sabato 28 aprile 2018

La predica di domenica 29 aprile 2018.

Il Palazzo dei Papi di Avignone. 
“In questo è glorificato il Padre mio”.
C’era l’immagine che Dio dovesse essere glorificato attraverso opere straordinarie, magnificenze gloriose, no, l’unica maniera per manifestare la gloria di Dio, la rivelazione del suo amore, è un amore che gli assomiglia, “Che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.

Il Vangelo e la predica completa nel seguito 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.
In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

La predica. 

In una famosa pagina del profeta Ezechiele, il profeta descrive il legno della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il legno della vite è l’unico legno tra gli alberi della campagna con il quale non si può fare nulla; non ci si può fare un oggetto, un attrezzo utile. Il legno della vite è buono soltanto per far passare la linfa vitale ai tralci e produrre frutta. Quindi il legno della vite è il legno inservibile, se non per portare frutto. Ed è a questa immagine del Profeta Ezechiele che Gesù si riallaccia nel famoso discorso della vite e dei tralci, contenuto nel capitolo 15 del Vangelo di Giovanni.
Gesù, ancora una volta, rivendica la pienezza della condizione divina. Quando Gesù dice “Io sono”, questo rappresenta la pienezza della condizione divina, perché “Io sono” è il nome di Dio.
Nella cultura d’Israele la vite era immagine del popolo, del popolo di Israele. C’è il famoso cantico d’amore del Signore per la sua vigna, contenuto nel capitolo 5 del Profeta Isaia; anche il Profeta Geremia parla di Israele come di una vite. Bene Gesù dichiara di essere “la vera vite”, quindi ci sono delle false viti. Gesù continua quel processo di sostituzione con le realtà di Israele con la propria persona:
non la manna dal cielo, ma lui è il vero pane che da vita al popolo;
lui è la vera luce al contrario della legge;
lui è la vera vite, lui è il vero popolo piantato dal Signore.
E il Padre “è l’agricoltore”. Allora ci sono dei ruoli ben distinti: Gesù è la vite, dove scorre la linfa vitale, il Padre è l’agricoltore. Qual è l’interesse dell’agricoltore? Che la vigna porti sempre più frutto e infatti, scrive l’evangelista, “ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie”. Qual è il significato di questa espressione? L’evangelista sta parlando della comunità cristiana dove c’è un amore che viene comunicato dal Signore, un amore ricevuto dal Signore, e questo amore si deve trasformare in amore dimostrato agli altri. E questo è caratteristico dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia si accoglie un Gesù che si fa pane, fonte di vita, per poi essere disposti a farsi pane, fonte di vita per gli altri. Ci può essere il rischio che nella comunità ci sia una persona che assorba questa linfa vitale, assorba questa energia, assorba questo amore, assorba questo pane, ma poi non si faccia pane per gli altri, non trasformi l’amore che riceve in amore per gli altri. E’ un elemento passivo, che pensa soltanto al proprio interesse, a se stesso, e quindi non comunica vita.
Ebbene, non gli altri tralci, e neanche Gesù, ma il Padre, prende e lo toglie, perché è un tralcio che è inutile.
“Ma ogni tralcio che porta frutto”, cioè il tralcio che succhiando questa linfa vitale, quindi nell’Eucaristia il tralcio che ricevendo Gesù come pane si fa poi pane per gli altri, porta frutto. Dispiace vedere che ancora i traduttori rendono il termine con ‘potare’ che non è quello adoperato dall’evangelista. Il verbo adoperato da Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono due cose completamente diverse. Cosa significa purificare? Il Padre che ha a cuore che il tralcio porti più frutto sa individuare quegli elementi nocivi, quelle impurità, quei difetti che ci sono nel tralcio e lui provvede a eliminarli. Questo è importante, l’azione è del Padre; non deve essere il tralcio a centrarsi su sé stesso, ad individuare i propri difetti e cercare di eliminarli, perché centrandosi su sé stesso farà un danno irreversibile.
L’uomo si realizza non quando pensa a se stesso, alla propria perfezione spirituale, che può essere tanto illusoria e lontana quanto è grande la propria ambizione; l’uomo deve centrarsi sul dono totale di sé, che è immediato. Allora, in ognuno di noi ci sono dei limiti, ci sono dei difetti, ci sono delle brutte tendenze. Ebbene noi non ci dobbiamo preoccupare. Sarà il Padre che, se vede che questi limiti, questi difetti, queste tendenze sono di impedimento al portare più frutto, lui penserà ad eliminarli, non noi. Perché facendolo noi possiamo andare a toccare quelli che sono i fili portanti della nostra struttura e fare dei danni tremendi.
