sabato 26 settembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 27 settembre 2020.

Il Santuario della Madonna di Monte Berico - Vicenza. 
... “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò.

...“«Voi al contrario avete visto queste cose ma poi non vi siete nemmeno pentiti»”.

In questa parabola il figlio si pente, Giuda il traditore si pente, ma le autorità no.

Le autorità non si pentiranno mai, perché quello che determina il loro comportamento è la convenienza, l'unico Dio nel quale essi credono... 

Il Vangelo con commento nel seguito. 

DAL VANGELO SECONDO matteo (Matteo 21, 28-32)

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Il commento. 

I capi religiosi sono furibondi contro Gesù perché Gesù ha dichiarato che il tempio è un covo di ladri dando implicitamente a loro dei “banditi”. Allora si scagliano contro Gesù e chiedono con quale autorità Gesù faccia questo. E Gesù non risponde.

Gesù dice: “Prima ditemi voi con che autorità esercitava Giovanni il Battista. Veniva il suo insegnamento dal cielo”, cioè da Dio, “o dagli uomini?”.

E le autorità non rispondono. Non rispondono perché tutto quel che determina il comportamento delle autorità religiose è in base al loro unico Dio, quello che regola la loro esistenza, la convenienza. Tutto quello che fanno è per la loro convenienza.

Ed è in base alla loro convenienza che ragionano. Se diciamo “del cielo”, allora diranno “E perché non gli avete creduto?” Quindi confessano di non aver creduto all'inviato da Dio. Se diciamo “dalla terra”, la gente pensa che Giovanni è un profeta e quindi noi ci rimettiamo. Quindi non rispondono.

Allora è ad essi che Gesù rivolge questa parabola di Matteo, cap. 21,28-32.

Quindi quello che Gesù dice è rivolto alle massime autorità religiose. “«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli, si rivolse al primo e disse: ‘Figlio... ‘» “

Il termine greco adoperato dall'evangelista è pieno di tenerezza. Potremmo tradurlo meglio con “Figliolino mio”. E' lo stesso verbo da cui nasce la parola “partorire”, e quindi è un verbo di grande tenerezza materna. “«’Oggi vai a lavorare nella vigna’»”, la vigna si sa è immagine del popolo di Israele. “«Egli rispose: 'Non ne ho voglia', ma poi si pentì e vi andò»”.

Quindi c'è un primo figlio che risponde di no all'invito del Signore, ma poi si pente. “«Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: 'Sì signore'»”. Mai fidarsi di quelli che dicono Si Signore! Questo secondo non ha un rapporto con il padre, non ha detto “Sì padre”, dice “Si signore”. Lui è un signore al quale obbedire.

“«Ma non vi andò»”. Nelle parole di Gesù c'è l'eco della denuncia ripresa dallo stesso Gesù del profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. “Si, Signore”, ma non hanno nessuna intenzione di collaborare all'azione di questo signore al quale si rivolgono con tanto ossequio. E Gesù aveva detto: “Non chi mi dice Signore Signore ...” Quindi queste persone si sa già che sono escluse dalla realtà di Dio.

E Gesù allora chiede alle autorità religiose, “«Quale dei due ha compiuto la volontà del padre?»” Ecco che appare il termine “Padre”. Sarebbe stato meglio che anche questa volta fossero stati zitti, che non avessero risposto. Invece rispondono. “«Risposero: 'il primo'»”.

“E Gesù disse loro: «In verità...»” Quindi è un'affermazione solenne, importante, “«Io vi dico ...»” E Gesù contrappone ai sommi sacerdoti anziani, i primi della società, gli intimi di Dio, pubblicani e prostitute, gli ultimi della società, gli esclusi da Dio.

“«Pubblicani e prostitute vi passano avanti»”. La costruzione del verbo greco , tradotto con “passare avanti”, non indica precedenza, cioè vi passano avanti e poi voi venite, ma indica esclusione, cioè vi hanno preso il posto.

Quelli che voi pensate siano responsabili del ritardo del regno di Dio, loro ci sono già e voi siete rimasti fuori. E Gesù conclude: “«Giovanni»”, ecco che ritorna l'argomento del Battista, “«infatti venne a voi sulla via della giustizia e non gli avete creduto»”.

Mai le autorità religiose crederanno ad un inviato da Dio. Mai! Sono completamente refrattarie agli annunci divini. Sono completamente sordi alla parola del Signore. “«I pubblicani e le prostitute»”, cioè le categorie considerate da Dio, quelle per le quali si credeva fosse ritardato il regno, “invece gli hanno creduto”.

