venerdì 24 maggio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 26 maggio 2019.

Duomo di Napoli. 
L’uomo non va in cielo, ma è il cielo che viene ad abitare nell’uomo e rende ogni uomo, ogni comunità, l’unico vero santuario nel quale si manifesta l’amore di Dio per tutta l’umanità. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 23-29)

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Il commento.

    Le parole di Gesù, che adesso stiamo per commentare, sono di estrema importanza. Se comprese, cambiano radicalmente il nostro rapporto con Dio e, di conseguenza, con i fratelli..
    Gesù sta rispondendo a Giuda, non l’Iscariota, che gli ha chiesto “come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. Giuda si rivolge a Gesù come i suoi fratelli che dicevano: “Se fai queste cose manifesta te stesso al mondo”; non capiscono come mai Gesù non si manifesti alla gente in maniera straordinaria e spettacolare.
    Ed ecco l’importante risposta di Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola”; osservare la parola di Gesù significa aver riconosciuto in questa parola la forza creatrice di Dio e la risposta di Dio al desiderio di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro.
    Come risposta di Dio a questa adesione a Gesù, “Il Padre mio lo amerà” –  ed ecco la novità straordinaria –, “e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Il Dio di Gesù non è un Dio che assorbe l’uomo per sé, ma è il Dio che lo potenzia; è un Dio talmente innamorato degli uomini, che chiede di essere accolto nella loro vita per fondersi con loro e potenziarne, dilatarne, la loro capacità d’amore.
    L’uomo non va in cielo, ma è il cielo che viene ad abitare nell’uomo e rende ogni uomo, ogni comunità, l’unico vero santuario nel quale si manifesta l’amore di Dio per tutta l’umanità. L’evangelista qui sta ricordando quanto già aveva scritto all’inizio del suo Vangelo, nel Prologo: “Dio ha posto la sua tenda fra noi”. Ogni creatura, ogni persona, è questo santuario.
    Questa non è una promessa per l’aldilà, ma una risposta del Padre a quanti danno adesione a Gesù. Chi non lo ama non osserva le sue parole perché non riconosce in queste parole la forza creatrice e “la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato”, assicura Gesù.
    Il Padre di Gesù continua la sua stessa azione creatrice attraverso opere che comunicano vita all’uomo. E poi ecco la promessa di Gesù, la promessa della venuta del Paràclito, termine greco che indica colui che aiuta, colui che va in soccorso, ed è l’attività dello Spirito Santo, Spirito che viene chiamato “Santo” non tanto per la qualità, quanto per la sua attività, che è quella di santificare, cioè separare le persone dalla sfera del male.
    L’azione dello Spirito nel credente e nella comunità, qual è? “Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. La parola di Gesù e il suo messaggio sono talmente grandi, talmente enormi, che l’uomo con i suoi limiti non può comprenderli in una sola volta, in una sola esperienza ma, man mano che accoglie questa parola e la traduce in opere che comunicano vita agli altri, si allarga, si dilata la sua capacità d’amore e permette a questa parola di essere sempre più compresa.
    Gesù assicura che la funzione dello Spirito nella sua comunità non è quella di annunziare un nuovo messaggio, ma di ricordare e di far prendere coscienza della potenza di questo messaggio. Egli assicura che, di fronte ai nuovi bisogni, alle nuove situazioni, alle nuove emergenze che avverranno nella sua comunità, lo Spirito Santo saprà dare sempre nuove risposte ai nuovi bisogni.
    Poi Gesù conclude dicendo: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” – era il saluto abituale – “non come la dà il mondo”, cioè nel mondo si dava questo saluto, si salutava così chi partiva, invece è Gesù che parte che dà questa felicità ai suoi e chiede di non avere timore, di lasciare spazio all’amore, che prenda il posto del timore. Perché? Perché dice: “Se mi amaste vi rallegrereste che io vado al Padre”. Gesù non pensa alle sue sofferenze, ma al bene dei suoi. Pensa già al bene che verrà dalla sua morte, dal dono della sua vita e dalla comunicazione dello Spirito ai suoi.
    E poi, ecco l’avvertimento finale: “«Ve l’ho detto ora prima che avvenga»”. Che avvenga cosa? Il momento drammatico della cattura di Gesù, catturato come un bandito, come un malfattore; il momento drammatico del suo processo, condannato come un bestemmiatore; il momento drammatico della sua esecuzione, ucciso come un criminale, come un maledetto da Dio.
    Ebbene, Gesù dice: “Vi dico tutto questo prima che avvenga perché, quando avverrà, voi crediate”, cioè continuiate a credere in Gesù, il figlio di Dio. Credendo in Gesù la smetteranno di credere nel sommo sacerdote, credendo in Gesù la smetteranno di credere nell’istituzione religiosa e potranno aprirsi a questa grande realtà di un Dio che non è lontano, non è separato, ma chiede di abitare negli uomini; un Dio che non chiede più di vivere per lui, ma di vivere di lui con lui e come lui.

