sabato 30 novembre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 1 dicembre 2019.

Chiesa del Santissimo Redentore - Levico Terme (TN). 
"Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà."

Perché le azioni della normalità, della routine quotidiana, rischiano di non far accorgere della straordinarietà di quello che sta accadendo.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal vangelo secondo Matteo (Matteo 24, 37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo».

Il commento. 
Per cercare di comprendere il brano del vangelo che la liturgia ci presenta in questa prima domenica di Avvento, dobbiamo inserirlo nel contesto, quindi andare indietro di qualche versetto. Allora iniziamo dal versetto 33 del capitolo 24 del vangelo di Matteo.
Scrive l’evangelista: “Così anche voi”, dice Gesù, “quando vedrete tutte queste cose sappiate che egli è vicino alle porte”
Gesù ha annunziato la distruzione di Gerusalemme e, con la distruzione del tempio di Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa giudaica, inizia il tempo in cui il Regno di Dio cessa di essere appannaggio esclusivo del popolo di Israele, ma viene esteso a tutta l’umanità. Quindi Gesù non vede come una sventura, ma come l’eliminazione di quello che era un impedimento per il disegno di Dio sopra tutti i popoli.
Dio non può essere accaparrato da qualcuno, da una nazione, da una religione. L’amore di Dio è universale, quindi la fine del Regno di Israele, per Gesù, coincide con l’inizio del Regno di Dio. E Gesù aveva assicurato: “In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada”, infatti la generazione alla quale Gesù si rivolge assisterà nell’anno 70 all’invasione da parte dei romani e la distruzione del tempio di Gerusalemme. E Gesù assicura: “Il cielo e la terra”, un modo per dire tutto quanto, “passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Allora Gesù garantisce che quello che aveva detto alla fine del discorso della montagna, assicurando che affinché non passassero il cielo e la terra, non passera dalla legge neppure uno iota, un segno, senza che tutto sia compiuto, e indicava che le promesse riguardanti il Regno di Dio si sarebbero sicuramente compiute.
E, a questo punto, Gesù afferma: “Quanto a quel giorno e a quell’ora”, e qui sta parlando della fine individuale, non dell’ora di Gerusalemme, “nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
Per ogni generazione che passa c’è una fine del tempo, ma questo lo sa soltanto il Padre. E qui Gesù inserisce l’esempio dei tempi di Noè, non per un rimprovero ai contemporanei di Gesù, quando dice: “Come furono i giorni di Noè così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito …”, Gesù non sta rimproverando di questi atteggiamenti, ma vuole dire che, tutti presi dalla ordinarietà della vita, non si sono accorti di quello che stava per accadere.
Quindi le azioni della normalità, della routine quotidiana, rischiano di non far accorgere della straordinarietà di quello che sta accadendo. Allora dice Gesù: “Due uomini saranno nel campo: uno sarà …”, il verbo usato qui significa “accogliere”, come quando l’angelo dice a Giuseppe di non temere di accogliere Maria come sua sposa. Quindi uno “sarà accolto”, per dargli salvezza, “e l’altro lasciato”, e così anche le donne.
Cosa vuol dire Gesù? L’arca costruita da Noè non ha accolto tutti, ma solo chi si è accorto del disastro incombente. Ugualmente il Regno di Dio è una proposta di salvezza per tutti, ma non è di tutti perché entrare nel Regno è frutto di una libera scelta a favore della beatitudine della povertà. Gesù aveva detto in questo vangelo: “Beati i poveri per lo Spirito perché di questi è il Regno dei Cieli”.
Quanti la scelgono vengono accolti, e quanti non la scelgono invece vengono lasciati. E Gesù continua dicendo: “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. Questo invito alla vigilanza verrà poi ripetuto tra poco nel momento drammatico del Getsemani. La venuta del Signore viene quindi associata alla vigilanza e indica che questo è il momento della persecuzione, dell’uccisione dei suoi.
Per questo Gesù alle Beatitudini, alla prima beatitudine, quella che permette al realizzazione del Regno di Dio, aveva associato l’ultima beatitudine, la persecuzione che si scatena. Allora Gesù invita a non rimanere impreparati di fronte a questo. E dice: “Questo invece considerate. Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro veglierebbe e non si lascerebbe perforare la casa. Perciò anche voi state pronti perché nell’ora che non immaginate viene il Figlio dell’uomo”.
Il seguace di Gesù sa che in quanto costruttore di pace per gli altri, la propria pace è sempre precaria e, in ogni momento si può scatenare improvvisa la persecuzione, che sarà tanto più violenta quanto inaspettata è la sua provenienza. Gesù aveva detto che il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il proprio figlio.
Quindi l’invito di Gesù è un invito a rinnovare la scelta per il Regno di Dio, tenendo presente che questa scelta comporta la persecuzione, ma con l’assicurazione che il Dio di Gesù, il Padre, sta sempre a fianco dei perseguitati e mai di chi perseguita.

