sabato 25 aprile 2020

Il Vangelo con commento di domenica 26 aprile 2020.

Chiesa di Sant'Anna - Tret in Val di Non (TN)

Dai vangeli traspare che i discepoli sembrano essere delusi della risurrezione di Gesù: se Gesù è morto, non era lui evidentemente il messia... 
I discepoli vogliono un messia trionfatore. 

Ecco perché loro non avevano capito l’annunzio, le parole di Gesù, perché sono immersi in questa ideologia di potere che li rende refrattari alla parola del Signore.

E come l’avevano riconosciuto? Nello spezzare del pane. Questo criterio era valido allora ed è valido ancora oggi.
Gesù è riconoscibile nel suo corpo e il suo corpo è la comunità che si riunisce per farsi alimento per gli altri.

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL VANGELO SECONDO LUCA (Luca 24, 13-35)
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Il commento.
Dai vangeli traspare che i discepoli sembrano essere più delusi della risurrezione di Gesù che della sua morte. Nel vangelo più antico, che è quello di Marco, il testo termina con l’annunzio della risurrezione di Gesù alle donne, ma queste non dicono nulla a nessuno. La stessa delusione traspare dal vangelo di Luca con l’episodio dei discepoli di Emmaus.
Perché questa delusione per la risurrezione di Gesù? Se Gesù è morto significa semplicemente che hanno sbagliato messia, perché il messia non può morire. Quindi se Gesù è morto, hanno sbagliato personaggio e c’è soltanto da attendere un nuovo messia. A quell’epoca i messia nascevano come funghi, quindi significava che s’erano sbagliati.
Ma, ed è questa la delusione, se Gesù è risuscitato, allora tutte quelle speranze di restaurazione del regno di Israele, di dominio sopra gli altri popoli pagani, vanno a farsi benedire. Ecco la delusione che traspare in questo brano in cui ci sono questi discepoli che si recano dove? E’ importante la località. Èmmaus era un luogo importante perché era il paese dove c’era stata una battaglia tra Giuda Maccabeo e i pagani, ed era stata vinta dagli ebrei.
Era il luogo della speranza del Dio liberatore, con la sconfitta dei pagani e la liberazione di Israele. Ebbene Èmmaus richiamava tutto questo, la vittoria sui pagani e la liberazione di Israele. Quindi, visto che Gesù è morto, e non era lui evidentemente il messia, ecco che questi discepoli se ne tornano nel luogo che per loro è quello della rivincita e della vendetta di Dio sui pagani.
Di questi discepoli soltanto di uno viene detto un nome, che è tutto un programma. Si chiama Clèopa, che è un’abbreviazione di Cleopatros, che significa “del padre illustre, del padre glorioso”. Ecco, questi discepoli sono infarciti di ambizione, di gloria, di successo. E’ questo il messia che loro vogliono, il messia trionfatore.
Incontrano Gesù e, naturalmente, non lo riconoscono. Loro guardano al passato e non possono scoprire il Gesù che si presenta nel nuovo e a lui confidano tutta la loro delusione. “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”. Ma Gesù non è venuto a liberare Israele, Gesù è il salvatore dell’umanità. Gesù non è venuto a restaurare il defunto regno di Davide, ma ad inaugurare il regno di Dio. E ancora negli Atti degli Apostoli si legge che, visto che i discepoli non hanno compreso questo, una volta risuscitato Gesù, per ben quaranta giorni li riunisce e parla loro di un’unica tematica: il regno di Dio.
