venerdì 28 dicembre 2018

Il Vangelo con commento di domenica 30 dicembre 2018.

Presepe presso le Terme di Merano (BZ). 
Per la festa della Santa Famiglia, la chiesa ci presenta un testo dal vangelo di Luca, dove, a prima vista, più che una famiglia santa sembra una famiglia sconclusionata. I genitori, che non si accorgono che il figlio non è con loro, il figlio che rimane a Gerusalemme senza avvertire, senza avvisare i genitori, un rimprovero reciproco. Allora, cerchiamo di vedere cos’è che in realtà l’evangelista ci vuole dire con questo brano...

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2, 41-52)
 
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Il commento al Vangelo.

    Per la festa della Santa Famiglia, la chiesa ci presenta un testo dal vangelo di Luca, dove, a prima vista, più che una famiglia santa sembra una famiglia sconclusionata. I genitori, che non si accorgono che il figlio non è con loro, il figlio che rimane a Gerusalemme senza avvertire, senza avvisare i genitori, un rimprovero reciproco. Allora, cerchiamo di vedere cos’è che in realtà l’evangelista ci vuole dire con questo brano. E, come sempre, dobbiamo ricordare questo, che i vangeli non sono cronaca, ma teologia, che nei vangeli non c’è una serie di fatti, ma delle verità che l’evangelista presenta alla comunità cristiana. Perché i vangeli non riguardano la storia, ma riguardano la fede. Ecco perché questo brano può dire qualcosa anche ai credenti di oggi.
    Il vangelo è quello di Luca, al capitolo 2, dal versetto 41. Scrive l’evangelista: “I suoi genitori”. Ecco, già Luca ci dà un primo indizio: i genitori in questo brano non vengono mai nominati coi loro nomi, Maria e Giuseppe, ma sempre come “genitori” o “padre” o “madre”. Una tecnica degli evangelisti è che, quando vogliono presentare un personaggio come rappresentativo di una data realtà, evitano di mettere il nome, lo presentano anonimo. Quindi un personaggio anonimo rappresentativo di una certa realtà.
    Ebbene l’evangelista, togliendo i nomi dei genitori, del padre e della madre di Gesù, vuole rappresentare in loro la frustrazione di Israele che non riconosce in Gesù il Messia atteso, un Messia che si comporta diversamente dalle loro aspettative.
    “I genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua”, e stavolta, scrive Luca, quando Gesù ebbe dodici anni, portano pure lui “secondo la consuetudine della festa”. L’obbligo in realtà partiva dal tredicesimo anno, ma qui si vede che è una famiglia ligia alle leggi, alle osservanze e addirittura portano il figlio un anno prima.
    Durante questa festa si risiedeva una settimana, ma era sufficiente anche una permanenza di tre giorni. “Ma trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero”. Cosa vuol dire l’evangelista con questo episodio strano? Perché Gesù non ha avvertito i genitori e come mai, soprattutto, i genitori non se ne sono accorti?
    Le spiegazioni date in passato erano infantili; si pensava, erroneamente, che ci fossero due carovane, una di soli uomini e una di sole donne. Quindi Giuseppe, nella carovana degli uomini ha pensato “beh, è ancora piccolo, sarà con la mamma”, e la madre, non vedendo il figlio, avrà pensato “beh, è già grandicello e sta con il padre”. Sono delle spiegazioni banali e infantili.
    L’evangelista ci vuole presentare qualcosa di più serio. Gesù non segue i genitori, ma sono i genitori che dovranno seguire Gesù. Gesù è il nuovo. Già nell’annuncio dell’angelo a Zaccaria (1, 17) gli era stato detto che Giovanni Battista doveva condurre il cuore dei padri verso i figli – il cuore è la mente – e non quello dei figli verso i padri. È l’antico che deve accogliere e comprendere il nuovo.
