sabato 27 giugno 2020

Il Vangelo con commento di domenica 28 giugno 2020.

Chiesa di S.Apollinare Piedicastello di Trento. 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me...». 

Gesù non viene a distruggere la famiglia, ma a liberarla dai ricatti affettivi che impediscono ai suoi componenti di crescere. La famiglia deve rendere i componenti capaci di essere indipendenti e volare al di fuori. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 10,37-42) 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Il commento.
Gesù non è venuto a distruggere la famiglia, ma a liberarla e aggiunge:
37 “Chi vuol bene al padre o alla madre più di me, non è degno di me; chi vuol bene al figlio o alla figlia più di me non è degno di me”. Per seguire Gesù bisogna essere pienamente, completamente liberi. Chi non è libero, chi è condizionato, non può assolutamente avere la capacità di seguire Gesù. L’individuo deve rendersi indipendente da tutto quello che gli impedisce la piena libertà di movimento, compresi i rapporti familiari, chiamati legami. I rapporti familiari vengono chiamati legami, una cosa che lega, che impedisce di essere liberi. Gesù chiede di sciogliere i legami che, per la loro situazione, impediscono alle persone di essere libere.
Gesù non viene a distruggere la famiglia, ma a liberarla dai ricatti affettivi che impediscono ai suoi componenti di crescere. Ma la famiglia deve rendere i componenti capaci di essere indipendenti e volare al di fuori. Una famiglia che impedisce alle persone la libertà in base al ricatto affettivo, impedisce che diventino seguaci di Gesù.
Chi vuol bene al padre e alla madre più di me, non è degno di me e l’individuo non crescerà mai, perché la crescita è garantita soltanto dalla libertà.
Gesù è cosciente delle conseguenze del suo messaggio, per questo dopo avere invitato alla piena libertà, parte dalla famiglia. L’esempio di Matteo riguarda la famiglia, ma deve essere esteso a tutti i rapporti sociali dell’umanità. Gesù cosciente che quello che sta dicendo, non sarà senza conseguenze, dice, ed è la prima volta nel vangelo:
38 “Chi non prende la sua croce e non viene dietro di me, non è degno di me”. É la prima delle due volte che nel vangelo appare il termine croce; analizziamo bene questo tema, perché se la nostra spiritualità è basata su interpretazioni errate, anche la nostra vita ne può risentire.
Nel linguaggio popolare croce è adoperato per una malattia, una sofferenza… tutto può essere la croce che il Signore ci ha dato, o che si incontra nella vita. Si sente dire che ognuno ha la sua croce, attenti a non scrollarla perché poi dopo arriva una croce più pesante. Poi si dice che il Signore fa la croce secondo le spalle delle persone, il Signore dà a ognuno la sua croce. Questo, se non fosse tragico, sarebbe semplicemente ridicolo, perché non appartiene al messaggio di Gesù. L’invito a caricarsi della croce è presente, nei vangeli cinque volte, in Matteo, in Marco e in Luca, è assente nel vangelo di Giovanni.
É un invito a caricarsi della croce, mai è un invito ad accettare, a portare la croce. Infatti Matteo nel formulare l’invito, evita il verbo portare o accettare la croce, che significherebbe accettare quello che la vita fa incontrare o che Dio stesso provoca, quindi un atteggiamento passivo. Tutti i vangeli indicano un’azione attiva da parte dell’uomo, in questo caso prendere, più avanti nel secondo invito dirà: chi non solleva la croce.
L’invito non viene mai offerto a tutti, Gesù dice che la croce è data ai discepoli, a coloro che si impegnano a seguirlo. Poi mette in chiaro quali sono le conseguenze della di lui sequela. Vediamo di comprendere il valore di croce.
La crocifissione non era un tipo di condanna a morte, era una tortura terribile, tremenda, riservata alla feccia della società. Matteo più avanti distingue tra uccidere e crocifiggere e dirà: “Vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e altri li crocifiggerete” Una cosa è uccidere, un’altra è crocifiggere. La croce era una tortura: sopra le spalle del condannato era issata la trave traversale, poi il condannato era portato nel luogo dell’esecuzione.
Il supplizio era che, issato il condannato sul palo, la morte avveniva per sfinimento o per asfissia, tra il terzo e il settimo giorno. La persona legata non riusciva a respirare, dopo un po’ avveniva l’asfissia e per impedire una morte rapida, sotto il sedere o sotto i piedi, era inserito un legno, in modo che la persona potesse sollevarsi. Era una morte orribile, spaventosa, la più temuta al tempo di Gesù.
Il fatto che Gesù, muoia appena messo in croce, lo si deve al fatto che era stato flagellato. Normalmente la persona moriva durante la flagellazione, perché non c’era limite al numero di colpi, che era lasciato alla discrezione del boia. Nel mondo ebraico si cercava di non arrivare a 40 frustate, ma non si sa quante ne abbia ricevute Gesù. Di norma la persona moriva durante la flagellazione. Era una morte ritenuta talmente spaventosa che, nella Bibbia, era considerata riservata ai maledetti da Dio. Chi muore in croce è un maledetto da Dio, perché non è possibile che un giusto faccia una morte così spaventosa.