sabato 18 maggio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 19 maggio 2019.

Basilica di San Giorgio Maggiore - Venezia. 
L’unico comandamento della comunità cristiana è un amore che si manifesta visibilmente nel servizio: questo è l’unico distintivo dei credenti in Gesù. 
Quando l’uomo è capace di arrivare ad amare in maniera incondizionata, in lui si manifesta la condizione divina.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 13, 31-35)

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Il commento. 

    Alla base dell’unico comandamento della comunità cristiana, non c’è un dottrina rivelata, ma c’è un gesto d’amore. Sentiamo il Vangelo di Giovanni.
    “Quando fu uscito”, è uscito Giuda. Giuda non accetta l’offerta incondizionata d’amore che Gesù gli sta riproponendo continuamente nella cena, ed esce. E dice l’evangelista “Ed era notte”. Giuda, immagine delle tenebre, è sprofondato, è stato inghiottito dalle tenebre. Ebbene, “Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora»”, questa ‘ora’ annunziata in tutto il Vangelo, adesso si realizza: “«il Figlio dell’uomo è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui»”. Qual è il significato di questa espressione?
    Gesù ha offerto amore incondizionato anche al discepolo traditore; al suo odio Gesù ha riproposto continuamente l’amore fino a donargli quel boccone che rappresentava se stesso, ma Giuda lo ha rifiutato. Quando l’amore si manifesta in maniera incondizionata, lì si manifesta la gloria di Dio. E Gesù dice che “il figlio dell’uomo è glorificato”: qual è il significato de «il Figlio dell’uomo»?
    Gesù è Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo; Figlio di Dio, cioè Dio che manifesta la sua condizione pienamente umana; Figlio dell’Uomo, cioè Gesù che manifesta l’uomo nella condizione divina: quando l’uomo è capace di arrivare ad amare in maniera incondizionata, in lui si manifesta la condizione divina.
    E continua Gesù: “«Se Dio è stato glorificato in lui anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito»”. Gesù sta anticipando quello che accadrà poi nel momento della passione dove, man mano che le tenebre s’addenseranno su Gesù, brillerà più che mai, fino a diventare insostenibile, la luce del suo amore. Quindi Gesù sarà la luce che splende nelle tenebre.
    Poi, in questo momento drammatico, Gesù si rivolge con una tenerezza infinita – è l’unica volta che appare questo termine nel Vangelo di Giovanni – ai discepoli chiamandoli “figliolini”, letteralmente “bambini”. “«Figliolini, ancora per poco sarò con voi»” –  tra poco Gesù sarà arrestato – “«Voi mi cercherete, ma come ho detto ai giudei ora lo dico anche a voi, dove vado io voi non potete venire»”.
    Perché i discepoli non possono andare dove Gesù va? (Gesù va verso la morte): perché i discepoli non hanno ancora lo Spirito, che Gesù effonderà su di loro al momento della croce e al momento della prima apparizione da risorto. I discepoli sono disposti a dare la vita per Gesù, a morire per Gesù, ma non a morire con lui e, soprattutto, come lui.
    Gesù in questo momento delicato, lascia l’unico comandamento della sua comunità: “«Vi do un comandamento nuovo»”. L’evangelista non dice che Gesù lascia un nuovo comandamento, cioè ci sono già quelli della legge di Mosè e Gesù aggiunge il suo, ma un comandamento che è nuovo. Il termine greco indica un comandamento migliore, che sostituisce tutto il resto.
    È quello che l’evangelista aveva già anticipato nel Prologo, quando aveva detto “la legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù”. Allora Gesù dà un comandamento e, se lo chiama comandamento – perché non è un comandamento – è per contrapporlo a quelli di Mosè, perché Gesù comanda l’unica cosa che non può essere comandata ad un uomo. Cosa non si può comandare a un uomo? Puoi comandare di obbedire, di servire, ma non di amare.
    Ed ecco il comandamento: “«Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi»”, Gesù non dice “come io amerò voi”, non intende il dono totale e supremo che poi manifesterà tra poco sulla croce, ma dice “come io vi ho amato”. E come ha amato Gesù? Qui il contesto dell’ultima cena, quando Gesù, portando al massimo la sua capacità d’amore, si è fatto dono per i suoi e si è messo a lavare loro i piedi.
    Quindi è un amore che si esprime nel servizio; quindi non “come io vi amerò”, ma “come io vi ho amato”, cioè un amore che diventa visibile attraverso il servizio. “«Così anche voi amatevi gli uni gli altri»”
    L’unico comandamento della comunità cristiana è un amore che si manifesta visibilmente nel servizio. Questo è l’unico distintivo dei credenti in Gesù, “«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli»”; essere discepoli di Gesù non si vede da distintivi, da abiti, da ornamenti, o da chissà che, l’unico distintivo che indica che si è discepoli di Gesù è l’amore che si trasforma in servizio per gli altri. Infatti, dice Gesù: “«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri»”.
    In questo comandamento Dio, che si manifesta in Gesù, non assorbe le energie dei suoi, ma comunica le sue a loro, dice “come io vi ho amato”, è Gesù che comunica questo amore. Il Dio di Gesù non assorbe gli uomini, ma chiede di essere accolto per fondersi con loro e donare loro la sua stessa capacità d’amore, dilatando al massimo la loro generosità, il loro dono, il loro servizio e il loro altruismo.

