sabato 30 marzo 2019

Il Vangelo con commento di domenica 31 marzo 2019.

Chiesa del Santissimo Redentore - Levico Terme (TN).
Perché il padre festeggia il ritorno del figliol prodigo?

L’obbedienza alla legge sostenuta dagli scribi e praticata dai farisei, rende le persone puerili, immature e incapaci.

Il fratello maggiore rappresenta colui che obbedisce a Dio osservando la sua legge, e si aspetta un premio per i suoi meriti.

Non ha capito la novità portata da Gesù: il credente non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Il commento. 

Gesù annunzia il suo messaggio, espone il suo programma, e l’evangelista Luca nel capitolo 15 scrive che Si avvicinavano a lui tutti – quindi la globalità – i pubblicani. Quindi i pubblicani sono considerate le persone più lontane da Dio, le escluse, impure per eccellenza, quelle per le quali non c’è alcuna speranza, anche se un domani si pentissero e si convertissero.
Quindi si avvicinano a Gesù le persone disprezzate, le più lontane dalla religione e da Dio. E i peccatori per ascoltarlo. Perché? Perché trovano nel messaggio di Gesù quella risposta al bisogno di pienezza di vita che ciascuno si porta dentro.
Ebbene, mentre gli esclusi dalla religione, i disprezzati dalla società si avvicinano per ascoltare Gesù, c’è chi invece protesta. Scrive l’evangelista I farisei, cioè i super-pii, i devoti, gli zelanti custodi della tradizione, e gli scribi, i teologi ufficiali del magistero, mormoravano. Quindi mentre i lontani da Dio ascoltano la parola di Gesù perché vedono nel suo messaggio quello che loro attendono, questo stesso messaggio provoca la mormorazione da parte dell’élite spirituale e religiosa. Mormoravano dicendo … ed è tanto il disprezzo che manifestano verso Gesù che evitano di nominarlo, usano un termine dispregiativo, costui, questo. “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ecco il grande crimine compiuto da Gesù. Anziché giudicare, castigare, condannare e tenersi lontano dai peccatori, non soltanto li accoglie, ma mangia con loro. Mangiare indica comunione di vita.
Quindi sono scandalizzati dall’atteggiamento di Gesù. Il loro Dio è completamento dal Dio presentato da Gesù. Quello che farisei e scribi non hanno mai capito è che Dio, anziché preoccuparsi di essere obbedito e rispettato nelle sue leggi, è preoccupato per la felicità degli uomini. Ed è a scribi e farisei che Gesù rivolge questa parabola. Quindi non è tanto un insegnamento per la comunità dei discepoli di Gesù, quanto per i suoi avversari.
Ed è un insieme di tre parabole, quella della pecora perduta e della moneta smarrita, ma la più conosciuta, la più importante e significativa, è quella del figliol prodigo.
La parabola è abbastanza lunga e normalmente nella spiegazione ci si centra su questo figlio che ritorna alla casa del padre e ottiene il perdono da parte di Dio prima ancora di doverlo richiedere, e il padre lo ricostituisce in una dignità, in una onorificenza mai conosciuta prima. Rischia di passare in secondo ordine invece il fratello maggiore che rappresenta quegli scribi e farisei ai quali è diretta la parabola.
Pertanto questa volta sorvoliamo sulla prima parte, quella del ritorno del figlio, e arriviamo invece alla reazione del figlio maggiore, quindi dal versetto 35. L’evangelista adopera il termine greco presbitero, l’anziano, perché i presbiteri erano, insieme ai sommi sacerdoti e agli scribi, componenti del sinedrio e avevano la potestà di giudicare.
Quindi appunto il riferimento è a questi scribi e farisei, ai quali viene rivolta questa parabola. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze. Cosa poteva essere successo? La casa è una casa di lutto perché il padre piangeva come morto il figlio che era andato via. Se all’improvviso in questa casa, ricolmata di tristezza e di lutto, si sente risuonare musica e danze, cosa può essere successo, se non che è tornato il figlio?