I discepoli pensano di andare a Gerusalemme, a conquistare il potere con il Messia e condividere il trono. Il trono che si condivide con Gesù, è un patibolo di un condannato a morte, la morte del maledetto da Dio. Potremmo, in termini attuali, tradurre l’invito di Gesù: chi non accetta di perdere la propria reputazione, non pensi a venirmi dietro. É un invito, non ad accogliere le sofferenze, ma se hanno chiamato Belzebù, Gesù, il Figlio di Dio, se hanno detto che è pazzo, eretico, indemoniato, quanto più ne diranno dei discepoli.
Allora Gesù che parla di un invito alla piena libertà, dice ai discepoli che se non sono pienamente liberi, non possono andargli dietro. Non c’è piena libertà fin tanto che l’uomo non rinuncia alla propria reputazione. Il tenere al buon nome e alla reputazione, è un limite che impedisce di dire esattamente quello che si pensa, perché nella vita si è condizionati da quello che pensano gli altri e che impedisce di essere se stessi, per paura che la reputazione venga derisa. L’invito a prendere la croce, è accettare di perdere la reputazione, per andare dietro a Gesù, perché prima o poi verrà la calunnia, la persecuzione, le difficoltà e poi il tradimento. D’altra parte si sa che è doloroso, ma quando si perde la reputazione c’è un’ebbrezza di libertà che fa sì che non la si vuol più riottenere.  Poter essere completamente liberi, essere veramente se stessi, dire esattamente quello che si pensa a un altro! L’invito di Gesù chi non prende la sua croce e non viene dietro di me, non è degno di me, è prendere la sua croce, cioè la sua perdita di reputazione, di diffamazione, e quello che ne verrà. Nei vangeli, la croce non è mai data da Dio, ma è presa dagli uomini come conseguenza del seguire Gesù.
39 “Chi avrà trovato la sua vita (psichè che abbiamo visto domenica scorsa, la CEI ha tradotto anima, qui traduce vita, è lo stesso termine), la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”. In contrapposizione al verbo perdere, trovare la vita significa trattenerla per sé. Perderla a causa di Gesù, non per altri motivi, significa il dono di sé. Gesù dice che il dono di sé conduce alla pienezza della propria esistenza; la gente ha paura di donarsi, perché ha paura di diminuirsi, di perdersi. Gesù garantisce che solo nel dono di sé, la persona sviluppa le proprie capacità; dove c’è un amore senza limiti, c’è una vita senza limiti. Più uno si dà e più energie scopre di avere in sé (chi ne fa la prova, lo può confermare), che pensava di non possedere. Quanti si sono trovati in situazioni di emergenza, per una situazione familiare o altro e hanno trovato dentro di sé energie insospettate, che non credeva di avere. Erano rimaste assopite, non c’era stata la possibilità dello sviluppo attraverso il dono. Perciò la persona più si dona, più cresce e più si sviluppa. Non diminuisce. Chi al contrario, ha una vita chiusa nell’egoistico orizzonte dei propri interessi, quando arriva la morte fisica trova una vita svuotata di energia vitale.
40 “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha
inviato”. Gesù parla ai discepoli che portano la croce, il discepolo che porta la croce è un maledetto da Dio. Gesù qui fa un paradosso: il discepolo che porta la croce, che è considerato maledetto da Dio, in realtà è la manifestazione visibile di Dio stesso. Chi accoglie voi accogli me, chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato, colui che accetta di portare la croce, manifesta visibilmente la presenza di Gesù, e con Gesù quella di Dio stesso.
41 “Chi accoglie un profeta per il nome di profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto per il nome di giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42 Chi avrà dato anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli, per il nome di discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.
L’evangelista sottolinea ancora una volta, la qualità superiore dell’alleanza che Gesù è venuto a portare. Prima parla con termini che riguardano l’Antico Testamento il profeta e il giusto: chi accoglie un profeta o un giusto, riceve la ricompensa che dà un profeta o un giusto; chi accoglie un discepolo, non riceve la ricompensa del discepolo, come ricompensa ha la presenza di Dio stesso. É la nuova qualità molto più grande, superiore, che Gesù porta: l’accoglienza di un discepolo comporta la presenza di Dio stesso. Gesù parla dei piccoli e ricordiamo: chi scandalizza uno di questi piccoli, e vennero considerati i bambini. Nei vangeli e nel vangelo di Matteo i bambini sono quelli ammazzati da Erode nella strage di Betlemme, non ci sono altri bambini. Il messaggio di Gesù è rivolto agli adulti e con il termine piccoli, si intende gli elementi più insignificanti della società. Quelli che non osservavano la Legge, quelli che non vivevano nei dettami della purezza, gli ignoranti o le persone socialmente insignificanti, erano chiamate dai rabbini micron (un termine greco), da cui microbo, un niente. Gesù dice che chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca a uno di questi microbi (traduco microbi per far comprendere piccoli), in verità vi dico: non perderà la sua ricompensa, Gesù dice che l’accoglienza degli ultimi della società, comporta l’accoglienza del più grande, di Dio stesso. É il paradosso della comunità cristiana e un invito a mettersi sempre dalla parte degli ultimi perché lì c’è la presenza di Dio stesso.

