sabato 26 gennaio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 27 gennaio 2019.

Chiesa dei santi Faustino e Giovita - Sarezzo (BS). 
Gesù entra nella sinagoga e legge il rotolo di Isaia non rispettando la liturgia: annuncia di essere mandato da Dio, legge solo il pezzo che parla della liberazione degli oppressi, saltando il versetto che parla della vendetta di Dio.

Questo comportamento genera un forte risentimento: lo vedremo, col commento di domenica prossima, quando tutta la sinagoga si rivolterà contro Gesù, e deciderà di assassinarlo. La prima volta che Gesù è entrato in una sinagoga... 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,1-4; 4,14-21)

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Il commento. 

    Quattro volte Gesù, secondo il Vangelo di Luca, entra in una sinagoga, e ogni volta è sempre in una situazione di grande conflitto. La prima volta, quella che la liturgia ci presenta oggi, addirittura cercheranno di ammazzarlo.
    Vediamo il perché. La liturgia ci presenta l’inizio del Vangelo di Luca, con l’intenzione dell’evangelista di descrivere accuratamente i fatti che altri hanno già narrato.
    “Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito”, e dopo le tentazioni del deserto, “e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe”. Ecco l’evangelista incomincia a prendere le distanze; le sinagoghe sono loro. Già la comunità cristiana si è distaccata da quella ebraica e quindi c’è questa differenza, sono le loro sinagoghe.
    “E gli rendevano lode”, gli rendevano lode ma a Nazaret, a quanto pare non accadde la stessa cosa. “Venne a Nazaret” – Nazaret è un borgo selvaggio, conosciuto per essere un covo di nazionalisti, cioè di persone attaccate a ideali religiosi di supremazia di Israele e di violenza contro i dominatori romani – “e, secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga”, è la prima delle quattro volte in cui Gesù entrerà nella sinagoga nel Vangelo di Luca, e ogni volta sarà occasione di conflitto, “e si alzò a leggere.”
    “Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia” e le letture liturgiche nella sinagoga seguivano un ciclo triennale, pertanto ogni sabato era ben prevista, ben prescritta, la lettura da fare. Ma Gesù, ecco che fa la prima infrazione. Gesù non legge il testo previsto per la liturgia di quel giorno, dice invece che “aprì il rotolo e trovò”. Questo ‘trovare’ è frutto di ‘cercare’, il verbo greco adoperato dall’evangelista è eurisko, da cui viene il famoso eureka.
    Eureka che cos’è? Ho trovato perché ho cercato. Quindi Gesù cerca non la lettura del giorno, ma qualcosa di diverso. E cerca il passo del profeta Isaia, al capitolo 61, dove c’è l’investitura del Messia. “«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione»”, l’unzione in ebraico si dice mashìah, da cui il termine Messia, che poi tradotto in greco è Cristo, che significa l’unto.
    L’unto cos’è? L’unto è quell’uomo investito della forza, della potenza di Dio, che lo rende una persona divina, una rappresentanza di Dio e della sua forza. «E mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio»”. Il lieto annunzio che i poveri attendono quale può essere? La fine della loro povertà. “A proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista”.
    Qui non si tratta tanto di restituire la vista ai non vedenti; le prigioni erano tutte sotto terra e i prigionieri, i carcerati, stavano completamente al buio, quindi restituire ai ciechi la vista significa liberare i prigionieri, liberare gli oppressi, come continua Signore»”.
    Ecco perché è la buona notizia per i poveri, l’anno di grazia del Signore è il giubileo, dove, secondo la prescrizione del Libro del Levitico, avviene la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Quindi Gesù parla di questo periodo benevolo di liberazione per tutte le persone, ma, stranamente … il versetto continuava con “il giorno di vendetta del nostro Dio”. E Gesù invece non lo legge; Gesù non è d’accordo con il profeta Isaia. E’ d’accordo col proclamare l’anno di grazia del Signore, cioè il segno della liberazione, ma non è d’accordo con la vendetta sui dominatori. Quindi il versetto continuava con il giorno di vendetta del nostro Dio e Gesù, invece, lo censura, Gesù non lo legge.
    Allora Gesù già ha fatto una prima infrazione, ha cercato un testo che non era quello liturgico; adesso ne compie anche un’altra: omette la seconda parte di questo versetto. Poi “riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette”. Il ‘sedere’ è la posizione del maestro, la posizione di colui che insegna, ebbene, l’atmosfera è carica di tensione. “Nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui”.
    C’è grande tensione, queste due infrazioni, ma soprattutto il fatto che Gesù non ha parlato della vendetta, che è quello che gli abitanti di Nazaret, nazionalisti esacerbati, aspettavano. “Allora incominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta quella scrittura che voi avete ascoltato»” “con i vostri orecchi”.
    L’evangelista vuole abbinare gli occhi nella sinagoga (gli occhi di tutti erano fissi su di lui) con gli orecchi. Perché questo? Perché è un evidente allusione al profeta Ezechiele, cap. 12, vers. 2, dove il profeta scrive “Figlio dell’Uomo tu abiti in mezzo a una genia di ribelli che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono perché sono una genia di ribelli”. Quindi questi occhi fissasti su Gesù non vedono veramente chi è, e le orecchie che ascoltano il suo messaggio non capiscono perché sono una genia di ribelli.
    E qui termina la versione liturgica, che poi continua, lo vedremo, col commento di domenica prossima, quando tutta la sinagoga si rivolterà contro Gesù, e deciderà di assassinarlo. La prima volta che Gesù è entrato in una sinagoga.