    Quindi Gesù rimane a Gerusalemme. Se ne accorgono dopo una giornata di viaggio, tornano a Gerusalemme, e lo ritrovano dopo ben tre giorni; significa che l’hanno cercato ovunque, meno che nell’unico luogo dove dovevano cercarlo, “e lo trovano seduto in mezzo ai maestri”. Perché l’evangelista usa questa espressione “in mezzo”?
    L’evangelista vede Gesù come espressione della sapienza divina. Sta in mezzo ai dottori del tempio e li ascolta e soprattutto li interroga senza attendere una loro risposta. “E tutti quelli che lo udivano”, ci dice Luca, “erano fuori di sé”, questa è l’espressione letterale adoperata dall’evangelista, erano stupiti.
     “Al vederlo restarono stupiti”, come anche sua madre che gli dice: “«Figlio»” – letteralmente l’espressione adoperata dall’evangelista è “Figlio mio” o “bambino”, usando un termine greco che indica “colui che viene partorito”, cioè qualcuno sul quale la madre ha dei diritti, ha dei poteri; ed ecco qui il primo errore di Maria.
    Lei pensa di avere dei diritti su Gesù. Ripeto, l’evangelista non ci presenta Maria concretamente, ma la madre, l’origine di Gesù. E’ il popolo di Israele, raffigurato nella madre, che si rivolge al figlio pensando di avere dei diritti, dei poteri. “«Perché ci hai fatto questo?»”.
    Ecco il secondo errore della madre, “«Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo»”. Ed ecco la risposta di Gesù, dal punto di vista storico può sembrare strano che l’unica volta nel vangelo in cui Gesù si rivolge a sua madre è con parole di aspro rimprovero. “E Gesù rispose loro: «Perché mi cercavate?»”.
    Quindi Gesù protesta, non dovevano cercarlo, e poi ecco che Gesù chiarisce, mette i puntini sulle “i”: “«Non sapevate»”, quindi li tratta da ignoranti, è una cosa che dovevano sapere, “«che io devo»” - il verbo “dovere” è un verbo tecnico, adoperato dagli evangelisti, per indicare il compimento della volontà divina - “«che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»”.
    La madre ha commesso l’errore di dire “ecco, tuo padre ed io”, e Gesù mette subito le cose in chiaro. Suo padre non è il marito di Maria, non è Giuseppe. Il padre è il Padre che è nei cieli, ed è lì che Gesù deve stare, occuparsi delle cose del Padre suo. E questo fa parte della volontà divina.
    Ecco che Gesù si presenta subito come colui che non segue i padri di Israele, ma segue il Padre. E’ la novità che viene portata da Gesù. “Ma essi”, annota l’evangelista, “non compresero ciò che aveva detto loro”. E nella madre riaffiora quella strana benedizione che si è trasformata in una parola agghiacciante, quando Simeone le aveva detto “Una spada attraverserà tutta la tua vita”.
    La spada è l’immagine, nella Bibbia, della parola di Dio, una spada che arriva a dividere la persona. Ebbene, nella madre di Gesù questa spada incomincia ad affiorare e a dividere la sua esistenza. E l’evangelista conclude l’episodio dicendo che, se tutti quanti sono stupiti, anche sua madre, ma “sua madre custodiva queste cose nel suo cuore”.
    Di fronte alla novità, una novità non compresa, questo Gesù che non segue i padri, ma si manifesta in una maniera completamente nuova, tutti sono stupiti, anche Maria, ma Maria non rifiuta la novità; Maria è la donna che accoglie il nuovo anche quando non sembra capirlo, e questo inizierà in lei un processo di trasformazione che la porterà da madre di Gesù a diventare la discepola del Cristo. Ma il cammino è ancora lungo e doloroso.

sabato 22 dicembre 2018

Il Vangelo con commento di domenica 23 dicembre 2018.

