sabato 30 giugno 2018

Il Vangelo con commento di domenica 1 luglio 2018.

Chiesa di San Gaetano - Capoliveri (LI). 
Dio non si concede come un premio per la buona condotta, ma come un regalo. Il premio dipende da chi lo riceve, il regalo dalla generosità del donatore. E quindi nessuno si può sentire escluso dal Signore.

E’ iniziata una nuova epoca dove non più l’uomo deve offrire a Dio, ma deve accogliere un Dio che si offre a lui perché la sua vita sia piena e felice.

Nel seguito il Vangelo e la predica completa.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 5, 21-43)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare

Il commento.

Nella narrazione della risurrezione della figlia del capo della sinagoga e della guarigione della donna affetta da flusso di sangue, l’evangelista intende rappresentare la situazione del popolo di Israele. Il popolo, che è sottomesso alla legge, è morto e il popolo che è escluso dalla legge vive una situazione di impurità, rappresentato dalla donna con il flusso di sangue.
Ciò che unisce i due episodi è:
-      la cifra ‘dodici’, indicata come anni di malattia per la donna e come età per la figlia del capo della sinagoga. Il numero ‘dodici’, lo sappiamo, è il numero che rappresenta le dodici tribù di Israele, quindi indica tutto il popolo di Israele.
-      E l’altro termine è il termine ‘figlia’, adoperato da Gesù per la donna che viene guarita, e per indicare la figlia del capo della sinagoga.
In entrambe le situazioni si guarisce, si recupera la vita attraverso una trasgressione.  Gesù tocca, prende la mano della bambina, del cadavere – ed era proibito nel Libro del Levitico toccare un cadavere – e la bimba ritorna in vita, mentre nel brano, che adesso vediamo di comprendere e di esaminare, è la stessa donna che compie questa trasgressione.
Scrive l’evangelista che questa “donna”, anonima – significa che è un personaggio rappresentativo nel quale ogni lettore si può immedesimare – “aveva perdite di sangue”. Il sangue è la vita, e perdere sangue significa perdere la vita. Una donna in queste condizioni, secondo il Libro del Levitico, è una donna in perenne condizione di impurità. Se non è sposata non trova nessuno che la sposa, se è sposata non può avere rapporto con il marito, quindi è destinata alla sterilità, anzi il marito la può addirittura ripudiare. Quindi una donna che non ha nessuna speranza; è impura, non può entrare nel tempio, non può celebrare la Pasqua, è equiparata a un lebbroso.
Allora, per la donna non ci sono speranze; se continua ad osservare la legge va incontro alla morte, ma lei, che ha sentito senz’altro la parola di Gesù, il messaggio di Gesù, il Gesù che ha purificato il lebbroso, il Gesù che non guarda i meriti delle persone, ma i loro bisogni, ci prova. Ci prova di nascosto perché una donna che, nelle sue condizioni, pubblicamente e volontariamente, toccava un uomo, veniva messa a morte, perché lo rendeva impuro.
Ebbene, sentendo parlare di Gesù, ha sentito appunto questo amore dal quale nessuno si sente escluso, un Dio che guarda le necessità delle persone. “Da dietro gli toccò il mantello” e quindi la donna, secondo il Libro del Levitico, secondo la Parola di Dio, compie una trasgressione, compie un sacrilegio.
Gesù avverte, avverte che una “forza era uscita da lui”, una forza di vita e chiede “chi mi ha toccato le vesti?”  Il comportamento dei discepoli è quello di considerare Gesù quasi uno scriteriato, dice “tu vedi la folla che ti si stringe attorno e ti chiedi ‘chi ti ha toccato’?”.
Cosa vuole dire l’evangelista? I discepoli sono accanto a  Gesù, ma non gli sono vicini, loro lo accompagnano, ma non lo seguono. Non basta stare accanto a Gesù per percepirne e riceverne la forza della vita.
Ma Gesù guarda “per vedere colei che aveva fatto questo”. E la donna impaurita e tremante … Impaurita perché? Ha compiuto una trasgressione per cui merita la pena di morte e quindi magari si attende il rimprovero, il castigo dal Signore.
“Gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità”. Ecco, quello che, agli occhi della religione, è considerato un sacrilegio, agli occhi di Gesù invece … “Gesù le disse ‘Figlia’ “ – è lo stesso termine  adoperato per la figlia del capo della sinagoga che indica quindi il popolo di Israele – “ ‘La tua fede ti ha salvata!’ “
La tua fede? La donna ha trasgredito un precetto religioso; ebbene, quello che, agli occhi della religione è una trasgressione e un sacrilegio, per Gesù è un gesto di fede. Dio non si concede come un premio per la buona condotta, ma come un regalo. Il premio dipende da chi lo riceve, il regalo dalla generosità del donatore. E quindi nessuno si può sentire escluso dal Signore.
E non solo. Gesù non la manda al tempio a offrire i due piccioni come era previsto dalla legge, ma dice “Va’ in pace”, va’ verso la felicità.
E’ iniziata una nuova epoca dove non più l’uomo deve offrire a Dio, ma deve accogliere un Dio che si offre a lui perché la sua vita sia piena e felice.