Allora “Il Padre lo purifica”. Questo da piena serenità; l’unica preoccupazione del tralcio è portare frutto, tutti gli impedimenti a frutti abbondanti ci penserà il Padre, non gli altri tralci, neanche la vite, ma il Padre. Perché? “Perché porti più frutto”.
E dichiara Gesù “Voi siete già puri”, ecco vedete, quando i traduttori traducono il verbo con ‘potare’ anziché ‘purificare’, non rendono questo gioco di parole che l’evangelista fa tra il verbo ‘purificare’ e l’aggettivo ‘puri’. Quindi prima Gesù ha detto “Lo purifica”, e poi dice “voi siete già puri”. Perché? “A causa della parola che vi ho annunziato”. La parola di Gesù è un amore che si fa servizio. Ciò che purifica l’uomo non è il fatto che gli lava i piedi, ma la disponibilità poi di lavare a sua volta i piedi agli altri. Quindi questa parola, il messaggio di Gesù, un amore che si fa servizio, rende pura la persona.
Secondo la concezione dell’epoca Dio era nella sfera della santità, della purezza e soltanto chi era puro poteva entrarci pienamente in contatto. Ebbene, l’amore che si traduce in servizio è la garanzia di essere in pieno contatto con il Signore. E Gesù ripete e dice “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.” Quindi Gesù torna di nuovo a insistere che questo amore da lui ricevuto si deve trasformare in amore comunicato, altrimenti si è inutili.
Ritorna Gesù a rivendicare il suo titolo, la condizione divina: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui”, in questo processo dinamico di fusione di Dio – Dio chiede soltanto di essere accolto nella vita del credente, per dilatarne l’esistenza - “porta molto frutto”. Si da la vita agli altri, più si da e più si riceve. Si ha soltanto quello che si è donato, più il dono della vita agli altri è grande, è illimitato, più la risposta di Dio sarà illimitata.
Poi Gesù avverte: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca”. Questa espressione che abbiamo tradotto con ‘secca’, letteralmente ‘inaridisce’, l’evangelista la prende dal Profeta Ezechiele, quando vede la situazione del popolo, come una vallata piena di ossa secche, nel capitolo 37, indicando il popolo senza Spirito. Ebbene, chi non rimane in Gesù, chi ricevendo questo amore non lo comunica agli altri, si inaridisce, perché, ripeto, si possiede soltanto quello che si dona agli altri. E poi, ecco la garanzia di Gesù, che purtroppo noi nel linguaggio popolare abbiamo un po’ ridimensionato. Tutti quanti conosciamo l’espressione “Chiedete quello che volete e vi sarà dato”, però dimentichiamo le due condizioni che Gesù pone:
se rimanete in me, quindi se c’è questo amore da lui ricevuto che si trasforma in amore comunicato agli altri
se le mie parole rimangono in voi, quindi rimangono come indirizzo dell’orientamento della vita, dell’esistenza un amore che si fa servizio per gli altri
A questo punto, solo a questo punto, preceduto da queste due condizioni, Gesù dice “Chiedete quello che volete e vi sarà dato”. Quindi, quando si vive in sintonia con il Signore, quando la vita dell’uomo si fonde con quella di Dio fino a diventare una sola cosa, l’unico che si chiederà sarà il dono dello Spirito, una capacità ancora più grande d’amare. Perché al resto il Padre ci pensa. Il Padre non risponde ai bisogni e alle necessità dei suoi figli, ma li precede. Questo dà tanta sicurezza.
Ed ecco il finale: “In questo è glorificato il Padre mio”. C’era l’immagine che Dio dovesse essere glorificato attraverso opere straordinarie, magnificenze gloriose, no, l’unica maniera per manifestare la gloria di Dio, la rivelazione del suo amore, è un amore che gli assomiglia, “Che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.

martedì 24 aprile 2018

Alta Valsugana: non basta il conferimento della plastica a pagamento, i sacchetti biodegradabili per le frutta e verdura vanno smaltiti nell'indifferenziato...


È notizia recente che AMNU ha invitato i cittadini dell'Alta Valsugana a non riutilizzare per l'umido i sacchetti biodegradabili obbligatori da inizio anno.

Non sono compatibili con l'impianto di trattamento di Cadino perché si degradano troppo lentamente.