Ma lui si insospettisce. Il ritratto ironico e severo di Gesù delle persone religiose, per le quali ogni forma di vita, di gioia e di allegria non solo non le attrae, ma le insospettisce. La musica nella casa del padre, non sia mai! Si blocca, Chiamò uno dei servi e gli domandò cosa fosse tutto questo. Avrebbe potuto capirlo da solo. Quello gli rispose, con entusiasmo: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”.
Quindi gli dice il motivo della gioia. Ebbene il fratello maggiore, non solo non si rallegra né si precipita a casa, ma Egli si indignò, letteralmente si arrabbiò, si adirò profondamente e non voleva entrare. Il ritorno del fratello, la gioia del padre, a lui sono estranei. Adesso vedremo che lui ragiona in base al diritto, alla giustizia; gli sembra un’ingiustizia quella che sta accadendo, tanto che il padre deve uscire a supplicarlo.
Ma egli rispose a suo padre – e qui c’è il severo ritratto delle persone religiose da parte di Gesù – “Ecco, io ti servo da tanti anni”. Il verbo servire non è quello che conosciamo anche nella lingua italiana diakono, che significa un servizio fatto volontariamente, ma l’evangelista utilizza un altro termine che indica il servizio dello schiavo, quindi lui si comporta come uno schiavo nei confronti del padre.
Non ho mai disobbedito a un tuo comando, l’evangelista adopera lo stesso termine dei comandamenti, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici.” Ebbene attraverso questi tre elementi Gesù ridicolizza l’atteggiamento infantile di questi religiosi. L’obbedienza alla legge sostenuta dagli scribi e praticata dai farisei, rende le persone puerili, immature e incapaci. Lui nei confronti del padre – e qui è l’atteggiamento di scribi e farisei nei confronti di Dio – ha un atteggiamento di sottomissione, di servizio. Non è un figlio nei confronti del padre, ma uno schiavo nei confronti di un signore.
E la relazione con il padre la basa sulla obbedienza dei suoi comandi e si aspetta una ricompensa. E’ colui che obbedisce a Dio osservando la sua legge, e si aspetta un premio per i suoi meriti. Non ha capito la novità portata da Gesù: il credente non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo.
Quindi Gesù ridicolizza l’atteggiamento di questi scribi e farisei che rimangono infantili. “Non mi hai dato neanche un capretto”. Ma era tutta roba tua, la potevi usare! “Ma ora che è tornato questo tuo figlio”. E’ terribile questo fratello maggiore. Anziché dire “è tornato mio fratello”, dice “tuo figlio”, prende le distanze. La religiosità esasperata fa sì che si vedano sempre le persone con astio, con livore, capaci di annullare anche i vincoli di sangue. La trave dello zelo deforma la vista e fa dimenticare l’unica cosa necessaria, che è l’amore.
“Ora che è ritornato questo tuo figlio, che ha divorato le tue sostanze con le prostitute”, come fa a saperlo? E’ la malizia delle persone religiose. “Per lui hai ammazzato il vitello grasso”. E la risposta del padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”, ma fintanto che si vive una relazione con il padre – e secondo il senso della parabola quindi con Dio – fatta di obbedienza, non si può sperimentare l’amore del Padre. Coloro il cui atteggiamento verso Dio è basato sull’obbedienza i suoi comandi e quindi vedono la trasgressione a questi comandi come una minaccia di castighi, non possono mai sperimentare l’amore gratuito del Padre. Il Dio di Gesù è un Dio che non ama gli uomini per i loro meriti, ma per i loro bisogni. Il suo amore non è concesso alle persone come un premio per la buona condotta, ma come un regalo per i loro bisogni.
Questi non lo capiscono. Allora il padre dice: “bisognava far festa e rallegrarsi, perché ….”, e gli ricorda la fratellanza, “tuo fratello era morto ed è tornato in vita”. Ecco questo è il motivo della gioia, ma scribi e farisei, abituati a giudicare tutto secondo il metro della legge e del diritto, non comprenderanno la carità, l’amore e la compassione del Padre.

sabato 23 marzo 2019

Il Vangelo con commento di domenica 24 marzo 2019.


Chiesa del Santissimo Nome di Maria al Foro Traiano. 