domenica 21 giugno 2020

Il Vangelo con commento di domenica 21 giugno 2020.

Chiesa di St Jakob In Grissiano (BZ). 
Se io affido la mia vita ai beni che ho, più ne ho più sono tranquillo, ma Gesù dice che nel dono di sé si acquista l’energia vitale. Chi accumula per sé la svuota e quando arriva la morte fisica, c’è la morte dell’individuo.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Matteo 10, 26-33 Non li temete dunque, poiché non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato.  Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti.
 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

Il commento.
Nel Vangelo di Matteo c’è ora una serie di tre inviti a non avere paura.
26 “Pertanto non abbiate paura di loro”, è il primo invito da parte di Gesù a non avere paura a proclamare l’annuncio del messaggio, “Pertanto non abbiate paura di loro, perché non vi è nulla di coperto che non sarà svelato, né di nascosto che non sarà conosciuto. 27 Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate nell’orecchio voi predicatelo sui tetti”.
É l’invito di Gesù ad non avere alcun tipo di timore, di paura nonostante la persecuzione.
Il primo è un invito all’annuncio integrale del messaggio di Gesù; c’è il rischio e una tentazione presente per tutti, specialmente per gli annunciatori del vangelo, che per piacere alla gente si attenuino le parti scomode. Non tutto il vangelo è digeribile, ci sono delle parti indubbiamente difficili, scomode, e la tentazione di colui che annuncia è dire quello che fa piacere alla gente, anziché dire una cosa che la fa imbestialire perché potrebbe rischiare di perdere il pubblico. Per Gesù il messaggio deve essere annunciato integralmente, anche in quelle parti che possono ferire la suscettibilità, la permalosità degli ascoltatori. Se annunciate il messaggio e vi fanno l’applauso lo prendete, se vi lanciano le pietre vi scanserete, ma il messaggio non va attenuato. Nella nostra cultura è difficile capire l’invito di Gesù: quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti, perché i discepoli erano arrampicati sui tetti. Tenete presente che i tetti delle case palestinesi sono delle terrazze piatte, il tetto è il punto più elevato della città, perciò significa fate ascoltare a tutti quanti.
28 “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere la vita dell’individuo”. Sapete che è importante la traduzione della Bibbia,
perché se un termine è tradotto male ne va anche della nostra spiritualità. Purtroppo in passato e ancora oggi nell’ultima edizione della CEI, il termine psychè, che è entrato in uso comune (da cui psicologia), è tradotto con anima. Nel mondo ebraico il concetto di anima è inesistente. Il concetto di anima immateriale, che quando la persona muore non si sa dove vada, è completamente assente dalla cultura ebraica e dall’annuncio di Gesù.
Il concetto di anima è stato importato dalla filosofia greca, che credeva nell’esistenza di un’anima immortale. L’anima stava nei cieli, veniva nella terra, si incarnava in un corpo, che considerava una prigione. Quando finalmente il corpo moriva, l’anima ritornava nei cieli. Tutto questo è assente nell’Antico e Nuovo Testamento.
Psychè è la forza vitale dell’individuo e possiamo senz’altro tradurre la vita dell’individuo.
Gesù dice: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, la ciccia, questa prima o poi muore, il corpo è destinato a deperire, ma la forza vitale che è nell’individuo, può restare per sempre. Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, di quelli che vi ammazzano, perché non hanno potere di uccidere la forza vitale che è in voi.
 “Temete piuttosto chi ha il potere di distruggere la vita e il corpo nella Geènna”.
Dicono che costui sia Dio, per l’immagine tanto antipatica che abbiamo del Padre Eterno, per la somaraggine di certi interpreti nei vari commentari. Un Dio che uccide le persone, non è il dio di Gesù, è Mammona. L’evangelista vuole dire che l’opposizione ai valori dell’istituzione religiosa e della società, può provocare la persecuzione e la perdita della vita fisica del corpo. Andare controcorrente comporta inevitabilmente la persecuzione e, forse, il rischio della vita. L’adesione ai valori della società, il non conformismo all’istituzione religiosa, porta invece a perdere il corpo e la forza vitale, per finire nella Geènna (un burrone a sud di Gerusalemme che serviva da inceneritore, immondezzaio).