Maria ha compreso di essere all’interno di un unico straordinario progetto d’amore: tutto quello che incontra nella vita, tutto quello che capiterà nella vita, sia nel bene che nel male, serve soltanto per realizzare questo progetto.
Ecco la Maria che la chiesa ci propone come modello dei credenti.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1, 39-45)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Il commento al Vangelo.

Con poche sapienti pennellate Luca è l’evangelista che più degli altri ci presenta la figura di Maria, la madre di Gesù. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista in questa quarta domenica di Avvento, nel capitolo 1, versetti 39-45.
Anzitutto il contesto. C’era stata l’annunziazione, l’angelo Gabriele aveva chiesto a Maria di collaborare al disegno di Dio diventandone la madre del figlio. Ebbene Maria fa qualcosa di assolutamente inconcepibile nella cultura dell’epoca. Nella cultura dell’epoca la donna non era autorizzata a prendere nessuna decisione senza prima aver consultato, e aver avuto l’approvazione, del padre, del marito o del figlio.
Ebbene Maria non chiede a nessun uomo. Maria decide da sola. E’ qualcosa di inconcepibile per la cultura. Ma quello che ora l’evangelista ci scrive è ancora più assurdo. Leggiamo.
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. L’angelo le aveva detto che la sua parente Elisabetta attendeva un bambino e lei, una volta che le è stato annunziato che Dio prenderà forma in lei, non si mette sotto una campana di vetro per essere riverita, per accogliere la venerazione o la devozione degli altri, ma si mette al servizio.
L’evangelista vuol far comprendere che ogni autentica esperienza dello Spirito si traduce in servizio. Ma un servizio particolare perché qui l’evangelista dice che Maria si alzò, non dice che si unì ad una carovana. Ma si alzò e andò verso una città di Giuda. Dalla Galilea per andare in Giudea c’erano due strade: una che era più lunga però più sicura, quella della vallata del Giordano, l’altra era più breve, ma pericolosa perché passava attraverso la montagna della Samaria.
E noi sappiamo che tra ebrei e samaritani c’era un’inimicizia profonda. Era rischioso passare attraverso la zona montagnosa, c’era rischio di rimetterci la vita. Ebbene per Maria il desiderio di servire, il desiderio di comunicare vita, è più importante della propria incolumità. Quindi in fretta si mette in viaggio verso questa città.
Entrata nella casa di Zaccaria, … e qui ci aspetteremmo “salutò il padrone di casa”. Nulla di tutto questo, “salutò Elisabetta”, la moglie. E’ inconcepibile, è il padrone di casa che va salutato per primo. Maria no, Maria saluta Elisabetta, è l’incontro tra due donne per le quali la gravidanza era qualcosa di impossibile: una perché era sterile l’altra perché era vergine.
Quindi Maria entra e saluta come l’angelo aveva fatto con lei. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria…. Non si tratta qui di una formalità, non si limita a desiderare il bene, ma a procurarlo, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo. L’evangelista anticipa qui quella che però poi sarà l’azione di Gesù, di battezzare nello Spirito Santo, immergere ogni persona nella pienezza dell’amore di Dio.
Ed esclamò a gran voce … nella casa del sacerdote incredulo – e che per questo è muto – è al donna colei che svolge il ruolo del profeta: «Benedetta tu fra le donne”. E qui questo brano contiene una dozzina di citazioni bibliche. Questa parte è tratta dal libro dei Giudici dove si tratta della benedizione di Giaele, una delle grandi donne di Israele.
“E benedetto il frutto del tuo grembo!” Questo è clamoroso. Una sola volta nell’antico testamento si parla del frutto del grembo, ma si riferisce ad un uomo, l’uomo che è fedele al Signore. Questa volta l’evangelista l’attribuisce a Maria.
E si chiede: “A che cosa devo che la madre del mio Signore”, cioè del messia, “venga da me?” Qui l’evangelista scrive questa narrazione tenendo presente un grande episodio nella storia di Israele quando l’arca che conteneva le tavole dell’alleanza fece sosta in casa di una persona. E anche questa persona si meravigliò (il tale è Arauna) dicendo: “Perché il re mio Signore viene dal suo servo?”
“Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia”, letteralmente di esultanza, “nel mio grembo”. Ed ecco la prima beatitudine del vangelo.
“E beata colei che ha creduto … “ Se Elisabetta proclama beata Maria perché ha creduto, c’è anche un velato rimprovero al marito Zaccaria che invece non ha creduto. “E beata colei che ha creduto nell’adempimento”, cioè nel compimento di ciò che il Signore le ha detto». La vergine Maria ha creduto al disegno di Dio e viene proclamata “beata”.
E’ la prima beatitudine con la quale si apre il vangelo. L’ultima la troveremo nel vangelo di Giovanni: “Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”.
In queste due beatitudini si racchiude l’esistenza di Maria. Qual è il significato di questa beatitudine? Maria ha compreso – e se la chiesa ce la propone come modello di credente questo è valido anche per noi – Maria ha compreso di essere all’interno di un unico straordinario progetto d’amore. E che tutto che incontra nella vita, tutto quello che capiterà nella vita, sia nel bene che nel male, serve soltanto per realizzare questo progetto.
Ecco la Maria che la chiesa ci propone come modello dei credenti.