sabato 19 gennaio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 20 gennaio 2019.

Basilica di San Petronio - Bologna. 
Al banchetto delle nozze di Cana mancava il vino... Ma poi Gesù ha trasformato l'acqua in buon vino. 

Ma cosa vuol dire?

C’è un problema in questo matrimonio (da intendersi tra Dio e il suo popolo): manca il vino, inteso come l’amore, la purificazione.

Nelle anfore c’è acqua; ma quando esce, Gesù la trasforma in vino, perché il vino è il dono di Gesù, è la nuova alleanza basata sull’amore.

Gesù va quindi oltre una religione, una legge, che faceva sentire sempre indegne e sempre in colpa le persone.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2, 1-12)

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Il commento. 

Nella lettura del brano evangelico dobbiamo seguire e fare attenzione a quelle chiavi di lettura, a quei termini che l’evangelista pone nella narrazione per farci comprendere il significato di quello che ci vuole trasmettere.
Qui abbiamo il capitolo 2 del Vangelo di Giovanni, l’episodio conosciuto come “Le nozze di Cana”. Vediamo. “Il terzo giorno”, ecco, già all’inizio, l’evangelista ci mette questa collocazione temporale. Quando nei vangeli troviamo dei particolari che, di per sé, non ci sembrano molto significativi per la comprensione del testo – per noi, che queste nozze si siano celebrare il terzo giorno, il quarto o il secondo, non è che ci dica molto – in realtà sono preziose indicazioni teologiche.
Perché il terzo giorno? Il terzo giorno, nella tradizione ebraica, era il giorno dell’alleanza, quando Dio si manifestò sul Sinai, secondo il Libro dell’Esodo. Quindi l’evangelista colloca questo brano, fin dall’inizio, all’insegna dell’alleanza, perché lo vedremo, proporrà in Gesù la nuova alleanza.
“Vi fu una festa di nozze”, ecco già quest’altro termine ‘le nozze’. Sappiamo che il rapporto tra Dio e il suo popolo era raffigurato come un matrimonio; Dio era lo sposo e Israele era la sposa. “A Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù”; appare per la prima volta questo personaggio che sarà ripetuto per tre volte ma mai con il nome.
Quando gli evangelisti – eppure Giovanni sa che il nome della madre di Gesù è Maria – mettono il ruolo di una persona, ma senza il nome, significa che sono personaggi rappresentativi. E vedremo qual è il significato di questo personaggio che è la madre di Gesù. Mentre la madre appartiene a queste nozze, a questa alleanza, Gesù no. Gesù fu invitato “con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino”, ecco il dramma. Nel rito del matrimonio, un momento culminante è quando i due sposi bevono allo stesso bicchiere di vino; il vino è simbolo dell’amore.
Ebbene, in questo matrimonio, che è simbolo dell’alleanza fra Dio e il suo popolo, manca l’elemento più importante, cioè manca l’amore. “Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse «Non hanno vino»”. La madre non dice, come in una vecchia traduzione “Non hanno più vino”, il vino non c’è mai stato. E non dice neanche “Non abbiamo vino”, perché l’Israele fedele ha sempre conservato con Dio questo rapporto d’amore, quindi c’è sempre stato il vino dell’amore, ma si preoccupa per la massa del popolo “Non hanno vino”, quindi rivolge l’attenzione di Gesù al popolo, alla situazione del popolo.
“E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me?»” o, letteralmente, “Che cosa a me e a te?”, cioè che cosa importa a te e a me? È strano che Gesù si rivolga alla madre in questa maniera, con l’appellativo ‘donna’ che si usa per una donna sposata, significa ‘moglie’. Nel Vangelo di Giovanni Gesù si rivolge con questo appellativo a tre personaggi femminili, che sono figure delle spose dell’alleanza. La prima, l’abbiamo visto, è la madre, è la sposa fedele dell’Antico Testamento da cui proviene il messia, proviene il Cristo, proviene Gesù. La seconda è la samaritana, la sposa infedele, l’adultera, che lo sposo riconquista con l’offerta di un amore ancora più grande. Infine la terza sarà Maria di Magdala, la sposa della nuova alleanza.
Quindi Gesù si rivolge con questa espressione per richiamare il suo ruolo di sposa dell’alleanza. “«Non è ancora giunta la mia ora»”, l’ora dell’alleanza di Gesù sarà quando effonderà il suo sangue sulla croce, la nuova alleanza non sarà come l’antica, fatta con il sangue dei giovenchi, ma con il sangue stesso di Gesù, cioè del figlio di Dio.
“Sua madre” – e per la terza volta compare questo termine, il numero tre, nella simbologia ebraica significa quello che è completo, quello che è pieno – “disse ai servitori”, e qui l’evangelista usa il termine ‘diakonos’, che significa non quelli che devono servire, ma quelli che volontariamente, per amore, si mettono a servizio degli altri.
