi cinque mariti? Questa regione era stata popolata da coloni provenienti da altre nazioni i quali avevano portato le loro divinità. Per cui su cinque monti c'erano cinque templi a cinque divinità. Poi, sul monte Garizim, il tempio a Jahvè.
Quindi adoravano Jahvè, ma insieme agli altri dei. E, nella lingua ebraica, “signore” e “marito” hanno lo stesso significato. La donna capisce. Capisce che quello che ha chiamato Signore adesso è un profeta, e si richiama alla tradizione. “«I nostri padri hanno adorato su questo monte, voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare»”. Ha compreso il richiamo di Gesù ed è disposta a tornare al vero Dio.
Solo che vuole sapere dove. Ci sono tanti santuari, specialmente quello importante del Garizim, dove adorano il Dio di Israele, ma c'è anche quello di Gerusalemme . Allora lei è disposta a tornare a Dio, ma vuole sapere dove. Ecco la novità importante che Gesù proclama a questa donna samaritana, la fine del tempio, la fine del culto. “«Credimi o donna»”, le si rivolge chiamandola “donna”, sposa, “«Viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre».
Lei s'è richiamata ai padri, “i nostri padri”, Gesù la invita ad accogliere il Padre, lei pensava di andare in un luogo per offrire a Dio, ora è iniziata l'epoca in cui è Dio che si offre agli uomini, chiede di essere accolto per aumentare la loro capacità d'amore e renderli capaci di un amore generoso e incondizionato come il suo. Ecco l'importante annunzio di Gesù: “«Ma viene l'ora – ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità»”.
Spirito e verità è un'espressione che indica l'amore fedele. L'unico culto che Dio chiede non parte dagli uomini verso Dio, ma dal Padre verso gli uomini. E' la comunicazione del suo amore che l'uomo fa proprio, e l'unico culto che Dio gli chiede è il prolungamento di questo amore. Spirito e verità significa un amore vero. Quand'è che l'amore è vero? Quando l'amore è fedele. Infatti … e qui c'è la traduzione della CEI … “«Infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano»”. E meglio andare al testo originale, dove l'evangelista dice: “«Infatti il Padre cerca tali adoratori»”
E' tanta l'urgenza del Padre di manifestarsi agli uomini, che il Padre li cerca per realizzare il suo disegno d'amore. Ed ecco l'espressione stupenda di Gesù: “«Dio è spirito»”; Spirito non è qualcosa di astratto, ma significa l'energia vitale creatrice. “«E quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità»”, in amore fedele. Quindi Dio è energia d'amore creatrice che chiede soltanto di essere accolto dall'uomo per prolungare il suo amore per tutta l'umanità. Questa è la novità apportata da Gesù. E' la fine del tempio, perché non c'è più bisogno del tempio, e la fine del culto, che era una diminuzione dell'uomo nei confronti di Dio.
L'uomo doveva togliersi qualcosa per darla a Dio. Nel nuovo culto è Dio che si offre agli uomini perché con lui e come lui, si diano a tutta l'umanità.

sabato 7 marzo 2020

Il Vangelo con commento di domenica 8 marzo 2020.

Levico Terme e la sua chiesa. 
La condizione divina, per Gesù, non si ottiene attraverso il potere, ma attraverso l’amore, non dominando, ma servendo, non togliendo la vita, ma offrendo la propria. L’effetto di questo orientamento della vita per il bene degli altri, è la trasformazione.

La morte per Gesù non diminuisce la persona, ma è ciò che la trasforma. Quindi la morte è una trasformazione dell’individuo.