sabato 11 maggio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 12 maggio 2019.

Levico Terme (TN). 
Gesù in questo capitolo si è dichiarato come il pastore, il modello di pastore.

E il modello di pastore qual è?

Colui che dà la vita per il gregge, ecco perché nessuno potrà strappare questo gregge dalle sue mai: lui è il pastore che dà la vita per gli altri.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 27-30)

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Il commento. 

L’ultima volta che Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme, i capi religiosi tentano di lapidarlo come bestemmiatore. Vediamo il brano, anzitutto lo inseriamo nel contesto.
È la festa della dedicazione, in ebraico Hanukkah, ed è la festa delle luci. Per otto giorni si accendevano dei candelabri che illuminavano tutta la città e ricordava la riconsacrazione del tempio ad opera di Giuda Maccabeo nel 165 a.C. In questa festa, i capi circondano Gesù e gli chiedono: “fino a quando ci terrai nell’incertezza, sei tu il Cristo?” Vogliono sapere se Gesù è il Messia, ma non per accoglierlo, per eliminarlo. E Gesù tronca bruscamente questo colloquio e dice loro che non fanno parte delle sue pecore. Perché? E qui ecco il brano che la liturgia ci presenta questa domenica.
“Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce»”. I capi non sono pecore di Gesù perché non ascoltano la voce di Gesù e non ascoltano la voce di Dio. Già Gesù aveva detto loro: “voi non avete mai ascoltato la sua voce”. È grave la denuncia che Gesù sta facendo: i capi religiosi, le persone incaricate di far conoscere al popolo la volontà di Dio sono quelli che, quando Dio parla, non ascoltano la sua voce.
Ma Gesù dice: “«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco»” – conoscere significa un rapporto di grande confidenza, di grande intimità – “«ed esse mi seguono»”. Dove lo seguono? Nell’amore che si fa servizio, perché hanno ascoltato nella voce di Gesù la risposta a quel desiderio di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro.
A quanti seguono Gesù, Gesù dona loro la sua stessa vita, infatti dice: “«Io do loro la vita eterna»”. La vita si chiama ‘eterna’, non tanto per la durata infinita, ma per la qualità indistruttibile. La morte, assicura Gesù, non interrompe la vita. Non solo non la interrompe, ma le permette di fiorire in una forma nuova, completa e definitiva.
E Gesù non dice che darà loro la vita eterna; la vita eterna non è un premio futuro, ma una realtà possibile da sperimentare nel presente. “«E non andranno perdute mai»”. Gesù assicura questo perché “«nessuno le strapperà dalla mia mano»”. Gesù in questo capitolo si è dichiarato come il pastore, il modello di pastore. E il modello di pastore qual è? Colui che dà la vita per il gregge, ecco perché nessuno potrà strappare questo gregge dalle sue mai: lui è il pastore che dà la vita per gli altri. E continua Gesù: “«Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre»”.
Prima Gesù ha detto che nessuno le strapperà dalla sua mano, ora dice che nessuno le strapperà dalla mano del Padre. La mano del Padre, la mano di Dio e quella di Gesù sono identiche, sono la mano di coloro che danno la vita per il proprio gregge. Ma allora Gesù sta avvertendo i capi che non tentino di riprendere il gregge perché Dio è il pastore e non permetterà che il suo gregge, le sue pecore tanto amate, per le quali il pastore dà la vita, siano riprese dai falsi pastori e dai mercenari.
E poi Gesù bestemmia. Siamo nel tempio di Gerusalemme, nel luogo più santo e Gesù bestemmia: “«Io e il Padre siamo uno»”. Gesù non afferma, come vedo nella traduzione, “siamo una sola cosa”, Gesù non sta parlando della unione, dell’unità con Dio, ma Gesù sta affermando che lui, come il Padre, è Dio; “Uno” era il nome di Dio; nel libro del profeta Zaccaria, cap. 14 vers. 9, si legge “Uno sarà il suo nome”, quindi Gesù è Uno, è Dio, perché?
Perché in lui si manifesta la stessa azione creativa del Padre con la quale si comunica vita al popolo. Quindi Gesù nel tempio di Gerusalemme bestemmia, conferma, rivendica la sua condizione divina. Poi nel resto del brano, che però non è qui nella sezione liturgica, dirà che i capi, le autorità religiose, decideranno di lapidare Gesù.
Quando i capi religiosi si trovano di fronte a Dio non tollerano la sua presenza e perché decideranno di ammazzare Gesù? “Perché tu che sei uomo ti fai Dio”. Quella che è la volontà di Dio per tutta l’umanità, che l’uomo diventi suo figlio, per i capi dell’istituzione religiosa è una bestemmia che merita la morte.

sabato 4 maggio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 5 maggio 2019.

Duomo di Amalfi (SA). 
Anche questa volta il contesto è quello dell’eucaristia. L’evangelista presenta sette discepoli (il numero sette indica la totalità), quindi come se Gesù si presentasse a tutta la sua comunità. Si manifesta a discepoli che hanno pescato tutta la notte e non hanno preso nulla. Gesù l’aveva detto: “viene la notte quando nessuno può più operare” e aveva detto anche “senza di me non potete far nulla”.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 21, 1-14)

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

Il commento.