domenica 24 giugno 2018

Girovagando in Alta Valsugana.

Partenza da Levico verso Caldonazzo, poi direzione giro dei Castagni con salita ai Campregheri, quindi a Vattaro attraverso la strada forestale Val dei Oveni.

Giunti alla chiesa di Vattaro si scende a sx verso località Mandola.
Una volta oltrepassato il torrente Mandola si prende uno sterrato a destra per risalire a Bosentino.

Giunti al ristorante Begher si prende una stradina secondaria che scende ripida a Calceranica passando per la panoramica chiesa di Santa Maria Assunta.

Ritorno a Levico in ciclabile.

Con la e-bike in meno di un'ora e mezza: consumo della batteria minimo, programma utilizzato "tour" e frequenza cardiaca in zona "brucia grassi"...

sabato 23 giugno 2018

Il Vangelo con commento di domenica 24 giugno 2018.

Chiesa di Santa Maria Assunta - Calceranica al lago (TN) 
L’esistenza del credente, di tutti coloro che hanno lo Spirito, è quella di essere profeti.
Che cosa significa essere profeti? Significa essere in sintonia con la presenza di Dio nell’umanità e formularla in maniera inedita, in maniera nuova.

Il Vangelo e il commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1, 57-66.80)

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.


Il commento al Vangelo. 