«Qualsiasi cosa vi dica, fatela»”. La risposta della madre di Gesù, il suo invito, ricalca quello che il popolo disse a Mosè dopo l’alleanza: “Quanto il Signore ha detto noi lo faremo”. Quindi vediamo come tutto è in chiave dell’alleanza.
“Vi erano là sei anfore”, il numero sette indica la totalità, il numero sei indica l’imperfezione, quindi c’è qualcosa di imperfetto. Queste anfore poi sono di pietra, non di coccio, quindi pesanti, inamovibili. Per cosa dovevano servire? “Per la purificazione rituale” – qui il testo dice rituale, ma nel testo originale non c’è rituale – “dei Giudei”.
Ecco al centro di questo episodio l’evangelista segnala il motivo per cui manca l’amore. Perché manca l’amore? Perché un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge faceva sentire il popolo sempre indegno, sempre in colpa, e quando ci si sente sempre in colpa, non si può sperimentare l’amore di Dio. Ecco il problema che c’è in questo matrimonio dove manca il vino, manca l’amore, è la purificazione. Una religione, una legge, che faceva sentire sempre indegne e sempre in colpa le persone.
E addirittura l’evangelista che dovevano contenere fino a seicento e più litri, quindi sempre questa cappa pesante della purificazione. Ed ecco l’intervento di Gesù; “«Riempite d’acqua le anfore», le anfore non conterranno mai l’acqua della purificazione, sarà Gesù a fornire quest’acqua della purificazione.
“«Ora prendetene e portatene»” – appare per la prima volta un personaggio importante che è il maestro di sala. In questi pranzi, che duravano anche giorni, c’era un incaricato che doveva sorvegliare l’andamento della festa e, soprattutto, stare attento alle provviste. Ebbene, questo personaggio importante non si accorge della mancanza di vino.
Il personaggio in greco è ‘architriclino’, il cui inizio della parola è lo stesso col quale inizia ‘sommo sacerdote’ e rappresenta i capi del popolo. I capi del popolo non si rendono conto della situazione della gente, che è senza amore. A loro non interessa. Ebbene, Gesù dice: «Prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino”, le anfore non conterranno mai il vino, simbolo dello Spirito che Gesù effonderà, ma l’acqua diventa vino quando viene attinta dalle anfore.
Infatti dirà che “lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua”, quindi nelle anfore c’è acqua, ma quando esce si trasforma in vino, perché il vino è il dono di Gesù, è la nuova alleanza basata sull’amore. “Colui che dirigeva il banchetto, il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano presto l’acqua”, e qui stranamente il traduttore ha eliminato ‘architriclino’, il maestro di sala, che compare per la terza volta. Ed è un peccato questa eliminazione, perché l’evangelista contrappone alle tre volte in cui nomina la madre di Gesù, il popolo fedele preoccupato per la mancanza di vino, per tre volte nomina l’incaricato del banchetto, che rappresenta i capi del popolo, i quali non si accorgono della mancanza di vino. Ma non solo non s’accorgono, arriva pure la protesta.
Infatti “chiamò lo sposo”, finalmente compare lo sposo – tutti i personaggi sono anonimi, soltanto Gesù ha il nome – e lo rimprovera, dice “«Tutti all’inizio mettono il vino buono e poi quando si è bevuto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora»”. Per le autorità il buono appartiene al passato. Per loro è incomprensibile che il buono, il bello, il meglio debba ancora avvenire. Quindi l’evangelista rappresenta in questo maestro di sala l’ottusità dei capi religiosi.
In conclusione “Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni” – ecco, la vecchia traduzione usava il termine improprio di “miracolo” che non viene mai adoperato dagli evangelisti per indicare le azioni di Gesù, ma qui giustamente si traduce con “segni” – “compiuti da Gesù; egli infatti manifestò la sua gloria”. Sorprende di trovare al termine di un episodio del genere per la prima volta, l’unica volta, il termine “gloria” riferito al fatto.
È strano, ci saremmo aspettati che Gesù manifesti la sua gloria alla risurrezione di Lazzaro, alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. No, la gloria di Gesù viene manifestata in questo episodio. Perché? Perché, come abbiamo detto, l’evangelista propone la nuova alleanza e, come dopo la proclamazione dell’alleanza sul Sinai Dio manifestò la sua gloria, con questa nuova alleanza, Gesù manifesta la sua gloria.
Qual è questa nuova alleanza? Mentre l’antica alleanza era basata sulla legge e l’uomo doveva meritare l’amore di Dio e si sentiva sempre indegno, ecco le anfore per la purificazione, nella nuova alleanza l’amore viene donato, viene regalato e l’uomo deve soltanto accoglierlo. Questa è la buona notizia portata da Gesù.