venerdì 14 dicembre 2018

Il Vangelo con commento di domenica 16 dicembre 2018.

La chiesa del Santissimo Redentore - Levico Terme (TN). 
Con Giovanni Battista inizia a cambiare il rapporto con Dio, che poi sarà portato a compimento da Gesù, e cambia anche il senso del peccato: il peccato non è un’offesa a Dio, ma un’offesa all’uomo.
E’ qui che allora bisogna riparare. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3, 10-18)

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Il commento al Vangelo. 

Le folle che erano accorse al battesimo al fiume Giordano, Giovanni il Battista le aveva apostrofate dicendo: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente?” Perché il giorno del Signore i profeti l’avevano presentato come il giorno dell’ira. E diceva loro “fate opere degne di conversione”. Allora vediamo la reazione nel brano della liturgia di oggi dove ci sono tre gruppi ben distinti. Sono le folle, i pubblicani e i soldati. “Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?», e la risposta del Battista non dirà nulla che riguardi il Dio, che riguardi la religione, che riguardi il culto.
La conversione alla quale Giovanni Battista invita non è il ritorno religioso a Dio, ma un cambio di comportamento nei confronto degli altri. Allora Giovanni Battista alle folle dice “«Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto»”.
Cioè la condivisione. Con Giovanni Battista inizia a cambiare il rapporto con Dio, che poi sarà portato a compimento da Gesù, e cambia anche il senso del peccato: il peccato non è un’offesa a Dio, ma un’offesa all’uomo. E’ qui che allora bisogna riparare. Poi si affacciano anche dei personaggi sorprendenti, “Vennero anche dei pubblicani”. Che vanno a fare i pubblicani?
Per i pubblicani, categoria dannata, non c’era più nessuna speranza; anche se un pubblicano un giorno poi si fosse convertito, per lui ormai c’era la macchia, il marchio indelebile della persona impura, per cui non c’era più speranza. Quindi anche loro “vanno a farsi battezzare e chiedono”, letteralmente, “cosa facciamo”? Cioè: e noi? C’è una speranza anche per noi? C’è qualcosa anche per noi?
Ebbene, sorprendentemente per loro, Giovanni Battista non chiede di cambiare mestiere perché non potevano non farlo, ma dice “«Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato»”. Questo è uno scandalo: ammette al Regno di Dio, attraverso la conversione, anche persone che, per la loro condotta pubblica morale o religiosa, sono immorali. E quindi Giovanni Battista li ammette a condizione che non esigano nulla di più di quanto sia stato fissato.
E intervengono anche i soldati. I soldati, probabilmente pagani, che chiedono anche loro che cosa devono fare, e la risposta è “«Non maltrattate»”, il verbo indica non prendere il denaro con violenza, “«Non estorcete»”, cioè non prendere denaro con ricatto, “«niente a nessuno e accontentatevi delle vostre paghe»”, evitare l’ingiustizia.
Quindi, tre gruppi, le folle giudee, gli esclusi da Israele com’erano i pubblicani, e gli esclusi dal Regno di Dio, com’erano i pagani. Ebbene, c’è posto per tutti quanti. Continua l’evangelista “Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo”, cioè il Messia, era questa l’attesa.