La notizia non è un pesce di aprile!

Ricapitolando: siamo obbligati a pagare dei sacchetti biodegradabili per poter comprare frutta e verdura, ma una volta utilizzati devono essere trattati come rifiuto indifferenziabile, peggio della plastica insomma...

Questa limitazione vale per AMNU, ma ci chiediamo se sia solo l'Alta Valsugana a conferire l'umido a Cadino...

A questo punto ci dovrebbero spiegare a cosa servono, al comune cittadino, i sacchetti cosiddetti biodegradabili...

La risposta arriva da Massimo Centemero, direttore del Consorzio Italiano Compostatori (CIC): in una intervista al giornale La Stampa ha dichiarato che i sacchetti obbligatori dal 2018 sono biodegradabili, compostabili e compatibili con il sistema impiantistico nazionale.

Chiaro o no?
No!

http://www.ladige.it/territori/pergine/2018/04/21/amnu-niente-umido-sacchettini-bio

http://www.lastampa.it/2018/01/12/scienza/ambiente/focus/sacchetti-biodegradabili-otto-verit-per-una-migliore-raccolta-dellumido-domestico-4uOpGIXjX9anX7QOx2kMDM/pagina.html

domenica 22 aprile 2018

Beniamino vuole gestire il nuovo Big Fish.


Beniamino vuole gestire il nuovo Big Fish!

È stata indetta la gara per l'aggiudicazione della gestione del nuovo Big Fish: la base di partenza è 15.000 euro all'anno (in aumento).

Il costo di costruzione a carico del Comune è stimato pari a 450.000 euro.

Beniamino cosa ne pensi?

"Posto incantevole e nuova struttura da quasi mezzo milione di euro pagata dal Comune: gliene do anche 25.000 euro annui per gestirla!“

Ma ritieni giusto che il Comune realizzi un bar a proprie spese?

“Non hanno scritto che a Levico hanno aperto una miriade di cantieri?
Qualcosa di nuovo dovranno pure costruire.
Se poi affittano il bar a 15 mila euro, in 30 anni ammortizzano la spesa."

Ma il tornaconto del Comune qual è, aspettare 30 anni per recuperare le spese?

“Possibile che non capisci? Il bar contribuirà ad incrementare il PIL levicense!“

Non comprendo come...

"Si incrementeranno gli incassi dei parcheggi a pagamento (anche se una buona parte andrà alla società che li gestisce);
molta gente dopo aver preso la birra o l'aperitivo si sposterà poi nelle vicine pizzerie;
qualcuno farà pure un giro per il centro e comprerà qualcosa;
se poi volessero cambiare la macchina o fare il tagliando bastano due passi;
ci potrebbe scappare anche un aerosol alle terme... ".

Ma non c'era già un punto di ristoro tipo chiosco?

"Vedi di non cercare sempre il PIL nell'uovo! E lascia perdere le opinioni che leggi sui social!“

Se non sui social dove altro dovrei leggerle le opinioni?

Mah questo Beniamino non si capisce mai se parla seriamente o ti prende per i fondelli...

sabato 21 aprile 2018

La predica di domenica 22 aprile 2018.

La cupola del Brunelleschi. 

Gesù non è venuto a togliere le persone e le pecore dall’ovile, Israele, per rinchiuderle in un altro recinto più sacro, più bello.
No! Gesù è venuto a dare la piena libertà. 

Il Vangelo e la predica completa nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

La predica. 