“Per Elisabetta si compì intanto il tempo del parto e diede alla luce un figlio” ‐ quindi la promessa dell’angelo si realizza ‐ “i vicini ed i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lui la sua misericordia e si rallegravano con lei. All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre Zaccaria”.
Quindi continua la tradizione: il figlio primogenito porta il nome del padre. E’ una maniera e si usava anche in Italia fino a qualche decennio fa, specialmente nel meridione, che il primogenito portasse il nome del padre perché questa era una maniera per perpetuare la propria discendenza.
Io sto andando verso la fine, ma il mio nome e quindi anche il mio sangue continua nel mio figlio e non finirà, perché poi mio figlio, al suo figlio primogenito metterà il mio e il suo nome e cosi via, e una catena, una maniera tradizionale per perpetuare il proprio nome.
Quindi i vicini ed i parenti che non sono al corrente dello sconvolgimento che è accaduto in questa famiglia e soprattutto non hanno percepito la benedizione che l’arca, Maria, ha portato in questa famiglia, decidono di chiamarlo secondo la tradizione, secondo l’uso normale, col nome del padre, Zaccaria.
Sua madre però interviene. L’intervento di Elisabetta è abbastanza perentorio, violento: “no, si chiamerà Giovanni”. E’ strano che una donna potesse prendere la parola e la reazione è quella tipica degli ambienti religiosi e le dicono “non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome!” Sapete, nel mondo, negli ambienti religiosi vige l’imperativo: si è sempre fatto cosi! Ogni novità viene vista con sospetto e come attentato alle proprie sicurezze.
Le persone religiose scambiano per fede il proprio desiderio di sicurezza; allora se provate a proporre qualcosa di nuovo, una maniera nuova di esprimersi nella preghiera, una modalità nuova di vivere la propria fede, in un ambiente religioso sentirete la risposta: e perché? Si è sempre fatto cosi! Sono stati fatti tanti santi nel passato! Ogni novità viene vista con sospetto ed è esattamente la reazione dei vicini e dei parenti: e perché? Si è sempre fatto cosi! Ogni figlio ha portato il nome del padre: cos’è questa novità?
“Allora domandarono con cenno a suo padre”: prima abbiamo visto che Zaccaria era muto e adesso veniamo a capire che è anche sordo, perché gli devono chiedere con dei cenni “come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome»”.
Ecco finalmente il cuore dei padri si è rivolto verso i figli: Zaccaria, il sacerdote del tempio, lontano dall’ambiente nefasto del tempio, i luoghi religiosi sono refrattari ed impermeabili all’azione dello Spirito, non si può pensare di trovare il Signore in un luogo religioso.
Ebbene, Zaccaria, lontano dal luogo refrattario allo Spirito, il tempio, lontano dalle sue funzioni sacerdotali, ma in casa, dove non è più sacerdote, ma finalmente è padre, cambia la sua mentalità ed accetta quanto detto dalla moglie: Giovanni è il suo nome.
“Tutti furono sconcertati”: c’è qualcosa che non quadra o come diciamo noi, qui non c’è più religione! Cos’è questa novità? Ma che cosa succede? Zaccaria, sacerdote, l’uomo della tradizione è d’accordo con Elisabetta? Perché questo figlio non si deve chiamare come il padre?
“In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua e parlava benedicendo Dio”: è il cambiamento di Zaccaria: da sacerdote diventa profeta. “Tutti i vicini furono presi da timore e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di queste cose”.
L’Evangelista sta preparando la nascita di Gesù e già c’è un movimento, c’è qualcosa di incomprensibile. Il nuovo che Gesù porterà con pienezza, con prepotenza, si fa strada: anche il sacerdote diventa profeta, una cosa fino a quel momento impossibile per i sacerdoti, diventare profeti!
“Coloro che le udivano le serbavano in cuor loro: «che sarà mai questo bambino?» dicevano e davvero la mano del Signore stava con lui”.
Cosa sarà di questo bambino? L’uomo che è stato riempito di Spirito Santo già nel seno della madre non seguirà le orme paterne, non si chiamerà Zaccaria come il padre e non sarà sacerdote come il padre. Anziché sacerdote nel tempio andrà nel deserto dove sarà portavoce della parola di Dio. Il cap. 1 termina cosi (v. 80): “il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito e visse in regioni deserte fino al momento della sua manifestazione ad Israele”. In questo capitolo l’Evangelista ha privilegiato la conversione di Zaccaria: nel momento in cui si apre al nuovo permette allo Spirito di entrare nella sua esistenza e diventa profeta. L’esistenza del credente, di tutti coloro che hanno lo Spirito, è quella di essere profeti. Che cosa significa essere profeti? Significa essere in sintonia con la presenza di Dio nell’umanità e formularla in maniera, come abbiamo già avuto modo di dire più volte, in maniera inedita, in maniera nuova.

sabato 16 giugno 2018

Il Vangelo con commento di domenica 17 giugno 2018.

Panoramica su Levico Terme. 
Gesù è contrario a tutte le guide spirituali, a questa tendenza di farsi guidare da qualcuno, o a delegare a qualcuno il proprio movimento, il proprio modo di comportarsi.
E chi fa il lavoro come Gesù chiede, deve soltanto diffondere il messaggio, ma una volta che il messaggio è stato accolto, basta! Non dobbiamo più intervenire nella vita dell' altro.

Il Vangelo e il commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 4, 26-34)

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Il commento.