sabato 23 novembre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 24 novembre 2019.

Chiesa dei santi Vigilio e Valentino - Vezzano (TN).
“«Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»”... Le porte del paradiso resteranno, da ora in avanti, aperte per tutti quelli che riconoscono Gesù come re, qualunque sia il loro passato. Questa è la buona notizia di Gesù.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 23, 35-43)
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Il commento.
    Il brano di oggi lo possiamo definire l’ultima tentazione di Gesù. Gesù nel deserto era stato tentato dal diavolo, dal Satana, tentazioni che erano delle seduzioni. Il Satana non si proponeva come un rivale, come un nemico di Gesù, ma come un valido aiutante. Egli proponeva di usare le sue capacità di figlio di Dio per salvare se stesso, per avere il potere e, soprattutto, per essere accolto e riconosciuto dalla gente. E Gesù aveva rifiutato. Ebbene, le tentazioni nel vangelo di Luca terminano con una frase sibillina; scrive l’evangelista che “Il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato”, meglio tradurlo con “al tempo opportuno”, od “occasione propizia”. Infatti adopera il termine greco Kairos che significa un’occasione da non perdere. Qui è l’occasione nella quale il diavolo si ripresenta.
    Scrive l’evangelista: “Il popolo stava a vedere”. Non è un vedere passivo; è lo stesso popolo che, deluso da Gesù che non è il messia, quello atteso dalla tradizione, il figlio di Davide, che voleva riconquistare il regno, lo ha rifiutato ed è il popolo che ha chiesto che questo Gesù venga crocifisso. Quindi questo stare a vedere, da parte del popolo, non è passivo, ma è attivo.
    “I capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato gli altri! Salvi se stesso»”. Ritornano, e saranno ripetute per tre volte, le tentazioni del deserto, con il diavolo che diceva “Se sei il figlio di Dio”, “«Se è lui il figlio di Dio, l’eletto»”. Quindi i capi deridono Gesù, lo prendono in giro e sono gli strumenti del Satana che invitano Gesù, che è il figlio di Dio, ad usare le sue capacità e il suo potere per salvare se stesso.
    Ma Gesù tutte le sue capacità e il suo potere, non li ha usati per salvare se stesso, ma per salvare gli altri. E lo prendono in giro: “«L’eletto di Dio»”, che è stato abbandonato. “Anche i soldati lo deridevano”; Gesù ha tutti contro: il popolo, i capi, i soldati. “E gli si accostavano per porgergli dell’aceto”: mentre il vino nella Bibbia è simbolo d’amore, l’aceto, il suo contrario, è simbolo di odio. Dimostrano così tutto il loro odio e dicevano anche loro, come il diavolo e come i capi: “«Se tu sei re dei Giudei, salva te stesso»”.
    Quindi lo sfidano di nuovo, è la tentazione satanica di usare le sue capacità a proprio vantaggio. “Sopra di lui c’era anche una scritta”, una scritta derisoria, “Costui è il re dei Giudei”, letteralmente “Il re dei Giudei è questo”. È una scritta molto dispregiativa, molto derisoria, “guardate che fine ha fatto il re dei Giudei”. Gesù è insultato, deriso da tutti, dal popolo, dai capi, dai soldati, e perfino dai malfattori crocifissi con lui. “Uno dei malfattori appesi lo insultava «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso»”.