Giovanni rispose a tutti dicendo “«Io vi battezzo con acqua»” - l’acqua è un elemento che è esterno all’uomo - “«ma viene colui»”, per comprendere quest’espressione del Battista ora bisogna rifarsi all’istituzione giuridica del matrimonio. Dice Giovanni Battista “«che è più forte di me e a cui non sono degno di slegare i legacci dei sandali»”.
A che cosa si riferisce Giovanni Battista? Alla legge del levirato. La legge del levirato consisteva in questo: quando una donna rimaneva vedova, senza un figlio, il cognato – da qui il termine “levirato”, “levir” significa cognato – aveva l’obbligo di metterla incinta. Quando, per qualche motivo il cognato rifiutava, colui che aveva diritto dopo di lui, procedeva alla cerimonia dello scalzamento, scioglieva il sandalo della persona che doveva mettere incinta questa vedova, ci sputava e questo significava “il tuo diritto di mettere incinta questa donna passa a me”.
Allora Giovanni Battista, non sta facendo una lezione di umiltà, ma dice “non prendete me come colui che deve fecondare questa vedova”. Chi è questa vedova? Il rapporto tra Dio e il popolo era raffigurato come quello tra uno sposo e una sposa.
Ma erano tanti i peccati, tante le infedeltà di Israele, che si considerava questo rapporto ormai concluso e Israele si sentiva come una vedova del suo Signore. Allora “colui che viene a rigenerare vita in questa vedova non sono io, ma è colui che è più forte di me”. Perché, ha detto Giovanni Battista “«Io vi ho battezzato con acqua, adesso invece vi battezza in Spirito Santo»”, e lo Spirito Santo è un’immersione interiore, intima, profonda, dell’amore di Dio che rende poi capace l’uomo di trasformare la propria esistenza.
Però Giovanni Battista ha detto “«Vi battezzerà in Spirito Santo»”, lo Spirito che comunica vita, “«e fuoco»”, è il fuoco del castigo, come lui specifica “«tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile»”. Ecco, questa era l’immagine del Messia che comunicava vita ai suoi seguaci, ma puniva e castigava le persone infedeli, le persone impure.
Ebbene Gesù prenderà le distanze, Giovanni si è sbagliato. Quando, negli Atti degli Apostoli Gesù dovrà citare Giovanni, dirà “Giovanni ha battezzato con acqua, invece voi sarete battezzati in Spirito Santo tra non molti giorni”. E il fuoco Gesù lo omette, perché il Dio di Gesù non è il Dio di Giovanni che premia i buoni e castiga i malvagi, ma è un Dio il cui amore si rivolge a tutti quanti, a tutte le persone.

venerdì 7 dicembre 2018

Il Vangelo con commento di domenica 9 dicembre 2018.

Bosentino (TN). 
L'evangelista utilizza il termine conversione nell'accezione di  cambiamento di comportamento, un cambiamento radicale nella propria esistenza.
Giovanni dice che il perdono dei peccati non avviene attraverso un rito liturgico, offrendo dei doni al Signore, ma attraverso un cambiamento radicale di vita – vivendo per gli altri. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3, 1-6)

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».

Il commento al Vangelo. 