Gesù << diceva: <Così è il Regno di Dio: come un uomo che getta il seme sulla terra, e dorme o si alzi, di giorno o di notte, il seme germoglia e si sviluppa senza che egli sappia come.> >> (Mc 4,26-27) Gesù sta spiegando alla folla il regno (sono le parabole del Regno): il regno di Dio che non guarda all' aldilà, come una volta si pensava. Ma il Regno di Dio è questa società nuova che Gesù inaugura con la Sua persona, con il Suo messaggio: una realtà pienamente umana che ovviamente supererà la storia. Non sarà neanche limitata alla stessa, possiamo dire, dimensione terrena.
Ebbene Gesù parla del regno e la cosa curiosa, come abbiamo sentito nella prima parabola, è che, per parlare del regno, Gesù non adopera mai immagini prese dal sacro, dal culto della religione, bensì immagini che sono state prese dal mondo quotidiano. Dal mondo anche dei contadini, per una cultura contadina, com' era quella della Galilea: Gesù adopera questa immagine. Allora è curioso che, per parlare di cose importanti, Gesù  non adoperi mai gli schemi della religione, un linguaggio religioso, o immagini appunto prese dal mondo del sacro, del culto. Gesù sta presentando, adesso con questa parabola, l'aspetto individuale del regno: il Regno composto da uomini e donne che vogliono accogliere la proposta di Gesù. Allora accogliere questa proposta comporterà una trasformazione ed una crescita progressiva e continua della persona. E Gesù presenta questa crescita e trasformazione, attraverso la parabola di un uomo che getta il seme sulla terra e che, questo seme, fa la cosa più normale quando si semina. Cioè che trovata una terra che può accogliere questo seme, comincia a germogliare e nessuno si domanda il perché: è così che avviene.
Allora la semina (questo fatto abituale, tipico del mondo contadino della Galilea), il soggetto che la realizza in questo caso, si dice che è un uomo qualunque, e la qualità che viene esercitata non è tanto quella del seminare (non si dice "un uomo che semina"), ma "un uomo che getta il seme", come per dire che costui semina a spaglio: che getta e lancia questo seme in modo abbondante. Per la prima volta si parla di seme nel Vangelo di Marco, identificandolo anche, come già nel capitolo IV, con la parola, il messaggio di Gesù come quando ha spiegato la parabola dei quattro terreni, dicendo: la parola è il seme (Mc 4,14). Però adesso si parla di questo seme e la differenza (il fatto che un uomo getta il seme) di questa parola è che non è esclusiva di Gesù, ma toccherà anche ai discepoli, ai suoi seguaci, di fare questa diffusione della buona notizia, del Suo messaggio. E quando si getta sulla terra, allora il messaggio e' destinato a tutti, non è una terra particolare, ma tutta l'umanità potrà usufruire di questa proposta.
Per cui dice Marco, finisce il particolarismo di Israele, il Regno di Dio non si identifica con un popolo, una nazione in particolare, ma come una proposta di pienezza di vita che non conosce frontiere, che si rivolge a tutti. E l'attività di questo uomo è quella soltanto (interessante!) di "gettare il seme", e poi la vita di quest'uomo continua: <<...che dorma o si alzi>>  dice <<il seme farà il suo lavoro.>>  Per cui l' uomo non si deve preoccupare di altro, non deve intervenire, non deve andare lì ad indagare, cercando di scavare la terra per vedere se sta crescendo.