sabato 12 gennaio 2019

Mercatini di Natale 2018 - Levico Terme

Il periodo dei mercatini in 10 foto... 

Il Parco Secolare si prepara per i mercatini.



Piazza della Chiesa si mette i lustrini.




Arriva anche RAI 1 con la diretta di Portobello!




E poi il Presepe vivente...




Di sera l'atmosfera diventa magica...





A fine anno, dopo il processo in piazza, si brusa la vecia!



Arrivederci al prossimo anno!








Il Vangelo con commento di domenica 13 gennaio 2019.

Chiesa di San Francesco - Moncalvo (AT) 
Gesù si battezza, ma perché? 
Il battesimo era un simbolo di morte per la gente.
Morire al passato, a quello che era uno stato, per iniziare una vita nuova.
Anche per Gesù il battesimo è un segno di morte, non ad un passato di peccato che lui non ha, ma l’accettazione di morte nel futuro.
Per Gesù andare a farsi battezzare significa: per la fedeltà all’amore di Dio accettare la persecuzione e anche la morte...

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,15-16.21-22)

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Il commento.

Giovanni Battista nel deserto aveva annunziato un battesimo in segno di conversione, cioè cambiamento di vita, per il perdono dei peccati. La risposta è inaspettata: tutto il popolo accorre a lui. Il popolo ha compreso che il perdono dei peccati non può venire al tempio, con un atto liturgico, con un sacrificio al Signore, ma attraverso un cambiamento di vita.
Ma se il popolo ha creduto e accorre a Giovanni Battista, le autorità religiose, i capi no, sempre refrattari a qualunque invito al cambiamento.
Allora leggiamo il vangelo di questa domenica, il capitolo 3 di Luca, dal versetto 15. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, cioè il messia.
Il popolo crede di aver individuato in questo profeta nel deserto l’atteso liberatore di Israele. Ma Giovanni chiarisce subito che lui non lo è. Giovanni rispose a tutti dicendo “Io vi battezzo con acqua”, cioè vi immergo in un liquido che è esterno all’uomo, che è un segno di cambiamento di vita per ottenere il perdono dei peccati. “Ma viene colui che è più forte di me”, e qui l’evangelista adopera un’espressione che va inserita nel contesto dell’epoca per comprenderla. “Non sono degno di slegare i lacci dei sandali”.
Cosa vuol dire Giovanni Battista con questa espressione? C’era una legge nell’istituzione matrimoniale del tempo, che si chiamava “del levirato”. In cosa consisteva questa legge? Quando una donna rimaneva vedova senza figli, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino nato avrebbe portato il nome del marito defunto.
Era la maniera per perpetuare il nome della persona. Quando il cognato si rifiutava di mettere incinta questa donna probabilmente per motivi di interesse perché la donna senza figli, senza prole, veniva rimandata al suo clan familiare. Colui che nella scala sociale, giuridica, aveva il diritto dopo di lui, procedeva alla cerimonia dello scalzamento, sfilava i sandali di questa persona, li prendeva, ci sputava sopra. Era un gesto simbolico che significava “il tuo diritto di mettere incinta questa vedova, spetta a me”.
Ecco allora il significato di questa espressione di Giovanni Battista, che ritroviamo nell’antico testamento, nelle storie di Ruth e nei vari libri. Non sono degno di slegare i legacci dei sandali quindi significa “non sono io che devo fecondare questa vedova”, il popolo di Israele veniva considerato come una vedova, “ma colui che viene dopo di me”.