L’immagine di Gesù come Buon Pastore è indubbiamente quella più conosciuta e più amata dai cristiani, una immagine carica di tanti, tanti significati. Eppure è strano che quando Gesù si presenta come tale, come Buon Pastore, i capi giudei si arrabbiano con lui, lo ritengono un pazzo e alla fine cercheranno di lapidarlo. Siamo noi che abbiamo capito tutto di questa immagine o sono stati i giudei che hanno capito e l’hanno rifiutata?
Vediamo cosa ci dice l’evangelista Giovanni. Anzitutto Gesù si presenta rivendicando la pienezza della condizione divina. Quando nel Vangelo di Giovanni Gesù afferma “Io sono”, questo rappresenta il nome divino. Quando Mosè nel famoso episodio del roveto ardente chiese a quell’entità che si manifestava, il nome, Dio non rispose dando il nome, perché il nome delimita una realtà, ma rispose dando un’attività che lo rende riconoscibile. Rispose “Io sono colui che sono”. E la tradizione ebraica ha sempre interpretato questa espressione, questa risposta del Signore come colui che è sempre vicino al suo popolo. Al tempo di Gesù, quindi, con l’espressione “Io sono” si indicava Dio. Allora Gesù rivendica la condizione divina.
E afferma: “Io sono” – non il Buon Pastore – ma “il Pastore Buono”. Qual è la differenza? L’evangelista non sta parlando della bontà di Gesù, quando l’evangelista si deve riferire alla bontà di Gesù adopera il termine greco “agatos” (Agatos), da cui il nome Agata, che significa ‘bontà’.
Qui, invece Gesù, dichiara che lui è il Pastore, ed usa il termine greco “kalos”, da cui calligrafia, bella scrittura, che significa ‘il bello’, che significa ‘il vero’. Quindi Gesù non sta indicando la sua bontà, ma sta indicando qualcosa di diverso, qualcosa di più importante. Cosa significa il Pastore Vero? C’era stata una profezia nel Libro di Ezechiele, al cap. 34, dove il Signore rimproverava i pastori del popolo, perché, anziché prendersi cura del gregge, pensavano soltanto a loro stessi. E allora, li minaccia il Signore, “verrà un tempo in cui io stesso mi prenderò cura del mio gregge”. Quindi il Signore sarà l’unico vero pastore del popolo. Ebbene, dichiara Gesù, questo momento è arrivato. Ecco perché questo suscita le ire dei capi religiosi, perché si sentono spodestati da Gesù, che li chiama ladri, si sono impadroniti di ciò che non è loro, il gregge, e omicidi.
Allora, il Pastore, quello vero, quello ‘per eccellenza’ è identificato da Gesù nella sua persona. E qual è la caratteristica che lo rende riconoscibile come il Pastore Vero? Dice Gesù che “dà la vita per le pecore”. Allora qui Gesù supera la profezia di Ezechiele. Mentre per il Profeta Ezechiele il pastore proteggeva, si prendeva cura del suo gregge, con Gesù il pastore arriva al punto di dare la vita per le sue pecore, quindi si supera.
Poi Gesù continua la figura del pastore a quello che non considera come un cattivo pastore, ma un mercenario. Chi è il mercenario? Il mercenario è colui che agisce per proprio tornaconto. L’evangelista, lo ricordiamo sempre, in queste pagine non entra in polemica con un mondo, quello ebraico, nel quale la comunità cristiana si è ormai irrimediabilmente separata, distaccata, ma è un monito per la comunità cristiana affinché non ripeta gli stessi errori. Quindi nella comunità cristiana, chi agisce esclusivamente per il proprio interesse, per il proprio tornaconto, per il proprio prestigio, Gesù non gli riconosce nessun titolo, nessuna carica, se non quella di essere il mercenario.