Ebbene, al quarantesimo giorno, uno dei discepoli gli chiede “Ma è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno di Israele?” Gesù parla del regno di Dio, ma loro non intendono, sono ciechi e sordi, perché la loro idea e la loro speranza è la restaurazione del regno di Israele. Allora Gesù “cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò…”
Il termine utilizzato dall’evangelista è quello da cui deriva il termine “ermeneutica”, termine tecnico che significa interpretazione. Quindi Gesù più che spiegare, interpreta la scrittura. Gesù non legge loro la scrittura, ma la interpreta. La scrittura non va solo letta, ma appunto interpretata. Nell’Eucarestia è fondamentale “spezzare” la Parola e spezzare il Pane: se non c’è “Parola spezzata” e non c’è “Pane spezzato, non c’è Eucarestia. L’assemblea celebrante è il corpo di Cristo risorto (e quindi non può in alcun modo essere pensata o resa accessoria) Ci deve essere una “Parola” che si nutre del “Pane” e un “Pane” che si nutre della “Parola”.  Perché questo? Perché la scrittura può essere appresa soltanto con l’amore. Chi mette al primo posto, come valore assoluto, il bene dell’uomo, può comprendere la scrittura. Questa è la chiave d’interpretazione dell’antico e del nuovo.
Ebbene, quando sono vicini al villaggio – il villaggio nei vangeli è sempre simbolo di tradizione, di incomprensione del messaggio di Gesù – i discepoli sono diretti al villaggio, sono diretti alla tradizione, non riescono a comprendere il nuovo, mentre Gesù, scrive l’evangelista, “fece come se dovesse andare più lontano”. Gesù va verso il nuovo e loro invece vanno verso il vecchio.
Comunque chiedono a Gesù di rimanere con loro. E “quando fu a tavola con loro, prese il pane”, come ha fatto nell’ultima cena, ripete gli stessi gesti, “recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”. “Allora”, scrive l’evangelista, “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”. Gesù è riconoscibile quando il pane viene preso e spezzato. Gesù, il figlio di Dio, si fa pane, spezza la sua vita per gli uomini, perché quanti lo accolgono e sono capaci a loro volta di farsi pane e alimento di vita per gli altri, diventino figli dello stesso Dio.
E’ questa l’esperienza che rende percepibile la presenza di Gesù. “Ma egli” … non sparì come è scritto nella traduzione, ma letteralmente “… divenne invisibile”. Gesù non è scomparso, ma è invisibile perché Gesù ormai è visibile soltanto nel pane che si spezza, nel pane che è condiviso, nella comunità che si fa pane per gli altri. Infatti, quando tornano a Gerusalemme dagli altri discepoli, quello che i due di Èmmaus raccontano … “narravano di ciò che era accaduto lungo la via”.
“Lungo la via” era il luogo della semina sul terreno, che Gesù già aveva spiegato … “viene il satana”, che è l’immagine del potere che toglie via il messaggio. Ecco perché loro non avevano capito l’annunzio, le parole di Gesù, perché sono immersi in questa ideologia di potere che li rende refrattari alla parola del Signore. E come l’avevano riconosciuto? Nello spezzare del pane. Questo criterio era valido allora ed è valido ancora oggi.
Gesù è riconoscibile nel suo corpo e il suo corpo è la comunità che si riunisce per farsi alimento per gli altri.