    Ecco per la terza e definitiva volta – il numero tre nella simbologia ebraica significa ciò che è definitivo, ciò che è pieno, ciò che è completo –, ritorna l’ultima, estrema tentazione. Sei il figlio di Dio? Sei il messia? Usa le tue capacità per salvare te stesso. Ma Gesù la sua capacità l’ha usata per salvare gli altri.
    Quindi ritorna l'estrema tentazione del diavolo: “«Salva te stesso e noi»”. “L'altro invece lo rimproverava dicendo: “«Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?»”. Il fatto che Gesù sia stato condannato con dei malfattori significa che è ritenuto anche lui un elemento pericoloso. La croce era la condanna riservata alla feccia della società, proprio alle persone che avevano commesso i crimini più gravi. E quindi Gesù viene accomunato a queste persone. “«Noi giustamente»”, infatti la croce era un supplizio per i delitti più tremendi, “«perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni. Egli invece non ha fatto nulla di male»”.
    Qui Luca anticipa quello che poi porrà in bocca a Pietro negli Atti degli Apostoli come compendio dell'esistenza di Gesù. È una bellissima espressione che si trova negli Atti dove Pietro dice che “Gesù di Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti quelli che stavano sotto il potere del diavolo perché Dio era con lui”. Tutto questo è stato concentrato in questo “non ha fatto nulla di male”, definizione di Gesù. A Gesù si rivolge un malfattore, un criminale, probabilmente la persona ritenuta la più lontana da Dio, la più esclusa da Dio, che non ha meriti, né virtù da proporre. “«Costui»”, eppure si rivolge a Gesù e gli dice: “«Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»”.
    La persona più lontana da Dio è l'unica che riconosce Gesù come re e chiede di essere ricordato nel suo regno. Allora Gesù fa molto di più di quello che uno può immaginare e sognare. Gesù non si ricorda, ma lo porta con sé. L'immagine di Gesù che ora ci viene presentata è come quella del pastore che cerca e trova la pecora perduta e poi le comunica le sue stesse forze e la pone sopra le sue spalle.
    Infatti gli risponde Gesù: “«In verità»” – quindi un'affermazione solenne – “«io ti dico oggi sarai con me in paradiso»”. Quindi Gesù non si ricorderà di lui in paradiso, ma oggi lo porta, perché il Dio che si manifesta in Gesù non è il Dio che guarda i meriti, lui è un bandito, un malfattore, non ha nessun merito; non è un Dio che guarda le virtù, non ha nessuna virtù, ma è il Dio che guarda i bisogni e le necessità, un Padre che il suo amore lo concede non come un premio, ma come un regalo, così come fa Gesù.
    La prima persona che entra con Gesù nel regno di Dio, nel regno dei cieli, in quello che è chiamato paradiso. Unica volta che appare il termine paradiso nei vangeli. Il termine 'paradiso' è una parola che deriva dall’Iran e significa 'parco, tenuta, grande giardino’, e appare soltanto tre volte nel Nuovo Testamento. Gesù evita di parlare di paradiso, parla sempre di vita che continua, di risurrezione, ma qui a quest'uomo agonizzante con lui non può fare una lezione di catechismo e gli parla secondo i termini che quest'uomo può capire: “«Tu sarai con me in paradiso»”.
    Ebbene, le porte del paradiso resteranno, da ora in avanti, aperte per tutti quelli che riconoscono Gesù come re, qualunque sia il loro passato. Questa è la buona notizia di Gesù.