Gesù sta tentando di liberare il popolo dall’influsso delle autorità religiose e gli arriva questa minaccia, un avvertimento di chiaro stampo mafioso: “Attento Galileo che qui da noi i Galilei fanno una gran brutta fine”.
Ma Gesù non si intimorisce e dice “No, attenti! Siete voi che se non cambiate vita fate una brutta fine”.

Il Vangelo con commento nel seguito. 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13, 1-9)

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Il commento. 

Ogniqualvolta Gesù tenta di liberare le persone subito appaiono coloro che sono contro questo processo di liberazione. E’ quanto emerge nel capitolo 13 di Luca - è un episodio che ha soltanto questo evangelista – i primi 9 versetti.
Scrive l’evangelista: “In quello stesso tempo”. Quale tempo? Gesù aveva detto alla folla: “Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” Gesù cerca di emancipare il popolo dall’influsso e dalla dottrina degli scribi, dei farisei. Sono le autorità religiose che determinano quello che la gente deve credere e come deve credere, cosa deve praticare.
Allora Gesù invita le persone a crescere, ad essere persone mature, che ragionano con la propria testa e camminano con le proprie gambe. Questo è inammissibile per il potere religioso che deve sempre sottomettere le persone, trattandole come in maniera infantile. Ed ecco la reazione.
Si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei. Dire “Galileo”, al tempo di Gesù, non indicava soltanto la provenienza da una determinata regione. Galileo significa “rivoluzionario” e indicava gli zeloti, i terroristi dell’epoca. Ricordiamo la grande rivolta di Giuda il Galileo che c’è scritta negli Atti degli Apostoli. Quindi Riferirgli il fatto di quei Galilei – Gesù è galileo - il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere (letteralmente mescolato) insieme a quello dei loro sacrifici.
Quindi Gesù sta tentando di liberare il popolo dall’influsso delle autorità religiose e gli arriva questa minaccia, un avvertimento di chiaro stampo mafioso: “Attento Galileo che qui da noi i Galilei fanno una gran brutta fine”. Ebbene Gesù non solo non si lascia intimorire, ma passa all’attacco, reagendo. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?”
Gesù smentisce il nesso che vede il castigo come un’azione da parte di Dio per punire i peccati degli uomini. “No, io vi dico, ma se non vi convertite…”, cioè se non cambiate vita. La conversione nel vangelo indica mettere il bene dell’altro come principale valore della propria esistenza, “…perirete tutti allo stesso modo.”
Quindi Gesù dice “No, attenti! Siete voi che se non cambiate vita fate una brutta fine”. Ma non solo. Ora Gesù continua. Se prima ha fatto un esempio generale, indicando i Galilei, ora si trova a Gerusalemme e parla proprio di quella città, di Gerusalemme.
“O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe…”, Siloe è un quartiere di Gerusalemme, ancora oggi si vede il basamento di questa torre che crollò, “… e le uccise, credete che fossero più colpevoli (letteralmente più debitori) di tutti gli abitanti di Gerusalemme?” Ecco se prima l’esempio era stato per i galilei, ora Gesù lo porta proprio lì dove parla di Gerusalemme.
“No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Gesù riafferma nuovamente quanto detto prima. Quindi Gesù esclude in maniera tassativa il castigo divino e li invita di nuovo alla conversione. E poi Gesù allarga la tematica e qui è un po’ una risposta a Giovanni che era l’ultimo erede di questa tradizione che vedeva Dio come colui che puniva i peccatori. Ricordiamo che Giovanni Battista aveva detto: “Ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e buttato nel fuoco”.
Ecco Gesù allarga il discorso e prosegue. Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna”. Il fico e la vigna nell’antico testamento sono immagini di Israele, del popolo di Israele. E venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Ecco abbiamo visto Giovanni Battista diceva che se non porta frutti si taglia e si butta nel fuoco. Gesù non è d’accordo. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni”, a rappresentare un tempo completo, “che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”.
Ma quello gli rispose … e questa è l’azione di Gesù che è contrario a un’azione che distrugge, a un’azione che punisce. Gesù non è venuto a distruggere, ma a portare vita, a vivificare. Ma quello gli rispose: “Padrone (il termine esatto è “signore”, si vede che è un rapporto con Dio), lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.”
L’azione di Gesù di fronte ai peccatori, di fronte alle persone sterili, di fronte a coloro che non portano frutto, non è un’azione punitiva, ma vivificante, offre ancora nuove possibilità di portare frutto, di portare vita, e non solo offre questa possibilità, ma collabora perché questo si realizzi.
E poi Gesù continua: “Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Il Dio di Gesù, quello che Luca ci presenta, è il Dio per il quale nulla è impossibile. Come aveva scritto al momento dell’annunciazione: questo è il sesto mese per lei, parlando di Elisabetta, la parente di Maria, che tutti dicevano sterile. Ecco così anche un albero che sembra sterile, per l’azione di Dio e per la collaborazione dell’uomo, può portare frutto.
L’insegnamento di Luca e molto chiaro, molto preciso. A quanti vedono una relazione tra il peccato e il castigo Gesù annunzia in maniera chiara, tassativa e definitiva che l’azione di Dio con i peccatori non è punitiva, distruttiva, ma vivificante.