    L’ultima volta che Gesù si manifesta ai dcsuoi discepoli è sul mare di Tiberiade. È la terza volta questa, nel vangelo di Giovanni, che l’evangelista colloca l’azione di Gesù su questo lago. Perché? Le due volte precedenti era stato in relazione all’episodio dei pani e dei pesci, immagine che raffigurava l’eucaristia.
    Anche questa volta il contesto è quello dell’eucaristia. L’evangelista presenta sette discepoli (il numero sette indica la totalità), quindi come se Gesù si presentasse a tutta la sua comunità. Si manifesta a discepoli che hanno pescato tutta la notte e non hanno preso nulla. Gesù l’aveva detto: “viene la notte quando nessuno può più operare” e aveva detto anche “senza di me non potete far nulla”. Gesù, non riconosciuto, li invita di nuovo ad andare a pesca e questa volta la pesca è abbondante. Mentre rientrano a riva, trovano Gesù, e adesso sì che lo riconoscono perché Gesù si mostra con l’unico distintivo che rende riconoscibile sia lui che i suoi discepoli, cioè il servizio. Ha preparato loro pane e pesce.
    L’evangelista usa le stesse espressioni che, negli altri vangeli, vengono usate per l’eucaristia: Gesù prende il pane e lo dà ai discepoli; quindi questa è un’immagine dell’eucaristia, alimento che ristora, ristora i discepoli per la fatica che hanno fatto, e comunica una nuova forza.
    La seconda parte di questo brano è invece la resa dei conti – se così possiamo chiamarla – tra Gesù e Pietro. “Quando ebbero mangiato”, si tratta quindi non soltanto di un pranzo, ma qui l’evangelista raffigura l’eucaristia. Ed ecco l’effetto dell’eucaristia, Gesù si rivolge a Simon Pietro e gli chiede: “«Simone, figlio di Giovanni»” – figlio significa il discepolo perché anche Pietro era discepolo di Giovanni Battista – “«mi ami tu più di costoro?»”
    Pietro vuole essere il leader del gruppo e allora Gesù gli chiede: quali titoli hai, quali credenziali hai per essere leader? Tu mi ami più di tutti gli altri? E Pietro gli risponde “«Sì Signore»”, ma non risponde alla domanda di Gesù. Come verbo “amare” l’evangelista ha adoperato il verbo agapao, che significa “amore incondizionato”, amore gratuito, e Pietro non può rispondere affermativamente e dice: “«Sì, Signore, tu lo sai …»” e l’evangelista per la risposta di Pietro adopera il verbo “fileo” che significa “voler bene”, l’amicizia.
    Gesù accetta quello che il discepolo gli può dare e gli dice: “«Pascola…»” – cioè porta l’alimento, procura l’erba, fai mangiare – “«… i miei agnelli»”. Nel gregge gli agnelli sono sempre la parte più debole. Ma Gesù torna alla carica. “Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?»” Questa volta Gesù evita la comparazione. Prima aveva chiesto “mi ami tu più di costoro”, adesso chiede semplicemente se lo ama.