Perché “Egli vi battezzerà in Spirito Santo”. Mentre io vi ho immerso nell’acqua, simbolo di un cambiamento di vita, lui vi inzupperà, vi immergerà, vi impregnerà della stessa vita divina. “E fuoco”.
Poi qui la liturgia taglia dei versetti che indicano l’eliminazione di Giovanni Battista. E’ la risposta del potere alla conversione. I potenti non vogliono mai cambiare. Ma è anche la stupidità del potere perché la persecuzione fa sempre fiorire la vita, non la estingue. Ogni volta che i potenti vogliono spegnere una voce, ecco che ne sorge una ancora più potente, più forte.
Riprendiamo la nostra lettura al versetto 21. Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato … quindi il popolo ha compreso, tra Gerusalemme, il tempio dove, attraverso un sacrificio al Signore si otteneva il perdono dei peccati, e il deserto attraverso un rito di immersione, il popolo ha compreso che lì c’è la verità.
Ecco che compare Gesù, che va anche lui a farsi battezzare. Ma perché Gesù si battezza? Il battesimo era un simbolo di morte per la gente. Morire al passato, a quello che era uno stato, per iniziare una vita nuova. Anche per Gesù il battesimo è un segno di morte, non ad un passato di peccato che lui non ha, ma l’accettazione di morte nel futuro. Gesù dirà più avanti in questo stesso vangelo che c’è un battesimo nel quale deve essere battezzato ed è angosciato finché non arriverà questo momento.
Si tratta della sua morte. Quindi per Gesù andare a farsi battezzare significa: per la fedeltà all’amore di Dio accettare la persecuzione e anche la morte. Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì. Cosa significa questo cielo che si apre? E’ la comunicazione permanente e definitiva dell’uomo con Dio. Il cielo indica la realtà divina.
Quando c’è un uomo che si impegna a manifestare fedelmente l’amore di Dio, ecco che la comunicazione tra Dio e l’uomo è continua. Con Gesù questa comunicazione sarà ininterrotta.
E discese sopra di lui lo Spirito Santo, l’articolo determinativo indica la totalità. Lo Spirito è la forza, l’energia dell’amore di Dio, che scende su Gesù. Perché l’evangelista indica in forma corporea? Per dire realmente, pienamente; come una colomba. L’immagine della colomba richiama vari elementi, riguarda la creazione quando lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque e nell’interpretazione rabbinica si diceva che era come una colomba, quindi in Gesù c’è la nuova creazione. Richiama soprattutto la colomba che esce dall’arca di Noè, dopo il diluvio, in segno di perdono.
Gesù è il perdono di Dio. Ma richiama anche un proverbio palestinese che dice: “come amor di colomba al suo nido”. La colomba è quell’animale che rimane affezionato, attaccatissimo al suo nido originario. Gli si può cambiare il nido, farne uno nuovo, ma lei non ne vuole sapere. Quindi Gesù è il nido dello Spirito, è là dove si manifesta la pienezza dell’amore di Dio.
E, venne una voce dal cielo, quindi da Dio. E qui l’evangelista fa un collage di vari testi dell’antico testamento, dal profeta Isaia, un salmo, il libro della Genesi: “Tu sei il Figlio mio, l'amato – l’amato indica l’erede, colui che eredita tutto dal padre – “in te ho posto il mio compiacimento”.
Quindi Dio conferma che in Gesù c’è tutta la sua stessa realtà, e il popolo lo deve soltanto accogliere.

sabato 5 gennaio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 6 gennaio 2019.