sabato 16 marzo 2019

Il Vangelo con commento di domenica 17 marzo 2019.

Santa Maria in Trastevere. 
Pietro e i suoi compagni non sono d’accordo con la novità: bisogna ascoltare Gesù; Mosè e Elìa sono soltanto in riferimento a Gesù, ma non sono più degli assoluti che guidano la vita dei credenti...

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9, 28-36)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Il commento. 

    Nel Vangelo di domenica scorsa, la prima domenica di Quaresima, avevamo affermato che le tentazioni di Gesù nel deserto, da parte del diavolo, non sono un limitato periodo della sua esistenza, ma tutta la vita di Gesù è stata sotto il segno di tentazioni, di seduzioni, sia da parte di scribi, farisei, del popolo, ma sia anche da parte dei componenti della sua comunità, il gruppo dei discepoli. È quello che l’evangelista ci afferma con l’episodio che oggi vediamo, il capitolo 9 di Luca, al versetto 28.
    “Circa otto giorni dopo”, la datazione è precisa. C’è stato il primo annunzio della passione di Gesù e l’evangelista subito mette quali sono gli effetti di questa passione, della morte di Gesù e della sua risurrezione. Il numero otto indica il giorno della risurrezione. Gesù è risuscitato il primo giorno della settimana. E quindi la cifra otto indica la vita che non viene interrotta dalla morte. “Dopo questi discorsi”, appunto in riferimento all’annunzio della passione, “Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo”, i tre discepoli più difficili, quelli che tendono ad essere leader del gruppo. “E salì su il monte”, non è un monte qualunque, è un monte determinato, con l’articolo determinativo, un monte conosciuto.
    Cos’è questo monte? È il monte della sfera divina. Quindi Gesù presenta loro la sua condizione divina. “A pregare”, è tipico di Luca che i momenti importanti o delicati della vita di Gesù siano cadenzati da questo stare in preghiera. Ebbene, “mentre pregava, il volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”, sfolgorante come i due uomini che annunzieranno alle donne la risurrezione, che diranno alle donne “perché cercate tra i morti colui che è vivente?”
    Quindi Gesù mostra qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte. Questa non lo diminuisce, ma lo potenzia. “Ed ecco” – l’evangelista ci richiama una sorpresa – “due uomini”, esattamente come i due annunziatori della risurrezione, “conversavano con lui”.
    Non conversano né con Pietro, né con Giacomo, né con Giovanni. E chi sono? Sono Mosè, il grande legislatore, ed Elìa, il grande profeta, quelli che noi chiamiamo l’Antico Testamento, diviso nelle parti della legge e dei profeti. “Apparsi nella gloria e parlavano del suo esodo” – Luca è l’evangelista che pone l’itinerario di Gesù come un esodo – “che stava per compiersi a Gerusalemme”.
    La denuncia che fa l’evangelista è drammatica: Gerusalemme, la città santa, ora è diventata luogo di prigionia, esattamente come l’Egitto, e come Mosè ha dovuto portare via il popolo ebraico dalla schiavitù egiziana, così Gesù deve portare via il popolo di Israele, dalla schiavitù della casta sacerdotale e religiosa che a Gerusalemme deteneva il suo potere.
    “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno”, questo significa che non ascoltano, che non seguono e che comunque non sono solidali con Gesù. La stessa scena la ritroveremo al momento della passione, quando Gesù, sul Monte degli Ulivi, si metterà a pregare e anche allora i discepoli saranno oppressi dal sonno; significa incomprensione di quello che Gesù sta dicendo.