DAL vangelo secondo matteo (Matteo 17, 1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Il commento.
L’evangelista Matteo presenta la risposta di Gesù alle tentazioni nel deserto. La terza, l’ultima tentazione nel deserto, era stata quando il diavolo aveva portato Gesù su un monte alto – il monte alto indica la condizione divina – offrendogli tutti i regni e la gloria del mondo. Cioè l’invito, la seduzione, la tentazione verso Gesù di conquistare la condizione divina, ottenendo il potere per dominare.
Per comprendere questa tentazione bisogna ricordare che, all’epoca, tutti quelli che detenevano si consideravano di condizione divina, come il faraone che era un Dio, l’imperatore romano che era figlio di un Dio, quindi il diavolo offre a Gesù la condizione divina attraverso il potere. Bene, l’episodio della trasfigurazione è la risposta di Gesù a questa tentazione.
Vediamo il capitolo 17 del vangelo di Matteo. “Sei giorni dopo”, l’indicazione è preziosa. Sei giorni dopo richiama due importanti avvenimenti: la creazione dell’uomo nel libro della Genesi e quando Dio manifesta la sua gloria sul monte Sinai. Quindi la cifra “sei giorni” richiama due cose: la creazione dell’uomo e la gloria di Dio. L’evangelista vuole dimostrare che, in Gesù, si manifesta la pienezza della creazione e, con essa, la gloria di Dio. E vedremo il perché. “Gesù prese con sé Pietro”, il discepolo viene presentato con il suo soprannome negativo, che significa “l’ostinato, il testardo”, “Giacomo e Giovanni”. Sono i tre discepoli difficili, sono quelli che lo tentano al potere.
Quanto Gesù annunzierà che a Gerusalemme sarà messo a morte, saranno Giacomo e Giovanni che gli chiederanno di condividere con loro i posti più importanti. Ebbene, Gesù prende con sé Pietro, e Pietro, nell’episodio precedente, era stato oggetto della più violenta denuncia, del più violento epiteto rivolto da Gesù a un suo discepolo. Gesù l’aveva chiamato “satana”. “Vattene satana!” Le stesse parole con le quali Gesù aveva respinto la tentazione nel deserto.
Ma a Pietro dà una possibilità, “Vattene satana, torna a metterti dietro di me”, perché Pietro voleva lui indicare la via di Gesù, e soprattutto Pietro rifiutava l’idea di morte di Gesù, perché per Pietro la morte era la fine di tutto. Allora Gesù prende ora con sé il suo satana e risponde alla tentazione di Pietro e a quella del deserto.
“E li condusse in disparte”, quando troviamo la formula ‘in disparte’, è un termine tecnico adoprato dagli evangelisti, che vuole indicare sempre ostilità, incomprensione, da parte di discepoli o altri, verso Gesù e il suo messaggio. “Su un alto monte”, ecco, come il diavolo aveva portato Gesù su un monte altissimo, ecco che Gesù porta il suo diavolo, il suo tentatore, Pietro, su un alto monte, il luogo della condizione divina.
“E fu trasfigurato davanti a loro”. La condizione divina, per Gesù, non si ottiene attraverso il potere, ma attraverso l’amore, non dominando, ma servendo, non togliendo la vita, ma offrendo la propria. L’effetto di questo orientamento della vita per il bene degli altri, è la trasformazione. La morte per Gesù non diminuisce la persona, ma è ciò che la trasforma. Quindi la morte è una trasformazione dell’individuo. “Fu trasfigurato davanti a loro, il suo volto brillò come il sole”, questo indica la condizione divina.
Gesù aveva detto che i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre, “e le sue vesti divennero candide come la luce”, sono i colori dell’angelo che annuncia la risurrezione. Quindi in Gesù si manifestano gli effetti della risurrezione; la morte non distrugge la vita, ma è ciò che le permette di fiorire in una forma nuova, piena, completa e definitiva. Una forma che nell’esistenza terrena non è possibile raggiungere.
“Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia”, Mosè ed Elia raffigurano rispettivamente la legge e i profeti, quello che noi chiamiamo Antico Testamento, “che conversavano con lui”. Mosè ed Elia sono i due personaggi che, nell’Antico Testamento, hanno parlato con Dio e adesso parlano con Gesù. Non hanno nulla da dire ai discepoli. Qui la traduzione dice “prendendo la parola”, invece l’evangelista scrive “reagì”, quindi è una reazione.