Questa espressione “io sono” viene ripetuta in questo Vangelo, in questo brano, per ben tre volte – il numero tre, secondo la simbologia ebraica, significava ciò che è completo. Quindi Gesù rivendica la pienezza della condizione divina e il suo essere Pastore. Perché Gesù può affermare di essere Pastore? Perché lui è l’Agnello. Solo chi è disposto a dare la vita per gli altri, questi può essere il Pastore del gregge. E, dichiara Gesù, che lui “conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui”. Qual è il significato di questa espressione? C‘è una comunicazione intima, crescente, traboccante d’amore tra Gesù e il suo gregge, cioè tra Gesù e i suoi discepoli, i credenti, che è simile – dice Gesù – a quella del Padre con lui.
“Così come il Padre conosce me, io conosco il Padre e do la mia vita per le pecore”. C’è una dinamica di un amore ricevuto da Dio, che si trasforma in amore comunicato agli altri. Più questa misura di amore ricevuto e comunicato è crescente, più si arriva a realizzare un’unica realtà di un Dio che non assorbe le energie degli uomini ma che comunica loro le sue, un Dio che si vuol fondere con l’uomo per dilatarne l’esistenza e farne l’unico vero santuario. Infatti, dichiarerà Gesù tra poco, “Le altre pecore che non provengono da questo recinto…”. Gesù è venuto a liberare le persone, cos’è il recinto? Il recinto è qualcosa che ti da sicurezza, però ti toglie la libertà. Allora Gesù dichiara che lui è venuto a portare un processo di liberazione crescente per l’umanità che non riguarda soltanto le persone che sono rinchiuse nel recinto della religione, ma in tutti quei recinti che impediscono la libertà.
Allora Gesù afferma: “Ho altre pecore che non provengono da questo recinto, - lui è venuto a liberare le pecore dal recinto dell’istituzione giudaica – “anche quelle io devo guidare”. Il verbo ‘dovere’ è un verbo tecnico adoperato dagli evangelisti che indica il compimento della volontà divina. Quindi è volontà di Dio un processi di liberazione. La religione ha un fascino perché ti dà sicurezza però ti toglie la libertà. Ti da sicurezza perché quando entri nell’ambito della religione devi soltanto obbedire, devi soltanto osservare, ma questo ti mantiene in una condizione infantile, di immaturità; invece Gesù vuole portare la persona alla piena maturità, alla piena crescita.
“Ascolteranno la mia voce”, la voce del Signore non si impone mai, ma si propone. Come si fa a distinguere la voce del Signore? Mentre le autorità religiose, siccome sono le prime a non credere nel loro messaggio, lo devono imporre, Gesù, che è cosciente che il suo messaggio è la risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro, gli basta offrirlo, e le pecore, il gregge, i credenti, questo lo capiscono.
“E diventeranno un gregge e un pastore”. In passato, per un errore proprio di traduzione, per aver confuso il termine ‘recinto’, ‘ovile’, probabilmente ad opera di S. Girolamo, la traduzione latina era “un solo ovile e un solo pastore”. Di qui la pretesa della Chiesa per secoli, per tanti e tanti secoli, fino al Concilio Vaticano II, di essere l’unico ovile nel quale c’era la salvezza. Da qui lo slogan ‘fuori dalla Chiesa non c’è salvezza’.
Gesù non è venuto a togliere le persone e le pecore dall’ovile, Israele, per rinchiuderle in un altro recinto più sacro, più bello. No! Gesù è venuto a dare la piena libertà: Un gregge, un Pastore. Cosa vuol dire Gesù? L’unico vero santuario nel quale da ora in poi si manifesterà la grandezza e lo splendore dell’amore di Dio, sarà Gesù e la sua comunità. Mentre nell’antico santuario le persone dovevano andare e molte ne erano escluse, nel nuovo santuario, è il santuario stesso che andrà in cerca degli esclusi dalla religione.