Quindi Gesù sta dicendo che la parola si identifica con la vita stessa dell' uomo: l'uomo è questa terra che accoglie la parola. Se questo viene fatto, subito la parola fa germinare, fa crescere la vita che è in quest'uomo. Quindi l'uomo ha garantita la sua crescita, la sua maturazione, quando noi accogliamo il messaggio di Gesù. Quando noi ci identifichiamo con questo messaggio, allora non si possono più separare queste due cose: l' uomo e la parola diventano una sola cosa (come questo seme che si intreccia con la terra e diventa una sola cosa con la terra stessa), e permette all'uomo (questo è importante!) di sviluppare le sue potenzialità. Il processo di crescita sfugge, dicevamo prima, alla conoscenza: "senza che l' uomo sappia come", è una cosa naturale. Succede così, ma nessuno si interroga come sta crescendo, già questa cosa è data per scontata. Allora è importante che nella comunità si sappia che così agisce la parola, nella vita di chi la accoglie: non ci vuole nessuno che stia ad importunare, a controllare, che stia a dirigere la vita di questa persona. Gesù è contrario a tutte le guide spirituali, a questa tendenza di farsi guidare da qualcuno, o a delegare a qualcuno il proprio movimento, il proprio modo di comportarsi. E chi fa il lavoro come Gesù chiede, deve soltanto diffondere il messaggio, ma una volta che il messaggio è stato accolto, basta! Non dobbiamo più intervenire nella vita dell' altro.
Per cui non ci vuole nessuno che guidi, che controlli, che diriga, ma ci vuole soltanto che questo seme trovi accoglienza nella vita di ogni persona, di fare proprio questo messaggio. Per cui è un processo di crescita nel quale nessuno può permettersi di intervenire.
Perché ogni intervento produce solo danno: se un contadino andasse a grattare sulla terra per vedere se il seme sta crescendo, sicuramente rovinerebbe la pianta stessa. Continua la parabola dicendo: <<automaticamente la terra porta frutto, prima poi lo stelo, poi la spiga, poi il grano pieno...>> (v28). Quindi la terra libera da ostacoli, accoglie bene la parola, garantisce che il seme possa dare le sue potenzialità. Quindi il seme agisce anche da catalizzatore delle potenzialità umane.
Vuol dire che quando noi accogliamo le parole di Gesù, il Suo messaggio, la nostra vita incomincia a svilupparsi in una maniera tale, che a noi ci sembra ancora difficile da capire, con un processo progressivo.
Qui si parla dello stelo, della spiga e poi del grano pieno. Questo comporta la piena maturazione della persona, non ci sono eccezioni quando uno accoglie la parola di Gesù: se questa terra lo rende capace di germinare, di crescere, la sua maturazione è garantita. E' uno sviluppo appunto graduale, ciascuno richiede il suo tempo: l‘assimilazione del messaggio non è cosa di un giorno come non lo è la trasformazione dell'uomo. Anche questo comporta un invito alla pazienza, dobbiamo aspettare che ogni persona, che accoglie il messaggio di Gesù, faccia il suo processo di crescita, senza imporre un ritmo determinato, senza violentare questo processo.
<<Quando poi>> continua Gesù <<il frutto si consegna, subito invia la falce perché è giunta la mietitura.>> (v29). Ecco, qui Gesù sta parlando di questa maturazione dell'uomo, della persona che ha saputo fare suo il messaggio. Questa storia della falce, della mietitura, non bisogna intenderla come un giudizio, come un momento di verifica, se non che la persona finalmente è pronta per essere come quel seme che si è trasformato in grano, e che poi si può trasformare in pane.
Cioè la persona è pronta già per dare vita, è pronta per lavorare per il regno, come Gesù chiede, dando vita agli altri, orientando tutte le proprie forze, le proprie energie, perché questa vita si possa diffondere e possa anche raggiungere altre persone. La mietitura in quella cultura contadina, era sempre un momento di grande festa, quindi noi non associamo la mietitura al giudizio, quanto al momento che già possiamo dire idoneo, opportuno, perché la persona possa date se stessa a favore di questo regno, di questa società nuova che Gesù inaugura.