Gesù dice: quando morite andate a finire nell’immondizia, perché siete un corpo svuotato di energia vitale. L’adesione ai valori del sistema è indicato da Mammona, il dio della ricchezza. Se io affido la mia vita ai beni che ho, più ne ho più sono tranquillo, ma Gesù dice che nel dono di sé si acquista l’energia vitale. Chi accumula per sé la svuota e quando arriva la morte fisica, c’è la morte dell’individuo. Gesù assicura i discepoli perseguitati, che nonostante le apparenze, il persecutore non vincerà mai, perché Dio si mette sempre dalla parte dei perseguitati. Se Mammona è un dio che distrugge e rendere culto a Mammona distrugge l’individuo, il Padre è quello che vivifica.
Un altro brano dove l’inesatta traduzione di un versetto ha dato luogo a tragedie spirituali 29 “Due passeri non si vendono forse per un asse (soldo)”. Gesù prende come paragone l’asse, per dare l’idea un cent., una moneta che neanche più si usa tanto il poco valore. I passeri? Nel mondo ebraico, si benediva tutto il creato, ma i passeri non venivano benedetti, perché erano ritenuti animali inutili e nocivi. Nel raccolto dei cereali, le invasioni di stormi di passeri erano nocive! Erano animali inutili, soprattutto nocivi e non erano benedetti, ma se qualcosa non era benedetto da Dio, significava che era fuori dalla sfera di Dio. Gesù prende come esempio gli animali che sono ritenuti esclusi dall’azione di Dio, e dice: due passeri non si vendono per un cent?
“Eppure neppure uno di essi cadrà a terra senza il Padre vostro”, è il testo
dell’evangelista. Il passaggio parallelo nel vangelo di Luca dice “i passeri non si vendono forse per 2 assi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio”, a Dio non sfugge nulla di quello che accade nell’esistenza, nemmeno gli elementi ritenuti insignificanti sono considerati esclusi dall’azione di Dio. Allora traduciamo: “neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo sappia”, è il significato del testo. In passato l’inesatta traduzione senza il volere del Padre vostro ha dato origine alla blasfema idea che tutto quello che accade nell’esistenza, sia frutto della volontà di Dio. Da questa espressione è nato il proverbio: non cade foglia che Dio non voglia. Se non cade una foglia che Dio non voglia, se io adesso inciampo, è Dio che lo ha voluto, tutto è volontà di Dio. Questo ha fatto sì che la volontà di Dio, che nei vangeli è una e positiva, coincida con gli aspetti tristi e negativi dell’esistenza delle persone. Le persone che soffrono per le situazioni tristi, negative della vita, se la prendano giustamente con il Padreterno!
Gesù dice il contrario, non è che non cade neanche un passero senza il volere del Padre vostro, ma all’insaputa: a Dio non sfugge niente. Infatti dice Gesù
30 “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31 Non abbiate paura dunque: voi valete più di molti passeri!”. Gesù vuole infondere la fiducia totale in Dio, che conosce l’uomo come questi non riuscirà mai a conoscersi. Dio però, ci conosce come noi non riusciremo mai a conoscerci. É il terzo e ultimo invito, che riassume gli altri due, non abbiate paura dunque; se Dio vi conosce come voi non vi conoscete, se a Dio non sfuggono neanche gli elementi intimi del creato, quanto più si occuperà di voi. Gesù già aveva parlato dell’atteggiamento premuroso del Padre verso i figli, poi Paolo nella lettera ai Romani dirà: se Dio è per noi, chi può essere contro di noi?
Non preoccupatevi di niente, se c’è Dio che si prende cura di voi, di cosa vi andate a occupare.
32 “Pertanto chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscere davanti al Padre mio quello nei cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.” Non significa tanto riconoscere Gesù, quanto il discepolo che si rende riconoscibile. Gesù aveva già indicato ai discepoli: voi siete la luce del mondo, cioè l’atteggiamento del discepolo deve manifestare visibilmente l’accoglienza del messaggio di Gesù e la sua traduzione in pratica. L’unico distintivo del discepolo è un amore che si fa servizio. Il comportamento rende riconoscibile, il discepolo come tale. Il contrario del riconoscimento è il rinnegamento, che nel vangelo vedrà come protagonista Pietro. Nel momento della cattura di Gesù, Pietro rinnegherà per tre volte, in maniera completa, di essere il discepolo di Gesù. Chi non rinnega se stesso, prima o poi finisce per rinnegare Gesù, e  rinnegare se stesso, non significa frustrare la propria esistenza, ma realizzarla in pienezza.