sabato 14 aprile 2018

La Polsa del Vescovo.

Una vista panoramica dell'Alta Valsugana dalla Polsa del Vescovo sopra l'abitato di Caldonazzo.

La predica di domenica 15 aprile.

Basilica di San Pietro in Vaticano. 
L'esperienza del Cristo risuscitato è possibile soltanto nello spezzare il pane, nel farsi pane per gli altri.
Quando della propria vita si fa un dono d’amore per gli altri, lì c’è l’incontro con il Signore che si è fatto pane per noi.

Il Vangelo e la predica nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24, 35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

La predica 

Sperimentare il Cristo risuscitato non è una esperienza privilegiata per poche persone, ma una possibilità per tutti i credenti. E’ quello che gli evangelisti intendono trasmetterci con i racconti della Risurrezione.
Nel Vangelo di Luca, dopo l’episodio di Emmaus, i discepoli protagonisti di questa esperienza sconvolgente del Signore, narrano agli altri undici e agli altri, “ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”.
Questa sarà una caratteristica presente in tutti i Vangeli. L’esperienza del Cristo risuscitato è possibile soltanto nello spezzare il pane, nel farsi pane per gli altri. Quando della propria vita si fa un dono d’amore per gli altri, lì c’è l’incontro con il Signore che si è fatto pane per noi.
Quindi i discepoli di Emmaus raccontano agli altri, agli undici e a quelli che erano con loro, di come l’avessero riconosciuto. Come? L’amore ricevuto si fa presente quando diventa amore donato; quindi l’amore che il Signore ci dona, quando si trasforma in amore comunicato agli altri, rende presente la persona di Gesù.
“Mentre essi parlavano di queste cose” – scrive l’evangelista – “Gesù in persona stette in mezzo a loro”. E’ una caratteristica di tutti i Vangeli, quando Gesù risuscitato appare, si mette sempre in mezzo. Gesù non si mette alla testa di un gruppo, creando una gerarchia di persone che gli sono più vicine e persone che restano ultime, ma Gesù si mette in mezzo. Tutto il gruppo è attorno.
Gesù è la fonte dell’amore di Dio che si irradia per tutte le persone che gli sono attorno.
E Gesù, come abbiamo visto anche negli altri Vangeli, disse: «Pace a voi!». Pace, la traduzione dell’ebraico Shalom, indica tutto quello che concorre alla pienezza, alla felicità delle persone, e Gesù può fare questo invito alla felicità perché lui è il responsabile di questa felicità. Ma per i discepoli, abituati alla tradizione religiosa, è difficile percepire che Gesù sia veramente lui, che sia veramente vivo. Allora pensano che sia un “fantasma”. La traduzione fantasma non rende bene il greco ‘pneuma’ che significa spirito; cioè non pensano che sia una persona reale, ma un qualcosa di questa persona, un’anima, uno spirito, perché non pensano alla possibilità che la persona possa passare attraverso la morte rimanendo integro.
Gesù non è uno spirito, Gesù è in “carne e ossa”, come l’evangelista ci sta dicendo, una persona che ha la condizione divina; la condizione divina non annulla la fisicità, ma la dilata e la trasfigura. Quindi sono immagini letterarie, quelle che l’evangelista ci presenta, di Gesù che mangia, Gesù che si presenta fisicamente, per far comprendere che la Risurrezione non annulla l’individuo, non annulla la persona, la dilata e la trasfigura.
E Gesù cerca di far comprendere che lui si realizza il progetto del creatore, quel progetto che è stato trasmesso attraverso la legge di Mosè, quel progetto che è stato portato avanti e proposto dai profeti e quel progetto che è stato cantato nei salmi: l’uomo che avesse la condizione divina.
E Gesù cerca di far comprendere loro il significato profondo di questa scrittura e la conclusione di questo brano importantissimo – perché è il mandato che Gesù da ai suoi discepoli, quindi ai credenti di tutti i tempi – che nel nome di questo Cristo risuscitato, cioè della perfetta realizzazione del progetto di Dio sull’umanità, “saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”. Quindi sarà predicata la conversione per il perdono dei peccati a tutti i popoli. Vediamo ciascuno di questi elementi. Per ‘conversione’ in greco si usano due termini, uno che significa ‘il ritorno a Dio’, quindi il ritorno al culto, il ritorno al tempio, alla preghiera; gli evangelisti evitano accuratamente questo termine, usano l’altro che significa ‘cambiamento di mentalità’ che coincide con un cambio di comportamento nei confronti degli altri.
Allora Gesù dice che nel nome del Cristo Risuscitato sarà predicato un cambiamento. Qual è il significato di questo cambiamento? Orienta diversamente la tua esistenza, se fino ad ora hai vissuto per te, ora vivi per gli altri. Questo ottiene il perdono, cioè il condono – e quindi non dice la conversione e…, ma il testo greco riporta per…, cioè per il perdono, per la cancellazione dei peccati.
Questo termine ‘peccati’ non indica le colpe abituali degli uomini, ma una direzione sbagliata della propria esistenza. Quando uno cambia vita, quando non pensa più a se stesso, ma orienta la propria vita per gli altri, il passato ingiusto, il passato peccatore è completamente cancellato.
E questo deve essere annunziato a tutti i popoli pagani. Il termine adoperato dall’evangelista, il greco ethne, da cui etnico, indica i popoli pagani, e c’è una sorpresa che l’evangelista ci mette: tutti i popoli pagani cominciando da – e ci aspettiamo quale sarà il primo popolo pagano, bisognoso di questa conversione, sarà la Siria, sarà l’Egitto, quale sarà il primo popolo pagano a cui bisogna proclamare la conversione? - ebbene, la sorpresa, il primo popolo pagano è Gerusalemme. Gerusalemme, la città santa, il luogo dove c’era il tempio, equiparata da Gesù a terra pagana bisognosa di conversione. Sono le istituzioni religiose quelle che per prime hanno bisogno di convertirsi.

lunedì 9 aprile 2018

Bikers ed escursionisti: trasformiamo la regolamentazione da problema in opportunità?

La convivenza in montagna tra bikers ed escursionisti sembra non sempre possibile, soprattutto nella zona dell'Alto Garda.

Con una recente delibera la PAT ha cercato di regolamentare la questione identificando alcuni sentieri vietati alle biciclette e altri percorsi dedicati ai bikers.