sabato 18 aprile 2020

Il Vangelo con commento di domenica 19 aprile 2020.

Chiesa del Santissimo Redentore - Pergine Valsugana (TN) 
«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

E, mentre c’è il bisogno da parte della gente di qualcosa da vedere per credere, Gesù propone il contrario: “Credi e diventerai tu un segno che gli altri possono vedere”.

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Giovanni 20, 19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro che perdonerete i peccati saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Il commento. 
Tutti i discepoli di Gesù si sono nascosti in casa per paura di fare la stessa fine del loro maestro – il mandato di cattura era per tutto il gruppo, non solo per Gesù, perché non era pericoloso soltanto Gesù, ma il suo messaggio, e se c’è in giro qualcuno che lo annunzia, l’istituzione religiosa non dorme sonni tranquilli.
Ebbene, mentre tutti i discepoli sono chiusi, come scrive l’evangelista “per timore dei Giudei”, cioè dei capi religiosi, c'è uno che non ha questa paura, e per questo non è presente quando Gesù si manifesta ai suoi. Lui non ha paura, non si è rinchiuso con gli altri perché è il discepolo che, come aveva detto nell'episodio di Lazzaro, è disposto a morire con Gesù.
Questo discepolo si chiama Tommaso e, dopo Simon Pietro, è quello più importante del vangelo di Giovanni. E' nominato per ben sette volte. Questo Tommaso è conosciuto come “didimo”, cioè gemello. Di chi è il gemello? E' il gemello di Gesù. Perché è disposto con Gesù e come Gesù a dare la vita per gli altri. E' quello che più gli assomiglia.
Ebbene lui non era con gli altri discepoli quando Gesù si è manifestato e quando questi gli annunziano “«Abbiamo visto il Signore»”, lui non nega questa possibilità, ma grida il suo disperato bisogno di crederci e di sperimentarlo. Quando Tommaso dice: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non crederò»”, non è al presente, ma al futuro, non è una negazione della risurrezione di Gesù, ma il disperato bisogno di crederci.
E’ un po’ come quando noi, nella lingua italiana, diciamo “Non ci posso credere!” Non significa “non ci voglio credere”, non significa negare l’evidenza di un fatto, ma è talmente bello, talmente inaspettato, che diciamo “Non ci posso credere”. Oppure quando diciamo “Ma non è possibile!” Non significa negare, significa che quello che ci viene detto è così bello che ci sembra impossibile.
Quindi Tommaso non nega la risurrezione di Gesù, solo che grida il suo bisogno disperato di sperimentarlo. Ed ecco che allora “otto giorni dopo”, cioè quando la comunità si ritrova per l’eucaristia – perché Gesù non concede manifestazioni private o visioni particolari – Gesù si manifesta nell’eucaristia. Nell’eucaristia, quando l’amore ricevuto si trasforma in amore comunicato, lì si manifesta la presenza del Signore.
“Venne Gesù” e “stette in mezzo” a loro. Gesù è sempre il centro della comunità, annunzia di nuovo la pace, l’invito alla pienezza della felicità, come ha fatto nella prima apparizione, e invita Tommaso a fare quello che lui aveva detto, cioè a mettere il dito e le mani nel suo fianco e nelle sue piaghe. E lo invita a non “«essere incredulo, ma credente»”. Ebbene Tommaso si guarda bene … purtroppo gli hanno fatto un brutto servizio i pittori – dall’infilare il dito nel costato di Gesù o nelle sue piaghe.
Tommaso si guarda bene, ma prorompe nella più alta, assoluta espressione di fede contenuta in tutti i vangeli. Tommaso si rivolge a Gesù riconoscendolo “«Mio Signore e mio Dio!»”  Quando Filippo aveva chiesto a Gesù “Mostraci il Padre e ci basta” e Gesù aveva risposto “Chi ha visto me ha visto il Padre”, ora questo si realizza nell’esperienza di Tommaso.
Tommaso si rivolge a Gesù riconoscendolo come Signore e come Dio. Quel Dio che nessuno ha mai visto, come ha scritto Giovanni nel suo Prologo, si manifesta nel Gesù risuscitato. Quindi Tommaso non solo non è incredulo, ma esplode nella più grande professione di fede di tutti i vangeli.
Ebbene, nonostante questo Gesù replica: “«Perché mi ha veduto hai creduto. Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»” L’esperienza della risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso duemila anni fa a un piccolo gruppo di persone, ma tutti coloro che accolgono il suo messaggio e, con lui e come lui, vivono per gli altri, faranno l’esperienza del risorto. E, mentre c’è il bisogno da parte della gente di qualcosa da vedere per credere, Gesù propone il contrario: “Credi e diventerai tu un segno che gli altri possono vedere”. E questa è la seconda beatitudine con la quale si chiude il vangelo di Giovanni.
La prima era quella della pratica della lavanda dei piedi, quella del servizio, quando Gesù aveva detto: “Sarete beati se metterete in pratica”. E’ il servizio agli altri ciò che permette di sperimentare la presenza di Dio – Dio è colui che si mette al servizio degli uomini – nell’esistenza di ogni individuo.

martedì 14 aprile 2020

Come si interpretano i dati sull'epidemia COVID-19?

Ci stanno riempendo di dati sull'epidemia, ma chi riesce a spiegarceli?
Quali sono i dati che ci aiutano a comprendere l'evoluzione dell'epidemia?

Premesso che i positivi rilevati sono probabilmente solo una parte di tutti i positivi, e già questa considerazione ci indica come l'analisi dei dati sia riduttiva,
non è certo il totale dei positivi rilevati il dato più importante: questo dato non potrà mai ridursi perché non tiene conto delle guarigioni e dei decessi, semmai potrà fermarsi quando non ci sarà più un nuovo contagio accertato.

Per fare meglio comprendere il concetto riepilogo i dati dei positivi nel Trentino: per ogni giorno è segnato il numero di positivi cumulato.