Duomo di Merano (BZ). 
Il Capitolo 2 di Matteo, per essere gustato a pieno, esige uno sforzo da parte nostra: prendere le distanze dalla tradizione e dal folclore e anche dall’immagine – bella di per sé – del presepio.

Riassumiamo alcuni concetti. 
L’evangelista vuole significare che l’amore universale di Dio è per tutti, anche per le categorie che possiamo pensare come più lontane o disprezzate quali i Magi letteralmente i maghi.

La comparsa della stella cometa non è un avvenimento che accade nel cosmo, è un avvenimento teologico: la stella ha il ruolo come di Dio nel deserto che guida il suo popolo, come il pastore che guida il suo gregge.

Il comportamento di Erode: qui l’evangelista ci presenta un’immagine del potere che è menzognero e assassino. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Mt 2,1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Il commento.

Nel giorno dell’Epifania la chiesa ci propone il capitolo 2 di Matteo, un capitolo che, per essere gustato a pieno, esige uno sforzo da parte nostra: prendere le distanze dalla tradizione e dal folclore e anche dall’immagine – bella di per sé – del presepio. Vediamo infatti cosa ci scrive Matteo. Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Erode è un re illegittimo, perché non aveva sangue ebraico nelle vene, e quindi non poteva essere re degli ebrei. Ed era talmente sospettoso che qualcuno gli potesse prendere il trono, che arrivò a uccidere i suoi stessi figli. Ecco. Quando c’è questa espressione “ecco”, l’evangelista attira l’attenzione per qualcosa di imprevisto, qualcosa di improbabile che appare. Ecco alcuni Magi, letteralmente “maghi”. Chi sono questi maghi che vennero da Oriente, cioè dei pagani? Con il termine mago si intendeva a quel tempo l’indovino, ma anche l’ingannatore, l’astrologo ma anche il corruttore e ciarlatano. E comunque è un’attività che viene proibita nella Bibbia. Nel libro del Levitico viene proibita severamente l’attività del mago, e anche nel cristianesimo non godrà di buon nome, tanto che nel primitivo catechismo della chiesa cristiana, che si chiama Didaché, l’esercizio del mago verrà collocato tra il divieto di rubare e quello di abortire. Quindi abbiamo, in quanto maghi, persone disprezzate anche dalla Bibbia, e in quanto pagani i più lontani da Dio. L’evangelista vuole significare che l’amore universale di Dio si estende ovunque, non soltanto per la sua estensione, appunto, ma anche per la sua qualità: l’amore di Dio è per tutti, anche per le categorie che possiamo pensare come più lontane o disprezzate. A Gerusalemme. Sbagliano posto. Vanno nel luogo meno adatto per trovare Gesù. A Gerusalemme, la città santa, Gesù non nasce. A Gerusalemme, il figlio di Dio sarà ammazzato, sarà messo a morte. E dicevano: “Dov’è colui che è neonato, il re dei Giudei?” L’evangelista contrappone Erode, re dei Giudei, a Gesù, il neonato re dei Giudei.  Abbiamo visto spuntare la sua stella, letteralmente abbiamo visto la sua stella da Oriente. Questa stella di cui parla Matteo non va cercata nel cielo, ma va cercata nella Bibbia. Infatti l’evangelista si rifà ad una profezia contenuta nel libro dei Numeri dove Balaam, un indovino, profetizza “Una stella sorge da Giacobbe, uno scettro si eleva da Israele”. Quindi non è un avvenimento che accade nel cosmo, è un avvenimento teologico quello che l’evangelista ci vuole segnalare. Più avanti ne avremo la conferma. A quel tempo si pensava che quando una persona nasceva, sorgeva anche una nuova stella che poi si sarebbe spenta il giorno della sua morte.  E siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo il re Erode restò turbato. E si capisce! Il re Erode è un uomo che ha usurpato il trono e ha paura di perderlo. Ma sorprende il seguito: e con lui tutta Gerusalemme. Anche Gerusalemme resta turbata, spaventata, perché Erode ha usurpato il trono, Gerusalemme ha usurpato il ruolo di Dio. Quindi Erode ha paura di perdere il trono, ma Gerusalemme ha paura di perdere il tempio dove presenta un’immagine di Dio falsa, che corrisponde per nulla al Padre che Gesù presenterà. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo, cioè il messia. E’ questo che Erode teme, il messia liberatore. Erode lo teme e Gerusalemme non lo attende. Gli risposero – i capi dei sacerdoti e gli scribi, quindi l’élite sacerdotale e teologica – “A Betlemme di Giudea perché così è scritto per mezzo del profeta”. Vediamo che l’evangelista è polemico. La conoscenza della scrittura non è garanzia di conoscenza del Signore. Una conoscenza che non si traduce nella vita è sterile, è nociva, come in questo caso. E qui l’evangelista cita, modificandola, una profezia contenuta nel libro del profeta Michea, al capitolo 5, E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo” … Michea aveva scritto “dominatore”, ma l’evangelista censura questo termine.  Gesù non sarà un dominatore, allora sostituisce il termine con “capo”, colui che guida, che conduce. E, per farlo comprendere meglio, aggiunge alla profezia di Michea un’espressione estratta dal secondo libro di Samuele, Che sarà il pastore del mio popolo Israele. Quindi Gesù non dominerà, ma sarà il pastore, colui che cura il bene del suo gregge. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella. E’ preoccupato che altri possano aver visto questo segno che indicava la nascita del re dei Giudei. E li inviò a Betlemme, e qui l’evangelista ci presenta un’immagine del potere che è sempre menzognero e assassino. E’ menzognero perché impone con la menzogna il suo potere, e assassino perché lo difende con la violenza. Infatti Erode dice: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino, e quando l’avrete trovato, fatemelo sapere perché anch’io venga ad adorarlo”. In realtà lo vuole eliminare. Il potere è sempre menzognero e assassino. L’evangelista ci invita a prenderne le distanze. Udito il re, essi partirono. Ed ecco – qui c’è di nuovo la sorpresa – la stella che avevano visto in Oriente li precedeva. Loro non hanno seguito la stella per andare a Gerusalemme, hanno visto sorgere la stella, ma hanno sbagliato strada. Sono andati nel luogo sbagliato, a Gerusalemme, dove Gesù sarà assassinato, e non a Betlemme dove Gesù è nato. Allora questa volta la stella ha il ruolo come di Dio nel deserto che guida il suo popolo, come il pastore che guida il suo gregge. E’ la stella che li guida. Li precedeva, finché giunse e si fermò, letteralmente, sopra dove si trovava il bambino. E’ chiaro che l’evangelista non è così ingenuo da presentare un astro che si muove e si ferma in un luogo. E’ impossibile che una stella possa indicare dove sta un bambino. Quindi, come abbiamo detto all’inizio, questa stella non va ricercata in cielo, nel cosmo, ma nella Bibbia. Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. E’ la prima volta che appare l’espressione di una grande, incontenibile gioia. L’ultima volta apparirà nelle donne, nell’incontro con il risuscitato.  I pagani e le donne sono i più distanti da Dio, secondo la concezione dell’epoca, eppure sono quelli che lo riconoscono e lo accolgono. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, l’evangelista presenta la coppia regale, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono … I doni dei maghi sono simbolici e indicano che non c’è più un’esclusività di un popolo, Israele, ma una possibilità per tutta l’umanità. Infatti offrono oro, che era simbolo della regalità. L’evangelista vuole anticipare il fatto che il regno di Dio sarà anche per i pagani. Non c’è più il regno di Israele, limitato a una nazione, a un popolo, a una religione, ma il regno di Dio, l’amore universale, è per tutti, anche per i pagani.  Offrono incenso. L’offerta dell’incenso era riservata ai sacerdoti. La caratteristica esclusiva di Israele era di essere un popolo sacerdotale, cioè di avere contatto con Dio. Anche questa prerogativa non sarà più solo del popolo di Israele, ma essere popolo sacerdotale – nel senso di comunicazione diretta con Dio – sarà per tutta l’umanità. Infine offrono mirra, che era il profumo della sposa. La si trova nel Cantico dei Cantici. Ebbene il privilegio di Israele di essere considerato la sposa di Dio non è più soltanto per questa nazione, ma per tutta l’umanità. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese. “Un’altra strada” è un’espressione molto rara che troviamo nella Bibbia, nel primo libro dei Re, in cui indica il santuario di Betel dove veniva adorato il vitello d’oro. L’evangelista vuole indicare che ormai Gerusalemme è una città idolatrica dalla quale bisogna prendere le distanze.