È indiscutibile che la zona dell'Alto Garda abbia fatto dei percorsi per mountain bike un punto di forza della propria offerta turistica, soprattutto verso il turista tedesco.
Purtroppo a volte il comportamento poco educato di alcuni bikers contribuisce ad attirare le ire degli escursionisti e quando il fenomeno assume dimensioni rilevanti scattano la regolamentazione e i divieti: se l'educazione e il buon senso non sono sufficienti intervengono le limitazioni e i divieti che spesso finiscono per scontentare entrambe le parti in causa.

Ci sono in tutto il Trentino chilometri di strade forestali e sentieri minori quasi sempre deserti: sarebbe il momento giusto, per alcune amministrazioni comunali, di cogliere l'occasione per sviluppare e promuovere l'attività delle mountain-bike, rilanciando, con opportuna segnaletica e adeguata promozione turistica, quei percorsi adesso poco frequentati probabilmente perché poco attrattivi (per livello di difficoltà, per lunghezza ecc...) per gli escursionisti.

Si tratta di redistribuire l'offerta turistica orientata alle mountain bike su territori che hanno spazi adatti a disposizione e bisogno di incrementare le presenze turistiche.

Sto pensando ad esempio alla Valsugana, Panarotta e Vezzena.
Gli altipiani cimbri sono già attivi in questa direzione.

Chissà se qualche operatore turistico e amministratore della Valsugana sapranno trasformare la limitazione in una nuova opportunità?

sabato 7 aprile 2018

La predica di domenica 8 aprile 2018.

Chiesa di Santa Zita: sorge poco distante da passo Vezzena, lungo la strada provinciale 349 proveniente da Asiago. 

«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non crederò»
Tommaso non nega la risurrezione di Gesù, solo che grida il suo bisogno disperato di sperimentarlo.

Il Vangelo e la predica completa nel seguito. 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19-31)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


La predica.

    Tutti i discepoli di Gesù si sono nascosti in casa per paura di fare la stessa fine del loro maestro – il mandato di cattura era per tutto il gruppo, non solo per Gesù, perché non era pericoloso soltanto Gesù, ma il suo messaggio, e se c’è in giro qualcuno che lo annunzia, l’istituzione religiosa non dorme sonni tranquilli.
    Ebbene, mentre tutti i discepoli sono chiusi, come scrive l’evangelista «per timore dei Giudei», cioè dei capi religiosi, c'è uno che non ha questa paura, e per questo non è presente quando Gesù si manifesta ai suoi. Lui non ha paura, non si è rinchiuso con gli altri perché è il discepolo che, come aveva detto nell'episodio di Lazzaro, è disposto a morire con Gesù.
    Questo discepolo si chiama Tommaso e, dopo Simon Pietro, è quello più importante del vangelo di Giovanni. E' nominato per ben sette volte. Questo Tommaso è conosciuto come “didimo”, cioè gemello. Di chi è il gemello? E' il gemello di Gesù. Perché è disposto con Gesù e come Gesù a dare la vita per gli altri. E' quello che più gli assomiglia.
    Ebbene lui non era con gli altri discepoli quando Gesù si è manifestato e quando questi gli annunziano «Abbiamo visto il Signore», lui non nega questa possibilità, ma grida il suo disperato bisogno di crederci e di sperimentarlo. Quando Tommaso dice: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non crederò », non è al presente, ma al futuro, non è una negazione della risurrezione di Gesù, ma il disperato bisogno di crederci.
    E’ un po’ come quando noi, nella lingua italiana, diciamo “Non ci posso credere!”, non significa “non ci voglio credere”, non significa negare l’evidenza di un fatto, ma è talmente bello, talmente inaspettato, che diciamo “Non ci posso credere”. Oppure quando diciamo “Ma non è possibile!”, non significa negare, significa che quello che ci viene detto è così bello che ci sembra impossibile.
    Quindi Tommaso non nega la risurrezione di Gesù, solo che grida il suo bisogno disperato di sperimentarlo. Ed ecco che allora «otto giorni dopo», cioè quando la comunità si ritrova per l’eucaristia – perché Gesù non concede manifestazioni private o visioni particolari – Gesù si manifesta nell’eucaristia. Nell’eucaristia, quando l’amore ricevuto si trasforma in amore comunicato, lì si manifesta la presenza del Signore.
    “Venne Gesù” e «stette in mezzo» a loro. Gesù è sempre il centro della comunità, annunzia di nuovo la pace, l’invito alla pienezza della felicità, come ha fatto nella prima apparizione, e invita Tommaso a fare quello che lui aveva detto, cioè a mettere il dito e le mani nel suo fianco e nelle sue piaghe. E lo invita a non «essere incredulo, ma credente». Ebbene, Tommaso si guarda bene – purtroppo gli hanno fatto un brutto servizio i pittori – dall’infilare il dito nel costato di Gesù o nelle sue piaghe.
    Tommaso si guarda bene, ma prorompe nella più alta, assoluta espressione di fede contenuta in tutti i vangeli. Tommaso si rivolge a Gesù riconoscendolo «Mio Signore e mio Dio!» Quando Filippo aveva chiesto a Gesù «mostraci il Padre e ci basta» e Gesù aveva risposto «Chi ha visto me ha visto il Padre», ora questo si realizza nell’esperienza di Tommaso.
    Tommaso si rivolge a Gesù riconoscendolo come Signore e come Dio. Quel Dio che nessuno ha mai visto, come ha scritto Giovanni nel suo Prologo, si manifesta nel Gesù risuscitato. Quindi Tommaso non solo non è incredulo, ma esplode nella più grande professione di fede di tutti i vangeli.
    Ebbene, nonostante questo Gesù replica: «Perché mi hai veduto hai creduto. Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». L’esperienza della risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso duemila anni fa a un piccolo gruppo di persone, ma tutti coloro che accolgono il suo messaggio e, con lui e come lui, vivono per gli altri, faranno l’esperienza del risorto. E, mentre c’è il bisogno da parte della gente di qualcosa da vedere per credere, Gesù propone il contrario: “Credi e diventerai tu un segno che gli altri possono vedere”. E questa è la seconda beatitudine con la quale si chiude il vangelo di Giovanni.
    La prima era quella della pratica della lavanda dei piedi, quella del servizio, quando Gesù aveva detto: “Sarete beati se metterete in pratica”. E’ il servizio agli altri ciò che permette di sperimentare la presenza di Dio – Dio è colui che si mette al servizio degli uomini – nell’esistenza di ogni individuo.