Potremmo allora fare un grafico che tiene conto del totale positivi rilevati e togliere il totale dei decessi e delle guarigioni.
Da notare che il 13 aprile è il primo giorno che il totale attualmente positivi è sceso...
Neanche il grafico degli attualmente positivi netti a mio avviso è significativo:
se ad esempio i positivi attuali calano principalmente per un incremento dei decessi non è certo un buon segno.

Credo che il dato da prendere in considerazione, per valutare l'andamento dell'epidemia, sia il numero giornaliero dei nuovi dichiarati positivi.
Nel link sottostante è riportato il famoso grafico che visualizza l'andamento dei nuovi casi giornalieri con due differenti ipotesi: con distanziamento sociale e senza.
La curva degli incrementi giornalieri con e senza distanziamento sociale.

Il grafico mostra come nel caso di operazioni di contenimento, la curva dei nuovi contagi giornalieri tenda ad assumere la tipica  forma di una campana "appiattita": il picco epidemico è meno forte perché si spalma su un periodo più lungo ed in questo modo si dà il tempo alle strutture sanitarie di occuparsi dei pazienti che si ammalano un po' alla volta. Ecco perché dovremo mantenere il distanziamento sociale per ancora molto tempo.

Vediamo allora di utilizzare il grafico sopra citato per analizzare i dati del Trentino.

Come vedete il grafico è ben diverso dai grafici precedenti: sia da quello del totale positivi sia da quello del totale attualmente positivi.

La curva si avvicina al tipico andamento a campana: peccato che accanto alla campana più grande si sia formata un'altra campana più piccola.
È probabilmente colpa dell'incremento del numero dei tamponi effettuati (nell'ultimo periodo sono aumentati) in quanto più tamponi faccio e più positivi trovo.

Ed il problema è proprio questo: non sappiamo quanti siano realmente i positivi, gli asintomatici (portatori sani) e quelli immuni...

Non è certo facile interpretare i dati perchè non è semplice misurarli e di conseguenza i provvedimenti governativi non potranno essere definitivi ma saranno aggiustati di volta in volta.
Abbiamo visto che dopo una campana se ne può formare un'altra e forse poi un'altra ancora...

Cosa possiamo fare? Mantenere il distanziamento sociale, osservare l'andamento del grafico dei nuovi positivi giornalieri e sperare in bene...

sabato 11 aprile 2020

Il Vangelo con commento di domenica 12 aprile 2020.

Il Duomo di San Giorgio - Ragusa. 
La risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti:
l'accoglienza della scrittura, la parola del Signore, nel discepolo, la radicalizzazione di questo messaggio nella sua vita, la sua trasformazione, permettono al discepolo di avere una vita di una qualità tale che gli fa poi sperimentare il risorto nella sua esistenza.

Non si crede che Gesù è risorto perché c'è un sepolcro vuoto, ma soltanto se lo si incontra vivo e vivificante nella propria vita.