domenica 14 giugno 2020

Il Vangelo con commento di domenica 14 giugno 2020.

Santuario della Madonna del Làres -  frazione Bolbeno Comune di Borgo Lares (TN).
“«Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui»”.
Gesù ci presenta un Dio che non assorbe gli uomini, ma li potenzia. Un Dio che non prende l’energia degli uomini, ma comunica loro la sua.
Ecco la piena fusione di Gesù con gli uomini e degli uomini con Gesù.

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Giovanni 6, 51-58)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Il commento.
Le parole di Gesù, nel vangelo di Giovanni, sono talmente gravi che, al termine di queste, gran parte dei suoi discepoli lo abbandonerà e non tornerà più con lui. Vediamo allora che cos’è di grave, di importante, che Gesù ha detto.
Nel capitolo 6 del vangelo di Giovanni troviamo un lungo e intenso insegnamento sull’Eucaristia. Giovanni è l'unico evangelista che non riporta la narrazione della cena, ma è quello che, più degli altri, riflette sul profondo significato della stessa.
Quindi il capitolo 6 è un insegnamento, una catechesi alla comunità cristiana, sull’Eucaristia. Leggiamo il capitolo 6, dal versetto 51. “«Io sono»”, e Gesù rivendica la condizione divina, “«il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno»”.
Gesù garantisce che l’adesione a lui è ciò che permette all’uomo di avere una vita di una qualità tale che è indistruttibile. Questa è la vita eterna. Gesù, il figlio di Dio, si fa pane perché quanti lo accolgono e sono capaci di farsi pane per gli altri, diventino anch’essi figli di Dio. “«E il pane che io darò è la mia carne»” - Gesù adopera proprio il termine carne, che indica l’uomo nella sua debolezza, “«per la vita del mondo»”.
Quello che Gesù sta dicendo è molto importante: la vita di Dio non si dà al di fuori della realtà umana. Non ci può essere comunicazione dello Spirito dove non ci sia anche il dono della carne. Quindi il dono di Dio passa attraverso la carne, dice Gesù. L’aspetto terreno, debole, della sua vita. Qui l’evangelista presenta una contrapposizione tra gli uomini della religione che si innalzano per incontrare Dio - un Dio che la religione ha reso lontano, inavvicinabile, inaccessibile – e, invece, un Dio che scende per incontrare l’uomo.
“Allora i Giudei”, con questo termine nel vangelo di Giovanni si indicano le autorità, “«si misero a discutere aspramente tra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?»” Un Dio che, anziché pretendere lui i doni dagli uomini, si dona all’uomo fino ad arrivare a fondersi con lui, si fa alimento per lui. Questo è inaccettabile per le autorità religiose che basano tutto il loro potere sulla separazione tra Dio e gli uomini.
Un Dio che vuole essere accolto dagli uomini e fondersi con loro, questo per loro non solo è intollerabile, ma è pericoloso. Ebbene Gesù risponde loro: “«In verità, in verità io vi dico»”, quindi la doppia affermazione “in verità, in verità io vi dico” è quella che precede le dichiarazioni solenni, importanti di Gesù, “«Se non mangiate la carne del figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita»”.
Gesù si rifà all’immagine dell’agnello, l’agnello pasquale. La notte dell’Esodo Mosè aveva comandato agli ebrei di mangiare la carne dell’agnello perché avrebbe dato loro la forza di iniziare questo viaggio verso la liberazione e di aspergere il sangue sugli stipiti delle porte perché li avrebbe separati dall’azione dell’angelo della morte.