mercoledì 4 aprile 2018

Consiglio Comunale: convenzione parcheggi con Trentino Mobilità.


Riunione del Consiglio Comunale pre pasquale: il giovedì santo è stato "parcheggiato" in favore di alcune urgenze inderogabili tra le quali il rinnovo della "convenzione parcheggi" con Trentino Mobilità.

Nella precedente seduta era saltata l'approvazione anche a causa dell'abbandono dell'aula da parte delle minoranze con conseguente mancanza del numero legale.

Un gesto dimostrativo che voleva comunicare alla maggioranza un dissenso generalizzato sul suo modo di fare politica (dove per politica intendiamo il termine più puro: Τὰ πολιτικὰ "interessarsi delle cose della città" ).

Gesto non apprezzato dalla maggioranza che ha cercato di accusare per questo le minoranze.

Ci pare però che la maggioranza abbia fatto una cosa simile facendo andare deserto un consiglio comunale convocato dalle minoranze il 20 luglio 2017...

Il contendere sui parcheggi è il seguente:
è conveniente per il Comune affidare a terzi la gestione dei parcheggi?

Una percentuale del 30% / 40% (a seconda di chi controlla) degli incassi dei parcheggi a pagamento viene versato a Trentino Mobilità in cambio di una gestione integrata che comprende anche la manutenzione delle apparecchiature e i servizi di pagamento unificato quali "MyCicero" ecc...
È da segnalare che nella precedente convenzione veniva corrisposto a Trentino Mobilità il 50% degli incassi.

Oppure è meglio mantenere la gestione all'interno del Comune incamerando tutti gli incassi addossandosi però le spese di gestione e controllo?

La maggioranza ha votato a favore della convenzione.

Si tratta di una valutazione di convenienza economico finanziaria che ha avuto valutazioni nettamente differenti tra maggioranza e minoranza: evidentemente la matematica finanziaria è un'opinione...

Non abbiamo avuto la possibilità di verificare le valutazioni e pertanto non possiamo prendere una posizione sull'argomento.

Vale però la pena segnalare come i bilanci di Trentino Mobilità abbiano indici molto positivi.

I bilanci di Trentino Mobilità denotano appunto flussi di cassa positivi: negli ultimi due esercizi approvati la società ha registrato utili superiori ai 500 mila euro e ricavi nell'ordine dei 4,2 milioni di euro.
Nel 2017 è stata deliberata la distribuzione ai soci di quasi tutto l'utile maturato: 425 mila euro.

Possiamo dedurre che la gestione dei parcheggi a pagamento sia una attività abbastanza redditizia?