sabato 9 giugno 2018

Il Vangelo con il commento di domenica 10 giugno 2018.

Santuario della Madonna dell'Angelo - Caorle (Ve) 
La volontà di Dio non è riferita a un popolo eletto che deve dominare sulle altre nazioni, ma la volontà di Dio è che l’amore di Dio è universale e non c’è neanche una sola creatura al mondo che, per la sua condotta, il suo comportamento, possa sentirsene esclusa. 

Il Vangelo e il commento nel seguito.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 3,20-35.
In quel tempo, Gesù entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo.
Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «E' fuori di sé».
Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni».
Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana?
Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi;
se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi.
Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire.
Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa.
In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno;
ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna».
Poiché dicevano: «E' posseduto da uno spirito immondo».
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare.
Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano».
Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?».
Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli!
Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».

Il commento.

Nel capitolo 3 di Marco si legge una narrazione che sconcerta, sconvolge e scandalizza.
Il clan familiare di Gesù – madre compresa – pensa che Gesù è andato fuori di testa e lo va a catturare. E c’è la rottura di Gesù con la sua famiglia.
Gesù è l’espressione visibile di un Dio invisibile; ebbene, questo Gesù che non trova problemi o resistenze quando si dirige ai peccatori, quando si dirige ai miscredenti, quando ha relazioni con le persone al di fuori della legge, da subito, ha dei gravissimi problemi con i massimi rappresentanti dell’istituzione religiosa.
La prima volta che i massimi rappresentanti dell’istituzione religiosa, che nel Vangelo vengono chiamati scribi – gli scribi sono i teologi ufficiali del magistero – si incontrano con Gesù, non è che capiscono di trovarsi davanti la manifestazione di Dio, non è che dalle parole di Gesù capiscono che Gesù è veramente la parola di Dio, quando Gesù parla, loro sentenziano: “Bestemmia!”
Quindi il primo incontro, o meglio il primo scontro, tra l’istituzione religiosa e Dio, è che per l’istituzione religiosa Gesù, che manifesta Dio, è un bestemmiatore. Accusare Gesù di bestemmiare non è un semplice rimprovero, ma significa che è meritevole della morte. Allora l’evangelista ci fa capire subito che tra Dio e l’istituzione religiosa c’è assoluta incompatibilità. L’uno esige la distruzione dell’altro: o Dio o l’istituzione religiosa! Insieme non possono sopravvivere.
L’istituzione religiosa e Dio non si possono tollerare. L’uno esige la scomparsa dell’altro. Ebbene, quando Gesù parla le massime autorità sentenziano “E‟ un bestemmiatore!”
E Gesù non fa nulla per evitare queste accuse. Scrive l’evangelista, cap. 3, v. 20 - “Gesù entrò in una casa e si radunò di nuovo la folla così che non potevano neppure mangiare il pane”.
C’è una risposta positiva. La gente era stanca dell’oppressione dell’istituzione religiosa, e quindi sente in Gesù un’alternativa e accorre a Gesù. “Allora i suoi” – questo termine indica tutto il clan familiare – “udito questo uscirono per andare a catturarlo”.
Quindi il clan familiare uscì per andare a catturarlo “perché dicevano «E‟ fuori di sé»” , è andato completamente fuori di testa. Gesù non ha una buona fama, ma per i familiari che lo conoscono e sanno che non può essere né un bestemmiatore, né un indemoniato, è semplicemente andato fuori di testa. Perché uno che pretende di essere inviato da Dio e tutto quello che Dio comanda non lo fa, e tutto quello che Dio proibisce invece lo fa, questo è un matto!
Quindi pensano che Gesù è andato fuori di testa. “
Ecco, con Gesù è finita la religione ed è cominciata quella che gli evangelisti chiamano “fede”. Quindi il mistero del Regno di Dio è l’amore universale. Un amore che va esteso anche ai pagani.
Questo era inaccettabile per il popolo. Allora, a quelli che stanno fuori, “che non accettano e non comprendono quest'amore universale”, le cose vanno dette in parabole. Quindi la madre e i fratelli sono quelli che stanno fuori.
 Arriva il clan familiare, è andato per catturarlo, ma trova un imprevisto: è circondato dalla folla. Una folla che è impura, perché è fatta di persone che non osservano la Legge. Allora, loro che sono delle persone per bene, non vogliono mescolarsi con questa gente e stanno al di fuori.
“E gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle. Stanno fuori» - ritorna di nuovo il termine „fuori‟  - «e ti cercano»”
Gesù dirà: “Chi è mia madre?” .
Sono tremende le parole di Gesù. “Chi sono i miei fratelli?” Come a dire: Chi è mia madre, quelli là fuori? Quelli che sono venuti a catturare il pazzo di casa? Ed ecco le parole tremende di Gesù per l’evangelista – è solo Marco che conserva l’episodio con questa sua crudezza – “Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno …” Quindi non vede la madre e non vede i fratelli e le sorelle, disse “Ecco mia madre, ed ecco i miei fratelli. Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”.
Chi compie la volontà di Dio. Quindi la madre, i fratelli e le sorelle, il clan familiare, non compiono la volontà di Dio. La volontà di Dio non è riferita a un popolo eletto che deve dominare sulle altre nazioni, ma la volontà di Dio è che l’amore di Dio è universale e non c’è neanche una sola creatura al mondo che, per la sua condotta, il suo comportamento, possa sentirsene esclusa.
Bene, questo è l’episodio, nella sua crudezza, che è riportato soltanto da Marco. 

giovedì 7 giugno 2018

Concerto di fine anno scolastico della scuola secondaria di primo grado di Levico Terme.


Grande partecipazione e successo per il concerto di mercoledì  5 giugno.

Alcuni brani ci hanno fatto sognare per un attimo riportandoci ai mitici anni 80...

Il brano dei Pink Floyd "Another brick in the wall" (1979) è stato accompagnato da una coreografia originale, dinamica e in tema:


Il brano invita a rompere i muri che in nome di regole ferree limitano la nostra capacità espressiva.

Ma possiamo estrapolare il messaggio anche pensando ad altri muri: dieci anni dopo l'uscita della canzone è letteralmente crollato il muro di Berlino, mattone dopo mattone...

Un invito a non essere dei semplici mattoni inglobati in tristi muri, ma ad andare oltre...

sabato 2 giugno 2018

La predica di domenica 3 giugno 2018.

Santuario Basilica Madonna della Corona - Spiazzi di  Ferrara di Monte Baldo Verona. 
Dio non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d’amore, il suo stesso spirito, la sua stessa forza d’amore.
Quindi non più un codice, una legge, ma un uomo – Gesù – che ci comunica la sua vita.