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Giovanni 20, 1-9). 
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario ¬ che era stato sul capo ¬ non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Il commento.
Se Maria di Magdala si fosse recata al sepolcro un giorno prima, avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima. Scrive Giovanni nel capitolo 20: “Il primo giorno della settimana”, letteralmente “nel primo dopo il sabato”, “Maria di Magdala si recò al sepolcro”. Perché Maria di Magdala non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura di Gesù, ma ha atteso il primo giorno dopo il sabato?
Perché è ancora condizionata dall'osservanza della legge, il riposo del sabato. E quindi l'osservanza della legge ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c'era in Gesù, una vita capace di superare la morte.
L'evangelista, attraverso questa indicazione, vuole segnalare ai suoi lettori che l'osservanza della legge ritarda l'esperienza della nuova creazione che viene inaugurata da Gesù. L'espressione “il primo giorno della settimana richiama infatti il primo giorno della creazione, in Gesù c'è la nuova creazione, quella che veramente è creata da Dio e come tale non conosce la morte, non conosce la fine.
Ma la comunità, rappresentata da Maria di Magdala, ancora è condizionata dall'osservanza della legge,. Questo ritarda l'esperienza della risurrezione. “Si reca al sepolcro di mattino quando era ancora buio”. Le tenebre sono immagine dell'incomprensione della comunità che ancora non ha compreso Gesù che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità.
“E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Ebbene la prima reazione di Maria di Magdala è correre da Simon Pietro e dall'altro discepolo.
Gesù aveva detto: “Viene l'ora in cui vi disperderete ciascuno per conto suo”. Ebbene l'evangelista attribuisce a questa donna , Maria di Magdala, il ruolo del pastore che raduna le pecore che si erano disperse.
E annuncia loro: “«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto»”. Non parla di un corpo, ma parla del Signore, quindi c'è già l'allusione che è vivo questo Gesù. Ebbene cosa fanno Pietro e l'altro discepolo? “Si recano al sepolcro”. L'unico posto dove non dovevano andare. Nel vangelo di Luca sarà espresso molto chiaramente dagli uomini che frenano le donne che vanno al sepolcro, “Perchè cercate tra i morti colui che è vivo?”
Pietro e l'altro discepolo vanno in cerca del Signore nell'unico posto dove lui non c'è, cioè nel luogo della morte. Come Maria, per l'osservanza del sabato ha ritardato l'esperienza di una vita più forte della morte, perché Gesù non può essere trattenuto nel sepolcro, luogo di morte – lui è il vivente - così i discepoli vanno al sepolcro, l'unico posto dove non si può trovare Gesù.
Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza. Entrambi i discepoli corrono, giunge prima il discepolo amato, quello che ha l'esperienza dell'amore di Gesù. Pietro, che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l'amore che Gesù ha espresso nel servizio, arriva più tardi.
Ma l'altro discepolo si ferma e permette che sia Pietro il primo ad entrare. Perché? E' importante che il discepolo che ha tradito Gesù e per il quale la morte è la fine di tutto – e questo era il motivo del tradimento – faccia per primo l'esperienza della vita.
E poi entra anche l'altro discepolo. “Vide e credette”. Ma il monito fondamentale dell'evangelista, “non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. La preoccupazione di Giovanni è che si possa credere alla risurrezione di Gesù solo vedendo i segni della sua vittoria sulla morte. No!
La risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti. Come? Lo dice l'evangelista. “Non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. L'accoglienza della scrittura, la parola del Signore, nel discepolo, la radicalizzazione di questo messaggio nella sua vita, la sua trasformazione, permettono al discepolo di avere una vita di una qualità tale che gli fa poi sperimentare il risorto nella sua esistenza.
Non si crede che Gesù è risorto perché c'è un sepolcro vuoto, ma soltanto se lo si incontra vivo e vivificante nella propria vita.

martedì 7 aprile 2020

La pandemia ci ha trovato impreparati.

Io la penso così...
Questo nuovo virus ci trova tutti impreparati: politici, tecnici e gente comune.

Qualche politico ha detto che sì, ascolta gli esperti, poi però decide lui su cosa è meglio fare, da politico insomma.

E, dico io, dopo averci messo dentro il naso, ritorna a riascoltare gli esperti, però un po' alla volta, decreto dopo decreto, autodichiarazione dopo autodichiarazione...

Qualcuno diceva infatti  che la scienza procede per tentativi, figuriamoci la politica!

Anche i tecnici però ci mettono del loro: sanno calcolare con precisione millimetrica la traiettoria di un missile balistico, ma non hanno ancora calcolato con precisione a quanti metri arriva l'aerosol di una tossita umana (ad 1 metro ma potrebbe arrivare anche a 6)...
Certo la gittata di uno starnuto è funzione complessa di più variabili, dipende anche dalla capacità polmonare dell'individuo, dalle dimensioni dello "sputacchio" ecc...

Quando la curva del contagio sembra appiattirsi, ci viene poi detto che è obbligatorio per tutti usare le mascherine, quelle chirurgiche però, per andare al supermercato ed usare anche i guanti.

Ma perché prima, quando la curva saliva, non servivano?

Le norme sulla sicurezza del lavoro sono ferree: persino la postura e l'ambiente di lavoro sono oggetto di verifica da parte del medico aziendale. Ci sono anche le prove di evacuazione a sorpresa.

Ma quando venne dichiarato, con pubblicazione sulla G.U. il 31 gennaio, lo stato di emergenza nazionale, il virus ci ha sorpreso e abbiamo visto tutti cosa è successo...