    “Ma quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui”, ecco il momento è drammatico, Mosè ed Elìa, quelli che danno sicurezza al gruppo, la legge e i profeti, “si separavano da lui”, ecco Pietro, che svolge il ruolo del satana, del tentatore, viene presentato soltanto col suo soprannome negativo, e che tenta di impedire questa separazione.
    “Pietro disse a Gesù: «Capo»”, non ‘Maestro’, come qui viene tradotto il termine greco “Epistata”, che significa “capo, padrone”; per indicare “Maestro” gli evangelisti usano “Didaskalos”, quindi “capo”; questo fa capire che idea di  sottomissione aveva rispetto a Gesù. “«È bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne»”. Perché capanne? C’era una festa in Israele, talmente importante che non aveva bisogno di essere nominata, era chiamata semplicemente ‘’la festa’’.
    Qual era questa festa? La festa delle capanne ricordava la liberazione dalla schiavitù egiziana e per una settimana si viveva sotto delle capanne. La tradizione diceva che, come nell’antica liberazione si viveva sotto le capanne, vivendo sotto le capanne e in quel periodo in quella festa, si manifesterà il messia liberatore. Quindi Pietro invita Gesù ad essere il messia atteso, secondo la tradizione. Ecco perché fare tre capanne.
    Ma attenzione all’ordine, “«una per te, una per Mosè, e una per Elìa»”. Quando ci sono tre personaggi il più importante sta sempre al centro, ebbene al centro, per Pietro, non c’è Gesù, ma Mosè che dà la sicurezza della legge, e Gesù è in disparte, come Elìa. Al centro c’è la legge, poi ci sono i profeti e poi c’è Gesù.
    Quello che Pietro sta dicendo è: “Ecco il messia che io voglio. Un messia che guidi il popolo all’osservanza della legge, e con lo zelo profetico e violento di Elìa”. E l’evangelista commenta: “E non sapeva quello che diceva”.
    “Mentre parlava così, venne una nube” – il simbolo dell’azione divina – “coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura” – paura della manifestazione divina – “e dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il figlio mio»”, ‘figlio’ non significa soltanto colui che è nato, ma colui che assomiglia, “«l’eletto»”; e poi il verbo è all’imperativo “«lui ascoltate!»”, non dovete ascoltare né Mosè, né Elìa, è lui che dovete ascoltare.
    “Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero”: questo tacere è negativo. Tacciono come gli avversari di Gesù; più avanti al capitolo 20 troveremo l’evangelista che scrive: “Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero”.
    Il tacere significa non essere d’accordo con quanto sta avvenendo. “E in quei giorni non riferirono”, l’evangelista usa il verbo ‘annunziare’, erano chiamati ad annunziare questa realtà capace di superare la morte, ma loro tacciono, “non riferirono a nessuno ciò che avevano visto”.
    Non sono d’accordo con questa nuova realtà, che è Gesù che è da ascoltare. Mosè e Elìa sono soltanto in riferimento a Gesù, ma non sono più degli assoluti che guidano la vita dei credenti.

sabato 9 marzo 2019

Il Vangelo con commento di domenica 10 marzo 2019.

Basilica di Santa Maria in Trastevere. 
Le tentazioni non sono un episodio isolato della vita di Gesù, ma tutta l’esistenza di Gesù è stata sotto il segno della tentazione, della seduzione, di prendere il potere e la ricchezza per affermare il Regno di Dio.
    Il potere, la ricchezza, la gloria sono del diavolo, e il diavolo è disposto a darli perfino a Gesù, perché?
    Fintanto che ci sarà potere ci sarà ingiustizia e non potrà realizzarsi il Regno di Dio. Quindi il diavolo sta tentando, sta seducendo Gesù con la presa del potere che è il vero peccato di idolatria: usare il potere per affermare il Regno di Dio.
    Il Regno di Dio non si afferma con il potere, ma con l’amore.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4, 1-13)

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Il commento.