    Cosa risponde Pietro? “«Sì, Signore»”, ma non può rispondere che lo ama, “«Tu sai che ti voglio bene»”. Ebbene, Gesù gli dice “«Pastura»”, cioè governa, proteggi, questo è il significato del verbo, “«le mie pecore»”. Prima gli agnelli e poi le pecore.
    Gesù gli disse la terza volta – e il numero tre manda in fibrillazione il povero Pietro, perché gli ricorda il canto del gallo ed il suo tradimento – “«Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?»”. Per due volte Gesù gli ha chiesto se lo ama, e per due volte Pietro gli ha risposto “ti voglio bene”. Adesso Gesù per la terza volta gli chiede “mi vuoi bene?”, e Pietro – è la prima volta nel brano qui che appare soltanto col soprannome che indica la sua caparbietà, ostinazione e ricorda quello che lo ha portato al tradimento – “rimase addolorato”.
    Finalmente! Quel dolore che non c’era stato al momento del tradimento di Gesù, adesso appare appunto perché la terza volta gli ricorda il tradimento. “E dice: «Signore, tu conosci tutto»”. Quel discepolo che presumeva di conoscersi più di Gesù e meglio di Gesù quando aveva detto “questa notte tutti mi abbandonerete” e Pietro aveva replicato “anche se tutti ti abbandonassero io no”.
    Quindi, finalmente, sa che Gesù lo conosce. «Tu conosci tutto e sai che ti voglio bene». Gli risponde Gesù: «Pascola le mie pecore», prende il verbo dalla prima risposta e le pecore dall’ultima risposta, per inglobare tutto il gregge, quindi dimostrare di voler bene a Gesù si traduce nel procurare vita, dare la vita al gregge e si dà la vita al gregge soltanto donando la propria.
    Ecco perché Gesù, a conclusione di questo, dice: “«In verità, in verità io ti dico»”, quindi è un’espressione molto importante, “«quando eri giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vuoi»”.
    Gesù sta alludendo chiaramente alla crocifissione. Quando il condannato deve stendere le mani sul patibolo che lo porterà poi sul luogo dell’esecuzione, è legato, cinto, e verrà portato dove lui non vuole, ma questa morte, assicura Gesù, non sarà una sconfitta, come la sua. Conclude il brano: “Questo disse per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio”.
    Perciò, quando l’amore si manifesta attraverso il dono della vita non è mai una sconfitta, ma la glorificazione di Dio, e finalmente, per la prima volta, adesso che sa cosa significa seguire Gesù, che non significa andare incontro alla gloria, al successo, Gesù gli dice: “«Segui me»”, “seguimi”. Quello che Gesù non gli aveva detto al primo incontro, adesso finalmente glielo dice.