“«Voi al contrario avete visto queste cose ma poi non vi siete nemmeno pentiti»”. Ecco tre volte nel vangelo di Matteo appare il verbo “pentire”. Qui nella parabola del figlio che si pente, nel caso di Giuda il traditore che si pente, ma le autorità no. Le autorità non si pentiranno mai. Si è pentito Giuda, ma le autorità non si pentiranno mai., perché quello che determina il loro comportamento è la convenienza, l'unico Dio nel quale essi credono.

Non hanno altra divinità alla quale rispondere. L'evangelista ci fa comprendere che le autorità religiose sono completamente refrattarie alla buona notizia di Gesù perché dovrebbero perdere il loro potere, i loro privilegi e il loro prestigio. E la buona notizia di Gesù è un invito ad essere espressione dell'amore che si fa servizio per gli uomini.

sabato 19 settembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 20 settembre 2020.


Chiesetta in località San Pellegrino (TN). 
Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. 

Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

Dio non è un padrone severo, ma un signore generoso che non retribuisce gli uomini secondo i loro meriti, ma secondo i loro bisogni, perché il suo amore non è concesso come un premio, ma come un regalo. 

Il Vangelo con commento nel seguito. 

DAL VANGELO SECONDO matteo (Matteo 20, 1-16)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.

Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.

Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto.

Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Il commento. 

Non è facile accettare un Dio che anziché premiare i buoni e castigare i malvagi fa invece “sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni”, offrendo a tutti il suo amore. Un Dio del genere sembra ingiusto, come il padrone della parabola narrata da Gesù. In essa viene presentato un proprietario terriero che assolda dei braccianti per la sua vigna. L’importanza del lavoro fa sì che sia il padrone stesso a uscire da casa all’alba, per andare alla piazza del paese, e ingaggiare operai. La paga era un denaro il giorno, ed è questa che il padrone assicura ai lavoratori. La gran disponibilità di mano d’opera faceva sì che con una sola chiamata di operai si potesse soddisfare il fabbisogno dell’intera giornata. Invece, a sorpresa, verso le nove del mattino, il padrone esce di nuovo, in cerca di altri operai. Non lo fa per la necessità della vigna, i primi chiamati sono più che sufficienti, ma li assolda perché essi sono ancora disoccupati, e senza lavoro, in quella società, significa non mangiare. È al loro bisogno che il padrone pensa. E a questi promette di dare un compenso in base al lavoro fatto (“quello che è giusto”). 

A metà giornata, l’uomo torna di nuovo in piazza, e assolda altri operai, e lo stesso fa alle tre del pomeriggio. Ormai di operai nella vigna ce ne sono abbastanza, ma il padrone è più preoccupato dal fatto che ci siano persone senza lavoro che del suo interesse. Ed è ormai quasi il tramonto, verso le cinque del pomeriggio, quando il padrone si reca in cerca di altre persone che nessuno ha chiamato a lavorare. Manca soltanto un’ora al termine della giornata lavorativa, ormai nessuno li prenderà più. Non hanno lavorato, quindi non mangeranno. Se nessuno ha pensato a loro, se ne occupa il padrone della vigna, che chiama anche questi a lavorare, senza parlare però di alcun compenso: non lavoreranno neanche un’ora, e potranno essere ripagati con un tozzo di pane.

La piazza del paese è deserta. Nessun bracciante è in attesa del lavoro: sono tutti alla vigna, che sovrabbonda di operai. Quelli che hanno iniziato il lavoro all’alba, sono stati ben felici di veder arrivare durante tutto il giorno altre braccia per aiutarli nel lavoro; con il loro apporto la giornata non è stata pesante. La loro felicità si trasforma in entusiasmo quando vedono che il fattore comincia a pagare gli ultimi, quelli che hanno lavorato un’ora scarsa, e dare loro un denaro: non è una paga, ma un regalo. Se quelli che hanno lavorato un’ora ricevono quanto era stato pattuito con i primi lavoratori per una giornata intera, a quelli che hanno sopportato il peso della giornata e la calura certamente verrà dato almeno tre volte tanto.