Quando leggiamo il vangelo, per gustarne la ricchezza dobbiamo metterci nei panni dei primi lettori o dei primi ascoltatori che non sapevano come andava a finire. E vedremo nel brano di questa domenica, seconda di Avvento, i primi sei versetti del capitolo terzo del vangelo di Luca, come l’evangelista crea la sorpresa.
Scrive l’evangelista: Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare... l’inizio di questo brano è ridondante, solenne, perché poi l’evangelista vuole destare la sorpresa e sarà veramente una sorpresa. Inizia con Tiberio Cesare. A quel tempo i potenti si consideravano degli dei, quindi l’evangelista inizia con la persona che è più vicina a Dio, ed è un Dio lui stesso, l’imperatore.
Mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, vediamo come è solenne e pomposo questo inizio, l’evangelista va a pescare anche un certo Lisània, personaggio semi sconosciuto, tetràrca dell'Abilène, cioè dell’anti Libano, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa.
Perché “sommi sacerdoti”? Il sommo sacerdote era uno. Ma l’evangelista ne pone due, Anna e Caifa. Perché tutto questo? L’evangelista vuole raggiungere il numero sette. Il numero sette, nel linguaggio della Bibbia, rappresenta quello che è pieno, quello che è completo, quello che è totale. Potremmo dire con un linguaggio comprensibile a noi oggi “era il G7 del tempo”, i massimi potenti della terra.
Ebbene ecco la sorpresa: la parola di Dio venne su … Su chi scenderà la parola di Dio? Qui abbiamo Tiberio Cesare, l’imperatore, Dio lui stesso, abbiamo anche i sommi sacerdoti che erano i rappresentanti di Dio sulla terra. A chi si rivolgerà Dio per manifestare la sua parola? Ebbene, quando Dio deve intervenire nella storia – questa è la sorpresa – evita accuratamente luoghi e persone sacri e religiosi perché sa che notoriamente sono ostili e refrattari al suo messaggio.
Infatti ecco la sorpresa, la parola di Dio venne su … nessuno dei potenti, ma su un certo Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Ma che ci fa Giovanni nel deserto? Giovanni, in quanto figlio di un sacerdote, all’età di diciotto anni doveva presentarsi al tempio per essere esaminato per verificare che non avesse nessuno dei difetti che impedivano l’esercizio del sacerdozio e poi continuare, perpetuare il sacerdozio del padre.
Giovanni no. Giovanni è il bambino che fin dal seno della madre è stato ripieno di Spirito Santo, lui è l’uomo dello Spirito, non l’uomo del rito.
Per cui rompe con la società e va nel deserto, lontano da Gerusalemme e lontano dal tempio. La parola di Dio scende proprio su di lui.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, il Giordano ci ricorda il fiume che il popolo ebraico ha dovuto attraversare per entrare nella terra promessa; ora la terra promessa è diventata una terra di schiavitù dalla quale il popolo deve uscire. Predicando un battesimo … il termine “battesimo” non ha il nostro significato liturgico, era un rito nel quale – il termine significa immersione – ci si immergeva completamente nell’acqua, si moriva simbolicamente a quello che si era stato, e si usciva come una persona nuova.
Quindi Giovanni predica questo segno come immagine di un cambiamento di conversione. Nella lingua greca la conversione si esprime in due maniere: una è la conversione religiosa, il ritorno a Dio, il ritorno alla religione e gli evangelisti evitano accuratamente questo termine. L’altro, adoperato dall’evangelista, è il cambiamento di comportamento, un cambiamento radicale nella propria esistenza.
Ecco perché questo messaggio di cambiamento non poteva essere rivolto alla casta sacerdotale al potere, che non ama i cambiamenti. Ma Giovanni dice: “Cambiate vita”. Cosa significa conversione? Se fino ad ora hai vissuto per te, da adesso vivi per gli altri.
Ebbene questo avviene per il perdono dei peccati. Quello che fa Giovanni è inaudito, è una sfida tremenda, perché i peccati venivano perdonati andando al tempio di Gerusalemme, portando delle offerte a Dio. Giovanni non è d’accordo. Lui, l’uomo dello Spirito, dice che il perdono dei peccati non avviene attraverso un rito liturgico, offrendo dei doni al Signore, ma attraverso un cambiamento radicale di vita – vivendo per gli altri, e questo ottiene la cancellazione dei peccati.
Com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa, e qui l’evangelista cita quello che si chiama “il libro della consolazione”, la seconda parte del profeta Isaia ed è stata scritta da un profeta anonimo, alla fine dell’esilio, ed è un invito a lasciare la terra della schiavitù. «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Il testo del profeta Isaia diceva: “Ogni uomo vedrà la gloria di Dio”. L’evangelista lo modifica: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. La gloria di Dio si manifesta nella salvezza di ogni uomo. E’ importante quest’accezione “ogni uomo”. Non ci sono persone escluse dall’amore di Dio. Non ci sono persone escluse da quest’invito alla conversione per realizzare il regno di Dio. Ogni uomo è destinato a sperimentare la gloria del Signore, l’amore del Signore.
Dirà poi Pietro negli Atti degli Apostoli, ricollegandosi a tutto questo, che Dio gli aveva rivelato che nessun uomo poteva essere considerato immondo, cioè impuro, escluso dall’amore di Dio. Ecco questo è l’annunzio della buona notizia: la parola di Dio si rivolge su Giovanni per un invito a un cambiamento di vita e questo è un messaggio offerto a tutta l’umanità.
Nessuno se ne può sentire escluso.