Perché per fare rispettare le regole del distanziamento sociale ci vuole la minaccia di mega multe e la denuncia penale: e perché qualcuno non lo ha ancora capito?
Il virus non si combatte cantando sui balconi l'inno nazionale.

E gli operatori sanitari sono costretti a fare gli eroi...

L'Indipendent ha pubblicato che pure le tigri si sono prese il virus...

Vai all'articolo dell'Indipendent

La gente comune cosa fa?
Cerca anche lei di capire e italicamente pensa: "io speriamo che me la cavo."

Alberto Giacomoni

sabato 4 aprile 2020

Il Vangelo con commento di domenica 5 aprile 2020.

Basilica di Santa Maria Novella - Firenze. 
DOMENICA DELLE PALME 5 APRILE 2020
Questa domenica è conosciuta come la domenica delle palme, ma potremmo anche definirla come la domenica della grande illusione perché la folla di allora non intendeva essere liberata da Gesù e seguire un messia di pace, ma voleva essere sottomessa, essere dominata; ed invece... 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Nota. 
In questa domenica si legge la Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo il Vangelo di Matteo. Mt. 26, 14-27, 66. È un testo molto intenso da meditare personalmente. Commentiamo invece il brano del Vangelo che accompagna le benedizione delle Palme e la processione verso la chiesa. (Quest’anno la “processione” la accompagniamo stando dentro le nostre case e nelle nostre famiglie.)  

Mt. 21, 1- 11
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero a Betfage, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nella borgata che è di fronte a voi; troverete un'asina legata, e un puledro con essa; scioglieteli e conduceteli da me. Se qualcuno vi dice qualcosa, direte che il Signore ne ha bisogno, e subito li manderà». Questo avvenne affinché si adempisse la parola del profeta: «Dite alla figlia di Sion: "Ecco il tuo re viene a te, mansueto e montato sopra un'asina, e un asinello, puledro d' asina"».
I discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro ordinato; condussero l'asina e il puledro, vi misero sopra i loro mantelli e Gesù vi si pose a sedere. La maggior parte della folla stese i mantelli sulla via; altri tagliavano dei rami dagli alberi e li stendevano sulla via. Le folle che precedevano e quelle che seguivano, gridavano: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!» Quando Gesù fu entrato in Gerusalemme, tutta la città fu scossa, e si diceva: «Chi è costui?» E le folle dicevano: «Questi è Gesù, il profeta che viene da Nazareth di Galilea».