“Il Pietro”, l’articolo determinativo richiama l’atteggiamento ostinato di questo discepolo, “reagì il Pietro e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè, e una per Elia». C’è una festa in Israele tanto importante che non ha bisogno di essere nominata, è chiamata semplicemente ‘la festa’; è la festa per eccellenza, più importante anche della Pasqua. E’ la festa delle capanne che ricorda la liberazione dalla schiavitù egiziana, e per questa settimana, tra settembre e ottobre, si viveva sotto le capanne. Ebbene, in ricordo dell’antica liberazione, si aspettava e si sperava, si sarebbe manifestato e sarebbe giunto il liberatore.
Quindi il messia si sarebbe manifestato durante la festa delle capanne. Allora ecco che Pietro continua nel suo ruolo di tentatore, il satana di Gesù. Perché, cosa fa? Dice “se vuoi farò qui tre capanne”, era la festa nella quale il messia si sarebbe manifestato, e notiamo l’ordine di queste capanne, “una per te, una per Mosè, una per Elia”. Quando ci sono tre personaggi, il più importante sta sempre al centro. Per Pietro l’importante è Mosè, non Gesù.
Pietro riconosce in Gesù il messia, ma un messia secondo la linea dell’osservanza della legge imposta da Mosè. Il messia sarebbe stato un pio devoto osservante di tutte le regole della legge, e soprattutto, come Elia. Elia è stato il profeta zelante, troppo zelante forse, che scannò personalmente quattrocentocinquanta sacerdoti di un’altra divinità. Quindi il messia che vuole Pietro è questo: uno che osservi la legge e la imponga con la violenza come Elia.
“Egli stava ancora parlando, quando ecco una nube”, la nube nell’Antico Testamento, è immagine della presenza divina, “lo coprì con la sua ombra”. Quindi Dio non è d’accordo con quello che sta dicendo Pietro. Stava ancora parlando, quindi il Signore interrompe Pietro. “Ed ecco una voce che diceva”, è la voce di Dio, “«Questi è il Figlio mio »”, Figlio indica colui che assomiglia al Padre nel comportamento, non solo, “«l’amato»”, che indica l’erede, colui che eredita tutto, quindi colui che ha tutto del Padre.
“«In lui ho posto il mio compiacimento»”. E’ la stessa identica espressione che Dio pronunziò su Gesù al momento del battesimo. L’evangelista vuole dimostrare in questo modo qual è l’effetto del battesimo. Nel battesimo Gesù si era preso l’impegno di manifestare la fedeltà all’amore del Padre, anche a costo della sua vita, la risposta di Dio a questo impegno è una vita che è capace di superare la morte. La morte non distrugge la persona, ma la potenzia.
E poi ecco l’imperativo: “«Lui ascoltate»”. Quindi non devono ascoltare né Mosè, né tanto meno Elia; lui devono ascoltare, soltanto Gesù. Mosè ed Elia vengono relativizzati e posti in relazione con l’insegnamento con la vita di Gesù. Quello che concorda della legge o dei profeti con Gesù è ben accolto, quello che si distanzia, o è contrario, viene tralasciato.
La reazione dei discepoli. “All’udire ciò i discepoli caddero con la faccia a terra”, cadere con la faccia a terra è segno di sconfitta, di fallimento, quindi sentono di aver fallito. Non è questo il messia che loro stanno seguendo, “e furono presi da grande timore”, quindi si sentono sconfitti perché il messia che loro seguono è il messia che non muore, che trionfa; invece devono dare ragione alle parole di Gesù che aveva annunziato che a Gerusalemme sarebbe andato a morte.
Per loro è un segno di sconfitta e ora hanno anche timore di quale può essere la reazione di Gesù che è stato da loro così contraddetto. “Ma Gesù si avvicinò, li toccò”, come ha fatto con gli infermi e i morti, “e disse: «Alzatevi e non temete»”. La risposta di Gesù è sempre una comunicazione di vita. “Alzando gli occhi non videro nessuno”, Pietro, Giacomo e Giovanni ancora cercano Mosè ed Elia, perché è il passato, è la tradizione. E’ questo che da loro sicurezza; quindi cercano una conferma dei valori del passato. “Ma non videro nessuno, se non Gesù solo”. D’ora in poi dovranno affidarsi solo a Gesù, e non più fare affidamento su Mosè e la sua legge o sullo zelo profetico di Elia.
“Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»”. Questa immagine di un Gesù che passa attraverso la morte, una morte che, non solo non lo distrugge, ma lo potenzia, poteva essere male interpretata, come un segno in senso trionfalistico da parte dei discepoli. Non sanno ancora che questa condizione Gesù la otterrà passando attraverso la morte più infamante, quella riservata ai maledetti da Dio, la morte di un crocifisso.