sabato 1 dicembre 2018

Il Vangelo con commento di domenica 2 dicembre 2018.

Parco secolare di Levico Terme. 
"Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle... Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte." 
Tutti i regimi di potere civili e religiosi che, anziché servire l’uomo lo dominano e lo sfruttano, sono destinati a scomparire.
Gesù invita a non essere conformi ad una società ingiusta perché questa è destinata a scomparire.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 25-28.34-36)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Il commento al Vangelo. 

Il vangelo di questa domenica, prima di avvento, è una parola di grande incoraggiamento che Gesù dà alla sua comunità. Una comunità piccola, inerme e indifesa che può scoraggiarsi di fronte alle strutture di potere che dominano la società.
Ebbene le parole di Gesù sono un grande incoraggiamento.
Ogni potere hai piedi d’argilla e prima o poi è destinato a crollare. Ma leggiamo e vediamo il significato del vangelo di questa domenica.
E’ il capitolo 21 del vangelo di Luca dai versetti 25 a 36. Dice Gesù: “Vi saranno segni”. Gesù risponde alla domanda che i discepoli gli hanno fatto. Gesù aveva annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme. Perché? Un’istituzione religiosa che adopera il nome di Dio per sfruttare il popolo, per sfruttare i poveri, non ha diritto di esistere.
Dio comunica vita, non la toglie alle persone. Il Dio di Gesù è un padre che non assorbe le energie degli uomini, ma comunica loro le sue. Ebbene un’istituzione religiosa che invece presenta un Dio che sfrutta gli uomini non ha diritto di esistere. Quindi Gesù ha annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme, immagine di questa istituzione.
Allora i discepoli gli hanno chiesto: “E quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” Ecco la risposta di Gesù: “Vi saranno segni …” e qui Gesù adopera il linguaggio dei profeti, in particolare cita il profeta Gioele, segni con i quali si annuncia l’arrivo del Signore. Vediamoli. “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle”. Il sole e la luna, nella cultura del tempo, nel mondo pagano, erano degli dei che venivano adorati dai popoli. E le stelle chi sono?
A quel tempo tutti coloro che detenevano un potere si consideravano risiedenti nei cieli; il faraone era un Dio, l’imperatore romano era un Dio o un figlio di Dio. Tutti quelli che detenevano un potere si consideravano come stelle.
Ebbene Gesù assicura che, grazie all’annunzio del vangelo, tutte queste strutture di potere una dopo l’altra verranno a crollare. “E sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti”. E’ il crollo degli imperi che dominavano, però davano sicurezza, ordine. Lo stesso Sant’Agostino quando sente scricchiolare l’impero romano, questa struttura portentosa, dice: “E’ arrivata la fine del mondo”. Non era pensabile concepire un mondo senza la struttura dell’impero romano.
Ebbene gli uomini hanno paura perché quello che sembrava eterno, quello che sembrava stabile, quello che sembrava vero non lo è più. E soprattutto nel campo religioso quello che sembrava sacro in realtà non lo era. E Gesù annunzia: “Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte”. Chi sono queste potenze dei cieli? Nei cieli secondo i vangeli c’è il Padre, c’è Gesù, il figlio dell’Uomo e ci sono gli angeli.