    Per la prima domenica di Quaresima, la chiesa ci offre, per la liturgia, il brano conosciuto come le tentazioni di Gesù. Il brano è dal vangelo di Luca, capitolo 4, 1-13.
    Per comprendere bene quello che l’evangelista ci vuole presentare dovremmo abbandonare il termine “tentazione”, perché per “tentazione” si intende qualcosa che incita al male, al peccato; invece, qui, nulla di tutto questo. Il diavolo, lo vedremo, non si presenta come un avversario che tenta Gesù al male, al peccato, ma come un suo collaboratore, un fidato collaboratore, che gli consiglia – e si mette a sua disposizione – tutti i mezzi per affermarsi come messia.
    Vediamo il testo. “Gesù, pieno di Spirito Santo” – è dopo il battesimo e ha ricevuto lo Spirito, cioè la forza, la capacità d’amore di Dio – “si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto”. Perché nel deserto? Luca pone tutta la sua opera sotto la direttiva dell’esodo di Gesù. C’era stato un antico esodo, quello in cui gli ebrei erano stati liberati da Mosè dalla schiavitù egiziana per entrare nella terra promessa. Ora la terra promessa è diventata terra di schiavitù dalla quale Gesù deve uscire, portando dietro di sé la gente per liberarla.
    “Per quaranta giorni”, i numeri nella Scrittura hanno sempre valore figurato, mai matematico, aritmetico. Il numero quaranta indica ‘una generazione’. Quello che l’evangelista ci vuole presentare, come del resto gli altri evangelisti, non è un periodo di tempo limitato nella vita di Gesù in cui Gesù ha vinto, in questa gara contro il diavolo e poi dopo è tutto a posto. No, l’evangelista ci dice che tutta la vita di Gesù è stata sotto l’insegna di queste tentazioni, o meglio di queste seduzioni.
    Quindi, tutta la vita di Gesù, è rappresentata da questo numero ‘quaranta’.
    “Tentato dal diavolo”, chi è il diavolo? Se Dio è amore che si mette a servizio, il diavolo è immagine del potere che toglie. “Non mangiò nulla”, qui non si tratta di digiuno; l’evangelista evita il termine digiuno per non far pensare che Gesù abbia praticato il digiuno religioso, ma dice che “non mangiò nulla in quei giorni”.
    “Ma quando furono terminati, ebbe fame”, ma non è una fame fisica. La fame di Gesù è qualcosa di più. Gesù dirà più avanti, al momento della sua passione, “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché non la mangerò più finché essa non si compia nel Regno di Dio”.
    Quindi la fame di Gesù, l’uomo pieno di Spirito Santo, è di manifestare questo Spirito attraverso il dono totale di sé, la pienezza della sua missione. Ecco allora che sopraggiunge il diavolo che, ripeto, non viene come un avversario, ma come un collaboratore, anzi, un fidato collaboratore.
    “Allora il diavolo gli disse «Se tu sei il Figlio di Dio»”, attenzione, il diavolo non mette in dubbio la figliolanza di Dio, anzi, ma dice “giacché sei il Figlio di Dio”, questo è il significato, cioè “sei il Figlio di Dio, usa le tue capacità a tuo vantaggio”, “«di’ a questa pietra che diventi pane»”. C’è qui un’eco di quello che più volte verrà ripetuto a Gesù durante la sua esistenza, per questo dicevamo che non sono un periodo limitato di tempo, ma è tutta la vita di Gesù, all’insegna di queste tentazioni.