Ma quando questi vedono che sono retribuiti con un denaro, come era stato pattuito, sfogano la loro delusione e il loro malumore, perché erano certi “che avrebbero ricevuto di più”, e ritengono il padrone ingiusto. Il signore della vigna non è stato ingiusto (quel che aveva pattuito è quel che è stato dato), ma generoso. Non toglie nulla a quelli che hanno lavorato dall’alba, ma vuole dare lo stesso salario anche agli ultimi. Difendendo il suo comportamento, il padrone della vigna si definisce buono (“Sei invidioso perché io sono buono?”). Nell’atteggiamento del proprietario della vigna, Gesù raffigura quello del Padre.

Dio non è un padrone severo, ma un signore generoso che non retribuisce gli uomini secondo i loro meriti, ma secondo i loro bisogni, perché il suo amore non è concesso come un premio, ma come un regalo. Quel che motiva il suo agire è la necessità dell’uomo, la sua felicità. E se a qualcuno questo comportamento può sembrare ingiusto, e non gli sta bene, è perché il suo è un “occhio maligno”, quello dell’avaro, dell’invidioso , di colui che fa tutto per la sua convenienza. Questi non potrà mai capire l’agire di un Dio che non “cerca il proprio interesse”, ma quello dell’uomo.

sabato 12 settembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 13 settembre 2020.

Duomo di Monza (MB).

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 

Il perdono del Padre verso gli uomini rimane legato finché non si scioglie il perdono ai fratelli.

Dio ci ha già perdonato, ma questo perdono diventa operativo ed efficace soltanto quando anche noi concediamo il perdono nei confronti degli altri.

Il Vangelo con commento nel seguito. 

DAL VANGELO SECONDO matteo (Matteo 18, 21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva incominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!” Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.

Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». 


Il commento. 

Matteo è l’evangelista che, più degli altri, dedica attenzione al tema del perdono. Per questo al capitolo 18 presenta Gesù che indica la necessità del confronto con il fratello che ha peccato, che ha commesso una colpa, e la necessità di ricomporre il dissidio all’interno della comunità. Qualora questo fratello rifiutasse di ricomporre questa unità, deve essere amato come un pubblicano o un peccatore, cioè un amore in perdita, come l’amore al nemico.

Pietro reagisce a questo insegnamento di Gesù, si avvicina e gli chiede: “«Signore, se il mio fratello…»”, quindi si tratta della tematica del perdono all’interno della comunità, “«… pecca contro di me, quante volto dovrò perdonargli?»”

La legislazione rabbinica concedeva un massimo di tre volte per il perdono. Ebbene Pietro pensa di esagerare, raddoppia, e dice: “«Fino a sette volte?»” Quindi Pietro vuole sapere delle regole precise, vuole sapere il limite del perdono. Gesù gli rispose: “«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette»”. Gesù nella sua risposta si richiama ad una famosa espressione contenuta nel libro della Genesi da parte di uno dei discendenti di Caino, un uomo molto bellicoso, Lamek, che si vantava di aver ucciso un uomo per una sola scalfittura.

Ebbene Lamek diceva: “Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamek”, cioè lui stesso, “settantasette”, quindi una vendetta illimitata. E l’espressione di Lamek si rifaceva alla promessa di Jahvè, del Signore, che ha detto che chiunque avesse ucciso Caino avrebbe subito la vendetta sette volte. Il richiamo, attraverso queste allusioni, al primo fratricidio della Bibbia, e il fatto che l’insegnamento è rivolto alla comunità dei discepoli, dove questi tra di loro sono fratelli, fa comprendere – ed è questo il messaggio che l’evangelista ci vuol trasmettere – che la mancanza di perdono conduce alla morte i componenti della comunità.

E’ bene specificare quindi che Gesù, con l’espressione “settanta volte sette”, non sta indicando solo la quantità del perdono (illimitato), ma la sua qualità (incondizionato).

E poi Gesù presenta una parabola molto eloquente. Il regno dei cieli, cioè questa nuova realtà che lui è venuto a proporre, è simile a un re che è venuto a regolare i conti con i suoi servi. E’ il re che prende l’iniziativa, e vediamo che lui intende condonare, cancellare i conti. Col termine “servo” in oriente viene definito qualunque dipendente del re. Qui si tratta in realtà di alti funzionari, si vede dalle somme che gestiscono.

“Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti”, una cifra spropositata, una cifra assurda. Infatti un talento equivaleva tra i 26 e i 36 Kg di oro, ebbene diecimila talenti sono circa 300.000 Kg di oro, quindi una cifra incalcolabile, impossibile da restituire. Infatti “poiché costui non era in grado di restituire, l padrone ordinò …”.