Ebbene Gesù si presenta come carne, alimento che dà la capacità di intraprendere il viaggio verso la piena libertà, e il cui sangue non libera dalla morte terrena, ma libera dalla morte definitiva. Poi Gesù, tante volte non fosse stato chiara la sua affermazione, dice: “Chi mastica la mia carne”. Il verbo masticare i greco è molto rude, primitivo, in greco è trogon. Già il suono dà l’idea di qualcosa di primitivo, e significa “masticare, spezzettare”.
Quindi Gesù vuole evitare che l’adesione a lui sia un’adesione ideale, ma dev’essere concreta. Infatti dice: “«Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna»”. La vita eterna per Gesù non è un premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma una possibilità di una qualità di vita nel presente. Gesù non dice “avrà la vita eterna”. La vita eterna c’è già. Chi, come lui, fa della propria vita un dono d’amore per gli altri, ha una vita di una qualità tale che è indistruttibile.
“«E io lo risusciterò nell’ultimo giorno»”. L’ultimo giorno non è la fine dei tempi. L’ultimo giorno, nel vangelo di Giovanni, è il giorno della morte in cui Gesù, morendo, comunica il suo Spirito, cioè elemento di vita che concede, a chi lo accoglie, una vita indistruttibile.
E Gesù conferma che la sua “«carne è vero cibo e il suo sangue è la vera bevanda»”. Con Gesù non ci sono regole esterne che l’uomo deve osservare, ma l’assimilazione di una vita nuova. E la sua carne è vero cibo, quello che alimenta la vita dell’uomo, e il suo sangue vera bevanda, cioè elementi che entrano nell’uomo e si fondono con lui. Non più un codice esterno da osservare, ma una vita da assimilare.
Gesù ci presenta un Dio che non assorbe gli uomini, ma li potenzia. Un Dio che non prende l’energia degli uomini, ma comunica loro la sua. E Gesù continua ad insistere: “«Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui»”. Ecco la piena fusione di Gesù con gli uomini e degli uomini con Gesù.
Quello di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con gli uomini e dilatarne la capacità d’amore. “«Come il Padre, che ha la vita»”, ed è l’unica volta che Dio viene definito come il Padre che è vivente, “«ha mandato me»”, il Padre ha mandato il figlio per manifestare il suo amore senza limiti, “«e io vivo per il Padre, così anche colui che mastica …»”, di nuovo Gesù insiste con questo verbo che indica non un’adesione teorica, ma reale e concreta, “«… me, vivrà per me»”.
Alla vita ricevuta da Dio corrisponde una vita comunicata ai fratelli. Questo è il significato dell’Eucaristia. E, come il Padre ha mandato il figlio ad essere manifestazione visibile di un amore senza limiti, così quanti accolgono Gesù sono chiamati a manifestare un amore incondizionato.
E conclude Gesù: “«Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono»”. Gesù mette il dito nella piaga del fallimento dell’Esodo. Tutti quelli che sono usciti dall’Egitto sono morti. I loro figli sono entrati. E Gesù contrappone il suo esodo che è destinato invece a realizzarsi pienamente.
E di nuovo Gesù insiste: “«Chi mastica»”, quindi adesione piena e totale, non simbolica, “«questo pane vivrà per sempre»”. Chi orienta la propria vita, con Gesù e come Gesù, a favore degli altri, ha già una vita che la morte non potrà interrompere.

sabato 6 giugno 2020

Il Vangelo con commento di domenica 7 giugno 2020.

Chiesa di S.Andrea - Nago Torbole (TN). 
Dio non è un Dio pessimista, un Dio nauseato dall’umanità, ma un Dio innamorato dell’umanità.
Quindi non ha mandato il figlio per giudicare, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui... 