    Quando Gesù a Nazareth predica in una sinagoga, la gente gli dirà “medico cura te stesso”, o più ancora, quando, appeso già alla croce i capi gli diranno “ha salvato gli altri, salvi se stesso se è il Cristo di Dio”. Ecco la stessa tentazione: giacché sei il Figlio di Dio usa le tue capacità per te. “Giacché è il Cristo di Dio, l’unto di Dio, usi le sue forze per salvarsi”.
    Quindi la prima tentazione è usare a proprio vantaggio le sue capacità. E Gesù risponde con un brano preso dal Libro del Deuteronomio: “«Non di solo pane vivrà l’uomo»”, quindi c’è qualcosa di più importante.
    La seconda seduzione, “il diavolo lo condusse in alto”: ’in alto’ è un’espressione che indica la sfera divina, quindi gli offre la condizione divina, “e gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria perché a me è stata data e io la do a chi voglio»”. La denuncia dell’evangelista è drammatica, non è Dio, ma è il diavolo colui che conferisce il potere e la ricchezza. Potere e gloria sono del diavolo e lui le dà a chi vuole.
    C’è un’unica condizione: “«Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo»”. Il potere, la ricchezza, la gloria sono del diavolo, e il diavolo è disposto a darli perfino a Gesù, perché? Fintanto che ci sarà potere ci sarà ingiustizia e non potrà realizzarsi il Regno di Dio. Quindi il diavolo sta tentando, sta seducendo Gesù con la presa del potere che è il vero peccato di idolatria: usare il potere per affermare il Regno di Dio. Il Regno di Dio non si afferma con il potere, ma con l’amore.
    Gesù gli risponde, sempre prendendo una frase dal Libro del Deuteronomio: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”», cioè l’incompatibilità tra Dio e il potere, tra l’amore che si fa servizio e il dominio. Incompatibilità assoluta.
    L’ultima carta che ha il diavolo è quella di portarlo nella città santa, a Gerusalemme, e lo mette addirittura sul punto più alto del tempio e, mentre con questa nuova seduzione ripete “Giacché, se sei il Figlio di Dio”, abbiamo notato che in quella di mezzo non gliel’ha proposta. La tentazione del potere e della ricchezza non è importante rivolgerla a uno perché è Figlio di Dio, perché è una tentazione alla quale – e il diavolo lo sa – ogni uomo (religioso o no) soccombe.
    Alla tentazione della ricchezza e del potere pochi riescono a resistere. E qui invece di nuovo dice: «Giacché sei il Figlio di Dio, gettati giù»”, cioè fa’ un segno spettacolare, straordinario, delle tue capacità, così il popolo ti crederà. E qui il diavolo sembra un esperto dottore della legge, infatti cita il Salmo 91, due versetti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».
    Quindi qui l’evangelista fa comprendere che, sotto la figura di questo diavolo, si nascondono in realtà i dottori della legge che tenteranno Gesù. E Gesù mette fine alla disputa. “Gli rispose: È stato detto: «Non metterai alla prova» – cioè esattamente ‘non tenterai’ – «il Signore Dio tuo»”.
    E, di nuovo citando il Libro del Deuteronomio, Gesù afferma la piena fiducia nel Padre. “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato”. Qual è questo momento fissato? Nel Vangelo c’è un punto ben preciso, al capitolo 10, versetto 25, quando sarà proprio un dottore della legge colui che tenterà Gesù.
    Il verbo “tentare” riapparirà di nuovo; quindi queste tentazioni non sono un episodio isolato della vita di Gesù, ma tutta l’esistenza di Gesù è stata sotto il segno della tentazione, della seduzione, di prendere il potere e la ricchezza per affermare il Regno di Dio. Ma Gesù ha rifiutato assolutamente.