Non è una cattiveria, ma era il diritto dell’epoca, “… che fosse venduto lui, con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito”. Quindi il re prende l’iniziativa, vede che costui non ha da restituirgli il debito e si rivolge alla prassi normale, quella che è la giustizia. Questo servo supplica il suo re e gli dice: “«Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa»”. Impossibile! Sa che non è possibile restituire ogni cosa perché dal calcolo che si fa ci sarebbero voluti più di 164.000 anni di lavoro per accumulare una cifra del genere.

Quindi il servo sa che non può restituire però chiede al signore di avere pazienza. Ebbene “il padrone ebbe compassione di quel servo”. Questo verbo usato per Dio nell’Antico Testamento e per Gesù nel Nuovo Testamento, indica un’azione di misericordia viscerale da parte di Dio per i suoi figli e di Gesù per i suoi fratelli.

“Lo lasciò andare e gli condonò il debito”, cioè cancellò il debito. Ebbene, “Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni che gli doveva cento denari”, una cifra irrisoria. Il denaro era la paga giornaliera di un operaio, quindi cento denari sono circa tre mesi di lavoro, una cifra che è possibile restituire. Ebbene, questo funzionario che aveva visto condonati l’equivalente della bellezza di 300.000 Kg d’oro per un valore di circa 164.000 di lavoro, “lo prese per il collo e lo soffocava”.

Lui che ha avuto restituita la vita dal suo signore la toglie all’altro e gli chiede di restituire quello che gli deve. Ebbene questo suo compagno si rivolge a lui esattamente come questo funzionario si era rivolto al re: “«Abbi pazienza con me e ti restituirò»”. E in questo caso è possibile restituire. “Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione”.

Anziché la misericordia che gli era stata usata lui usa la giustizia. “Visto quello che accadeva i compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: «Servo maligno …»”. E’ importante questo termine perché è lo stesso che si ritrova al termine del Padre Nostro, quando Gesù invita a chiedere “liberaci dal maligno”. Il maligno è colui che è incapace di perdonare.

E chi è incapace di perdonare semina la morte all’interno della comunità. “«Servo maligno, ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? Sdegnato, il padrone lo diede in mano gli aguzzini finché non avesse restituito tutto il dovuto»”, cioè per sempre.

Perché, come abbiamo calcolato, ci volevano circa 164.000 anni di lavoro, quindi non sarà mai in grado di restituire e va in mano agli aguzzini per sempre. E Gesù aggiunge: “«Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non condonerete»” – non è perdonare, ma condonare, l’iniziativa è del creditore – “«di cuore, ciascuno al proprio fratello»”.

Cosa significa il cuore? E’ frutto della nuova mentalità dove non prevale più la giustizia, ma la misericordia. Richiamandosi a quanto Gesù aveva detto in precedenza sul legare e sciogliere, il significato è questo: il perdono del Padre verso gli uomini rimane legato finché non si scioglie il perdono ai fratelli. Dio ci ha già perdonato, ma questo perdono diventa operativo ed efficace soltanto quando si trasforma in perdono nei confronti degli altri.

sabato 5 settembre 2020

Il Vangelo con commento di domenica 6 settembre 2020.

Basilica di San Francesco - Assisi

"Se il tuo fratello commetterà colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo."

In realtà il verbo "ammoniscilo", come riporta questa traduzione, va interpretato come “«convincilo»”. Non è la posizione di un superiore verso un inferiore per ammonirlo, ma è la posizione del fratello che cerca di ricomporre l’unità, cerca di superare il dissidio. 

Al dissidio poi non deve essere data pubblicità, si deve risolvere il problema.

Ed è la persona offesa che deve andare verso l’offensore, perché chi sbaglia, chi offende spesso non ha il coraggio, non ha la forza di chiedere scusa, di chiedere perdono.

Il Vangelo con commento nel seguito

DAL VANGELO SECONDO matteo (Matteo 18, 15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.

In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Il commento. 

Dopo aver parlato dello scandalo della comunità verso i piccoli, cioè gli emarginati, che possono essere scandalizzati da quello che vedono all’interno della comunità in termini di ambizione, di superiorità, Gesù ora arriva a parlare dello scandalo dei dissidi all’interno della comunità. E’ quanto scrive Matteo al capitolo 18, versetti 15-20.