Il commento. 
E’ conosciuta come la domenica delle palme, ma potremmo anche definirla come la domenica del grande inganno o della grande illusione. Per la domenica delle palme la liturgia ci presenta l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, secondo quanto è scritto nei primi undici versetti del capitolo 21 di Matteo.
L’evangelista scrive che Gesù manda due discepoli nel villaggio di fronte. Il villaggio nei vangeli è sempre il luogo della tradizione, luogo che è restio alle novità portate dal Signore. E Gesù dice che troveranno “«un’asina legata e con essa un puledro»”. Perché questo riferimento? Quando Giacobbe benedice i suoi dodici figli e nomina Giuda come loro capo, dice che “non sarà tolto lo scettro del comando di Giuda, né il bastone dai suoi piedi, finché non verrà colui al quale esso appartiene” e viene descritto come colui “che lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina”. Questo lo troviamo nel libro del Genesi al capitolo 49, versetti 8-11.
Ebbene Gesù, chiedendo di slegare questa asina e il suo puledro, vuol far comprendere che questa profezia è ormai compiuta, si rivela nella sua persona. E, avverte Gesù, “«Se qualcuno vi dirà qualcosa rispondete ‘il Signore ne ha bisogno’»”. E’ l’unica volta che Gesù si definisce così. Ebbene l’evangelista, nell’azione di Gesù, vede la realizzazione di quanto aveva scritto il profeta Zaccaria, ma censurando alcuni aspetti della profezia che non sono consoni a Gesù. La profezia di Zaccaria iniziava dicendo “Esulta figlia di Sion”, invece l’evangelista prende in prestito per questa volta dal profeta Isaia l’espressione “Dite alla figlia di Sion”.
Gerusalemme non ha né da esultare, né da giubilare, viene soltanto informata. “Ecco viene a te il tuo re”, e qui il profeta Zaccaria aveva inserito i termini “giusto”, cioè osservante della legge, e “vittorioso”, e l’evangelista elimina sia giusto, perché Gesù non è venuto a osservare la legge, ma a proporre una nuova relazione con Dio, basata sull’amore, e non sarà il messia vittorioso.
Quello che rimane è che è “mite, seduto su un’asina e un puledro figlio di una bestia da soma”. Non sono animali da guerra, come erano i cavalli, non sono cavalcature regali come era la mula, ma sono i normali mezzi di locomozione della gente normale dell’epoca. Quindi non un messia guerriero, ma si presenta come un messi di pace. Non conosciamo nessun monumento equestre di un condottiero sopra un asino!
Ebbene i discepoli fanno quello che Gesù ha detto, gli conducono l’asino e il puledro, ed ecco la prima delle azioni importanti e simboliche compiute dai discepoli, “misero su di essi”, ossia sull’asina e sul puledro, “i mantelli”. Il mantello, nel linguaggio biblico, indica la persona. Allora mettere il mantello sull’asina e sul puledro, indica la piena adesione all’iniziativa di Gesù di essere un messia di pace.
“Ma la folla numerosa stese i propri mantelli sulla strada”. Quando c’era la consacrazione del re, e veniva nominato tale, il popolo, come segno di sottomissione e di accettazione della sua regalità, stendeva il mantello, che è simbolo della propria persona, sulla strada e il re ci passava sopra. E’ un segno di sottomissione da un lato e di dominio dall’altro.
La folla non intende essere liberata da Gesù e non intende seguire un messia di pace, ma intende essere sottomessa, intende essere dominata. E l’evangelista sottolinea “Tagliavano i rami degli alberi”. Questo si faceva per la festa delle capanne, la festa importante che indicava la venuta del messia liberatore. “E la folla che lo precedeva e quella che lo seguiva …”, Gesù è preso come un ostaggio. Non è lui ad indicare il cammino, ma ha una folla che lo precede, gli sta davanti, e un’altra che lo segue. E lui è nel mezzo.
Come il tentatore ha portato Gesù nella città santa per proporgli il potere su Israele, così questa folla ha preso in ostaggio Gesù e indica a Gesù qual è la strada da prendere: quella del potere, quella del dominio. Infatti cosa gridano? Recitano il salmo 118 dove si dice “Osanna!” Osanna è un’espressione che significa “Salvaci, dunque”. Ma a chi è rivolto l’Osanna? Al figlio di Davide.
Ecco il grande inganno, la grande illusione del popolo. Hanno confuso Gesù, il figlio del Dio vivente, con il figlio di Davide. Figlio, nella cultura dell’epoca, significa colui che assomiglia al padre perché si comporta in una maniera simile alla sua. Allora il figlio di Davide era il messia che, come Davide, attraverso il potere e la forza, avrebbe inaugurato il regno di Israele.
Questo è quello che la folla attende, questa è la tentazione che propongono a Gesù: essere un messia di potere, un messia di violenza. Ma Gesù non è il figlio di Davide, Gesù è il figlio di Dio. Non viene a togliere la vita, ma a proporre la sua. Ecco perché, appena si accorgeranno dell’equivoco, la stessa folla che adesso grida “Osanna al figlio di Davide” sarà quella che poi griderà “Crocifiggi, crocifiggi!” Di un messia di pace non sa che farsene.
“Mentre egli entrava in Gerusalemme tutta la città fu presa da eccitazione”, l’evangelista indica un termine che indica una scossa tellurica, lo stesso turbamento che ha colpito Gerusalemme alla nascita di Gesù. Non c’è nessuna accoglienza, non gli vanno incontro, ma gli abitanti della città dicono: “«Chi è costui?»” La città santa, sede della presenza e della gloria di Dio, non conosce Gesù, il Dio con noi perché il suo Dio è un altro.
Infatti, tra le prime azioni che Gesù farà entrando dentro la città santa, sarà buttare all’aria tutto quell’apparato del tempio nel quale non era più venerato il Padre, ma il vero dio del tempio, cioè il denaro, l’interesse.