sabato 2 marzo 2019

Il Vangelo con commento di domenica 3 marzo 2019.

Il Duomo di Milano. 
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?

La pretesa di essere guida, maestro dell’altro può portare a correggere quelle che Gesù dice sono delle minuzie e il fatto che tu pretendi di correggere l’altro è perché c’hai una trave conficcata nel tuo... 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,39-45 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

Il commento. 

Continua l’insegnamento di Gesù ai suoi discepoli e, dopo averli invitati ad essere figli dell’Altissimo, cioè ad essere benevoli verso gli ingrati e i malvagi, a non escludere nessuno dal raggio d’azione di questo amore e provare sentimenti addirittura materni nei confronti degli altri, ora Gesù mette in guardia i suoi discepoli da quei rischi sempre presenti in ogni comunità, ed erano i rischi della spiritualità farisaica, quello della pretesa dei discepoli di mettersi a fare la guida e il maestro degli altri. No, nella comunità di Gesù c’è una sola guida e un solo maestro: il Cristo.
Allora Gesù nel suo insegnamento dice ai discepoli Può forse un cieco guidare un altro cieco? Ecco, già la sola pretesa di essere la guida dell’altro rende cieca la persona. Il credente non è chiamato a fare da guida, l’unica guida è il Cristo, ma il credente è compagno, compagno di viaggio che sostiene l’altro, lo incoraggia, ma non la guida. E dice Gesù Se un cieco guida un altro ceco cadono tutte e due nella fossa incorrendo in quella che era la maledizione biblica del libro del Deuteronomio “maledetto chi fa smarrire il cammino al cieco”
E poi Gesù di nuovo mette in guardia, ma ora poi riprenderà il discorso della cecità, un discepolo non è più del maestro, ma ognuno che sia ben preparato sarà come il suo maestro. Gesù invita il discepolo a crescere, a diventare indipendente, a essere realizzato nella persona e non avere più bisogno di un maestro perché è lo Spirito che ti guida. Dio, il Padre di Gesù, non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando interiormente il suo Spirito che lo rende libero e indipendente.
Ma Gesù torna di nuovo sul tema della cecità e spiega qual è, Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? La pretesa di essere guida, maestro dell’altro può portare a correggere quelle che Gesù dice sono delle minuzie e il fatto che tu pretendi di correggere l’altro è perché c’hai una trave conficcata nel tuo. Allora Gesù continua in maniera ironica Come puoi dire a tuo fratello lascia che ti tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Come si fa a non vedere una trave che è nell’occhio? È la trave che è nell’occhio che fa vedere la pagliuzza negli occhi dei fratelli, ma non vedere la trave nell’occhio significa una presunzione, un senso di superiorità; è quella che Gesù definisce una ipocrisia.
E Gesù invita, ma apparentemente perché poi scoraggia, togli prima la trave nel tuo occhio e allora ci vedrei bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. È quella che nella spiritualità si chiama la correzione fraterna, ma quando uno è riuscito a togliersi la trave che ha conficcato nell’occhio gli passa la voglia di andare a cercare le pagliuzze negli occhi dei fratelli. E poi Gesù dà un criterio per l’autenticità del discepolo, quali sono? Sono i frutti. Quando questi frutti sono di vita, arricchiscono la vita, comunicano vita vengono da Dio. Gesù fa l’esempio comprensibile a tutti Non vi è albero buono, letteralmente bello, continua Luca con questa immagine del bello, che produca un frutto cattivo, è ovvio, né vi è d’altronde un albero cattivo che produca un frutto buono, bello. Quindi il criterio dell’autenticità non è la dottrina, l’ortodossia, ma il frutto che si produce. Se uno stile di vita, se un messaggio produce vita, arricchisce la vita degli altri viene senz’altro da Dio perché Dio è l’autore della vita.
E conclude Gesù l’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore, il cuore in quella cultura è la mente, è la coscienza, trae fuori il bene. Cosa significa questo? Chi si alimenta di bene inevitabilmente produce il bene per gli altri. Ecco perché è importante alimentarsi soltanto di quello che Luca parla del bello, del buono perché quello che in noi diventa fonte di alimento poi è quello che produce alimento per gli altri. E, la liturgia non ce l’ha, ma c’è il versetto 46 che è importante, perché mi chiamate Signore Signore e poi non fate quel che vi dico? Ecco quello che chiama Signore Signore, cioè perfetta dottrina, perfetta ortodossia, ma poi non fa quello che dice Gesù per Gesù è una persona inutile. E allora questo è quello che l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro tira fuori il male. Quindi è un invito da parte di Gesù di mettersi sempre a fianco del bello, alimentarsi del bello per essere persone belle che trasmettono il buono agli altri.