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Giovanni 3, 16-18)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Il commento.
Dio non è un giudice, ma è colui che comunica vita e offre all’umanità la pienezza di vita che si è manifestata e presentata nel figlio unico, Gesù. E’ il vangelo di Giovanni, capitolo 3, versetti 16-18, ma che avremo bisogno di integrare con il 19 e il 20, altrimenti il brano, così com’è amputato per la liturgia, non si capisce.
“Dio infatti ha tanto amato il mondo”, quindi c’è questa manifestazione d’amore di Dio verso il mondo. Dio non è un Dio pessimista, un Dio nauseato dall’umanità, ma un Dio innamorato dell’umanità. Ed è talmente innamorato, ha talmente amato il mondo, “da dare il proprio figlio unigenito perché chiunque crede in lui …”.
Credere nel figlio unigenito significa credere nel modello di umanità. Qui Gesù viene presentato come il figlio unigenito. E’ figlio di Dio, in quanto Gesù manifesta Dio nella sua condizione umana, ma è figlio dell’Uomo in quanto rappresenta l’uomo nella condizione divina. Quindi in Gesù c’è il modello dell’umanità. Quanti hanno dato adesione a questo modello di umanità, e il modello di umanità, la crescita, la maturità piena dell’uomo, si ha in una capacità d’amore che non si lascia condizionare da nessuno.
“Non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. La vita eterna per Gesù non è una promessa per il futuro, ma una possibilità nel presente. Chiunque vive mettendo nella sua vita un amore simile a quello che Dio ha per noi, cioè un amore totale, incondizionato e illimitato, ha già una vita di una qualità tale che si chiama eterna, non tanto per la durata, ma proprio per la qualità, che è indistruttibile: la morte non la potrà neanche scalfire.
“Dio infatti non ha mandato il figlio”, e di nuovo insiste su questo “il figlio”, il figlio di Dio, il figlio dell’Uomo nella pienezza umana e che comporta la condizione divina, “nel mondo”, e qui non dice “per condannare”, il verbo è giudicare. Dio non è un giudice, ma colui che comunica vita. E il figlio lo stesso.
Quindi non ha mandato il figlio per giudicare il mondo; questa era l’attesa dei farisei che attendevano un messia venuto a giudicare, a separare i buoni dai cattivi, i puri dagli impuri, ma non Dio, non Gesù. Quindi non ha mandato il figlio per giudicare, ma perché “il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Gesù offre una alternativa di vita, offre un’alternativa di società. Quanti l’accolgono sono con lui nella pienezza della vita. “Chi crede in lui” – e credere significa dare adesione a questo modello d’uomo, un uomo capace di un amore illimitato e incondizionato – “non è giudicato”. Quindi non si va incontro a nessun giudizio. L’idea di un giudizio è estranea al vangelo di Giovanni. Chi crede non va incontro a nessun giudizio, ma è già nella pienezza della vita.
Al contrario, chi non crede è già stato giudicato, “perché non ha creduto nel nome dell’unigenito”. E’ l’uomo che si giudica da solo, rifiutando questa pienezza di vita, questo amore. Il rifiuto della pienezza di vita, che è Gesù, comporta la pienezza della morte. Questo è il significato che vuol dare l’evangelista, questo giudizio che poi diventa una condanna.
Quindi il messaggio di Dio è assolutamente positivo: chi lo accoglie è nella pienezza di vita, chi lo rifiuta non viene giudicato, ma da sé stesso si condanna. Ed ecco allora i versetti 19 e 20 che fanno comprendere meglio questo pensiero che altrimenti così è amputato.
E l’evangelista scrive: “La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce perché le loro opere erano malvage”. Ecco il giudizio. Quanti, pur vedendo brillare la luce del Signore se ne ritraggono, rimangono sotto l’ambito della morte. Quanti, invece, vengono attratti da questo cono di luce, entrano nella pienezza di vita. Infatti commenta l’evangelista, “Chiunque infatti fa il male odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate”.
Quindi non c’è nessun giudizio da parte di Dio, c’è una proposta positiva di vita. Chi lo accoglie è nella pienezza della vita; chi lo rifiuta perché questa pienezza di vita va contro i suoi interessi, va contro le sue aspirazioni, rimane nell’ambito della morte. Non per un giudizio di Dio, ma per un giudizio che l’uomo, per la sua scelta, si è dato da sé.