Il Vangelo e la predica completa nel seguito.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 14, 12-16.22-26)

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

La predica. 

Marco struttura il racconto della cena del Signore su quanto si legge nel Libro dell’Esodo al termine dell’alleanza. Nel capitolo 24 si legge che Mosè prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo, poi prese il sangue e ne asperse il popolo e disse “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole”.
E’ da tener presente questo parametro per comprendere quello che ci scrive l’evangelista.
Scrive Marco: “Mentre mangiavano prese” – non è scritto ‘il pane’, che avrebbe indicato un pane particolare rispetto al pane azzimo che si mangiava durante la cena pasquale; l’evangelista evita accuratamente qualunque riferimento alla cena pasquale. Gesù non ripete un rito antico, ma sta facendo qualcosa di completamente nuovo. Quindi Marco evita qualunque assomiglianza con la cena pasquale.
Quindi “prese un pane, benedì, lo spezzò, lo diede loro dicendo: «prendete, questo è il mio corpo»”.
Ecco già la prima differenza con l’antica alleanza. Nell’antica alleanza Mosè ha presentato un libro, un libro che conteneva la legge, la volontà di Dio; ebbene, con Gesù inizia un’epoca nuova nel rapportarsi con Dio.
Il credente, con Gesù, non è più, come nell’antica alleanza, colui che obbediva alle leggi del suo Signore, ma colui che accoglie l’amore del suo Signore.
Mentre il libro della legge è un codice esterno all’uomo che l’uomo deve impegnarsi a osservare e molti non ci riescono, o non vogliono, la nuova alleanza non è basata su un agente – un libro – un qualcosa di esterno all’uomo, ma sulla effusione interiore della stessa vita divina.
Dio non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d’amore, il suo stesso spirito, la sua stessa forza d’amore. Quindi non più un codice, una legge, ma un uomo – Gesù – che ci comunica la sua vita.
Poi Gesù ”prese il calice”; e qui, mentre prima per il pane ha adoperato il verbo ‘benedire’  – un termine conosciuto nel mondo ebraico –, per il calice usa il verbo , ‘ringraziare’, da cui deriva poi la parola Eucaristia.
Perché questi due verbi differenti e non ha usato per esempio lo stesso ‘benedire’ entrambe le volte?
L’evangelista si rifà alle due moltiplicazioni dei pani.
Nella prima, in terra ebraica, Gesù benedì il pane (Mc 6,41); nella seconda, in terra pagana, Gesù rese grazie (Mc 8,6).
Allora nell’Eucaristia l’evangelista vuole radunare questi due elementi. Non è soltanto per il popolo d’Israele, ma è per tutta l’umanità.
Quindi Gesù “rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti”. Mentre l’evangelista non ha detto che il pane è stato mangiato, soltanto per il calice dice che bevvero tutti.
Non basta accogliere Gesù come modello di comportamento, ma bisogna anche bere al calice – il calice è simbolo di morte, di donazione. Allora soltanto nell’accettazione di un impegno di vita che va fino alla morte, c’è la completezza della Eucaristia.
Ebbene, questo sangue non è il sangue dei tori, spruzzato esternamente sulle persone, ma, dice Gesù, “questo è il mio sangue dell’alleanza”. Tutti gli evangelisti indicano l’azione di Gesù come colui che battezza in Spirito Santo, però, stranamente, nessun evangelista ci dice ‘dove’, ‘quando’ e ‘come’ Gesù battezzi in Spirito Santo.
Ecco, ecco il momento in cui la comunità, il credente, riceve questa effusione nello Spirito Santo, il battesimo nello Spirito Santo. Non è un sangue, come dei tori, che viene asperso esternamente all’uomo, ma una comunicazione interiore della stessa vita divina. E’ questo che dona all’uomo la capacità d’amore.
E questo sangue, dice Gesù, “è versato per molti”.
Nella cena pasquale si leggeva un salmo, il salmo 79 in cui il salmista dice che “l’ira di Dio veniva versata sui pagani”.
Ebbene, per Gesù è cambiato il rapporto con Dio, non viene più versata l’ira di Dio, ma il suo sangue, un amore che accoglie tutti quanti. Questa è la novità proposta da Gesù. Quindi non più l’osservanza di norme esterne, ma Dio governa l’uomo comunicandogli la sua stessa capacità d’amore.