Chi sono quindi questi usurpatori che stanno nei cieli? Sono appunto questi potenti che si arrogano la condizione divina per dominare e sfruttare le persone. Nelle lettere di San Paolo queste potenze dei cieli vanno sotto il nome di “troni, dominazioni, principati, potestà”, tutte immagini legate al potere, al dominio.
Allora “le potenze dei cieli”, quindi questi potenti che detengono il potere, che dominano e sfruttano le persone, “saranno sconvolte”. L’annunzio della buona notizia di Gesù mostrerà il vero Dio e le false divinità perderanno il loro splendore e quei re, quei potenti che appoggiano il loro potere su queste divinità, vedranno la fine del loro dominio.
“Allora vedranno”. E’ interessante che Gesù non dica “vedrete”. Chi sono quelli che vedranno? Questi grandi potenti, nel momento in cui si sfalda e si sbriciola il loro potere, sono loro che nel momento della caduta, vedranno il Figlio dell’uomo. Figlio dell’uomo è un termine con il quale Gesù indica se stesso, l’uomo nella pienezza della condizione divina. “Venire su una nube”, immagine della condizione divina, “con grande potenza”.
Nel momento in cui le potenze saranno sconvolte, si afferma la potenza del Figlio dell’uomo. Con Gesù si inaugura il regno dell’umano e tutto quello che è disumano è destinato a scomparire. “E gloria”. La gloria del Figlio dell’uomo è l’amore incondizionato di Dio per la sua gente.
Ed ecco le parole di grande consolazione, di grande speranza e di grande incoraggiamento. “Quando cominceranno ad accadere queste cose”… queste immagini non devono mettere paura, ma anzi devono mettere allegria. Infatti Gesù aggiunge: “Risollevatevi e alzate il capo”, laddove il capo rappresenta la dignità della persona,” perché la vostra liberazione è vicina”.
Tutti i regimi di potere civili e religiosi che, anziché servire l’uomo lo dominano e lo sfruttano, sono destinati a scomparire. Poi qui ci sono dei versetti che stranamente i liturgisti hanno creduto di omettere, ma sono importanti.
E Gesù disse loro una parabola. “Osservate una pianta di fico e tutti gli alberi. Quando già germogliano capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina”. Ed ecco il punto centrale: “Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose…”, quindi la fine di Gerusalemme e l’inizio dello sfaldamento di tutti i regimi che dominano le persone, “sappiate che il Regno di Dio è vicino”.
La società alternativa proposta da Gesù, con l’avvento del Regno di Dio diventerà realtà. E anche i pagani saranno ammessi. E poi Gesù mette in guardia con un monito. “Attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Ricorda la parabola che giù Gesù ha già annunziato al capitolo 4, del seme che viene soffocato dalle preoccupazioni economiche che portano l’individuo a centrarsi su se stesso.
Cosa vuole dire Gesù? Se i discepoli si sono integrati nella società ingiusta, quella che deve scomparire, incorreranno nella stessa sorte di questa società. Allora la frase finale di Gesù: “Vegliate”, cioè vigilate, “in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo». Gesù invita a non essere conformi ad una società ingiusta perché questa è destinata a scomparire.