“«Se tuo fratello»”, quindi si tratta di un componente della comunità, “«commetterà una colpa contro di te, va’ e …»”, non ammoniscilo, come riporta questa traduzione, ma “«convincilo»”. Non è la posizione di un superiore verso un inferiore per ammonirlo, ma è la posizione del fratello che cerca di ricomporre l’unità, cerca di superare il dissidio. Sempre ricordando quanto Gesù già ha ammonito, cioè che prima di guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello, occorre stare attenti che uno non abbia la trave conficcata nel suo (trave che deforma la sua realtà).

“«Tra te e lui solo»”, quindi al dissidio non deve essere data pubblicità, si deve risolvere il problema. Ed è la persona offesa che deve andare verso l’offensore, perché chi sbaglia, chi offende spesso non ha il coraggio, non ha la forza di chiedere scusa, di chiedere perdono. Allora deve essere la parte lesa, la persona offesa, che va verso l’offensore e ricomporre il dissidio.

“«E se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello; non ammoniscilo, come riporta questa traduzione, ma “«convincilo»”. Non è la posizione di un superiore verso un inferiore per ammonirlo, ma è la posizione del fratello che cerca di ricomporre l’unità, cerca di superare il dissidio. quelli che nella comunità svolgono il ruolo di costruttori di pace, “«perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni»”. Secondo quanto affermava il libro del Deuteronomio, capitolo 19, versetto 15, sulla validità di una testimonianza.

“«Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità»”. Il termine greco è ecclesia che rappresenta la comunità dei convocati, l’assemblea dei convocati da Gesù, “«E se non ascolterà neanche la comunità, sia per te»”, quindi non per la comunità, ma per te, “«come il pagano e il pubblicano»”. Cosa significa? Non significa che quest’individuo, causa del dissidio, vada escluso dall’amore della comunità, e neanche dal tuo amore, ma significa che questo amore sarà a senso unico.

Mentre nella comunità l’amore donato viene anche ricevuto, perché i fratelli si scambiano vicendevolmente questo amore, verso la persona che è causa del dissidio, l’amore va dato come quello verso i nemici. Gesù dirà di amare i nemici, dirà di pregare per i persecutori. Quindi non significa escludere questa persona dal tuo amore, ma amarlo in perdita, a senso unico.

E sempre parlando della tematica del perdono, Gesù assicura: “«In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo»”. Si tratta sempre del perdono, chi non perdona lega il perdono di Dio, “«E tutto quello che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo»”. Si tratta del perdono, Il perdono di Dio diventa operativo ed efficace quando si traduce in perdono verso gli altri. Quindi chi non perdona lega il perdono di Dio, mentre chi perdona lo scioglie.

Al termine del capitolo, al versetto 35, infatti, Gesù dirà: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi se non perdonerete di cuore il vostro fratello”. Quindi questa affermazione di Gesù non riguarda la concessione alla sua comunità del potere di legiferare in ogni materia e in ogni campo, ma della responsabilità nel concedere il perdono: se non perdoni leghi il perdono di Dio.

E poi Gesù conclude: “«Ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo»”, il verbo mettere d’accordo è Sinfoneo, da cui la parola “sinfonia”. E’ importante perché indica la vita della comunità. Sinfonia significa che diverse voci, diversi strumenti suonano ciascuno dando il meglio di sé. Non ci deve essere una uniformità di voci e di suoni, ma c’è una varietà nell’unico spartito che è quello dell’amore. Quindi è l’amore vissuto nelle varie forme, fiorito nelle varie modalità.

“«Per chiedere qualunque cosa, il Padre mi oche è nei cieli gliela concederà. Perché dove due o tre …»”, ecco ritornano i due o tre che sono stati fautori della pace, coloro che sono andati a eliminare il dissidio, la loro funzione di costruttori di pace, rende manifesta la presenza del Signore. “«… sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro»”.

E ritorna la tematica cara all’evangelista, quella del Gesù, il Dio con noi. Mentre nella tradizione ebraica si diceva che dove due o tre si riuniscono per studiare la Torah, la legge, cioè la gloria di Dio è in mezzo a loro, Gesù si sostituisce alla legge. L’adesione a Dio non avviene più attraverso una legge esterna all’uomo, ma nell’immedesimazione con una persona: Gesù, il Figlio di Dio, il modello dell’umanità. Gesù assicura che quando c’è questa unità, quando si ricompongono i dissidi all’interno della comunità, la sua presenza è ininterrotta e crescente.