sabato 16 novembre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 17 novembre 2019.

Santuario Madonna della Corona - Ferrara di Monte Baldo (VR). 
Cosa intende Gesù per Dio, patria e famiglia?

Gesù propone di sostituire a Dio, nome comune di tutte le religioni, il Padre.

Alla patria Gesù sostituisce il regno di Dio, non limiti e confini, ma un amore universale.

E la famiglia di Gesù non sarà quella contraddistinta dai vincoli del sangue, legata dai vincoli di sangue, ma dalla condivisione di un ideale, l’amore.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 5-19)
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita»

Il commento.
Per la comprensione del brano di questa domenica del vangelo di Luca, capitolo 21, versetti da 5 a 19, bisogna rifarsi alla storia di Israele e risalire a ben sette secoli prima quando Sennacherib, il temibile re di Assiria, dopo aver devastato ben 46 città, cinse d’assedio pure Gerusalemme. Ebbene, la notte, l’ultima notte, la notte della paura per gli abitanti di Gerusalemme, quando pensavano che ormai il giorno dopo per loro sarebbe stato la fine, questa notte portò una grande sorpresa.
Al mattino non c’erano più gli occupanti, non c’erano più gli invasori; Sennacherib aveva tolto le tende. Questo venne interpretato nel II Libro dei Re, al capitolo 19, versetto 35, come un’azione dell’angelo del Signore che colpì ben 185.000 dei guerrieri di Sennacherib. Questo fatto aveva dato luogo alla certezza, alla speranza, che, nel momento di maggior pericolo per Gerusalemme, Dio sarebbe intervenuto.
E veniva cantato in un salmo, il salmo 46, versetto 6, dove si dice “Dio è in mezzo ad essa, non potrà vacillare”, quindi quando Gerusalemme si trova nel momento di massimo pericolo Dio interviene. Questo fa comprendere allora la domanda degli ascoltatori, probabilmente i discepoli, alle azioni di Gesù, quando – scrive l’evangelista – “mentre alcuni parlavano del tempio che era ornato di belle pietre e di doni votivi”.
Il tempio di Gerusalemme, iniziato da Erode il Grande, era una delle magnificenze dell’epoca, uno splendore di ricchezze e di lusso. Era uno dei posti sacri più belli dell’antichità. Ebbene, Gesù annunzia che “verranno giorni nei quali di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”.
È quello che avverrà infatti con l’assedio dei romani nel 70, quando letteralmente scalzeranno le mura che componevano il tempio, le demoliranno fin sotto. Di fronte a questo annunzio, gli ascoltatori, i discepoli, non solo non si spaventano, ma sembrano quasi eccitati. “Gli domandarono: «Mestro, quando accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?»”
Ecco, loro pensano come era tradizione di Israele, che nel momento di massimo pericolo Dio sarebbe intervenuto. Quindi sperano in un intervento divino che impedisca questa catastrofe. La reazione degli ascoltatori non denota spavento, ma interesse. Gesù, in maniera imperativa, dice: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome…”, cioè usurpando la sua persona, “…dicendo «Io sono»»”, che è il nome divino, quindi rivendicando di portare il messaggio divino.
“Oppure «Il tempo…»”, per “tempo”, l’evangelista adopera il termine “kairos” che, a differenza di Kronos che indica il tempo del calendario, significa un tempo propizio, un tempo opportuno, l’occasione, potremmo tradurre, “l’occasione è vicina”. Gesù è molto chiaro, “Non andate dietro a loro!”
Gesù invita a non porre nessuna speranza in un intervento straordinario da parte di Dio, un intervento che impedisca la catastrofe. Ma, afferma, “Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono – questo termine indica la volontà divina – avvenire queste cose, ma non è subito la fine”.
Cioè l’inaugurazione del regno di Dio è un susseguirsi di tappe di liberazione nella storia, ma la caduta di Gerusalemme e del suo tempio, non significa che arrivi subito l’inizio del regno di Dio. E’ una delle tappe che prepareranno la realizzazione di questo regno nella storia. E poi Gesù, adoperando il linguaggio tipico dei profeti con i quali preannunciavano i grandi cambiamenti o sconvolgimenti sociali, dice che “Si solleverà nazione contro nazione, regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti…”, sono tutte immagini. Il terremoto cosa indica? Indica la violenza e la rapidità di una invasione.
“…Carestie e pestilenze”, le conseguenze inevitabili di queste invasioni, “vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo”, non ‘nel cielo’, ma ‘dal cielo’, cioè dalla sfera divina. Ed ecco l’annunzio che Gesù dà a questi discepoli galvanizzati da questa prospettiva di un intervento divino a salvezza di Gerusalemme, che Gesù smentisce, “Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi”, e Gesù presenta i tre valori sacri – Dio, patria e famiglia – che si vedono minacciati da Gesù e da suo messaggio.
Sono i tre valori che si basano sul potere. L’istituzione religiosa, che adopera Dio per dominare le persone, la nazione dove il re e i potenti dominano le persone e la famiglia dove il maschio era il capo indiscusso dei suoi familiari. Sono i tre ambiti dove si esercita il potere, l’uno si fa scudo e si difende con l’aiuto dell’altro, che si vedono minacciati da quest’amore-servizio proposto da Gesù.
Allora, dice Gesù, “Prima di questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni”, quindi la persecuzione per motivi religiosi, “trascinandovi davanti a re e governatori”, la persecuzione per motivi civili, e tutto questo “a causa del mio nome”, a causa dell’adesione a Gesù e al suo messaggio.
Ma tutto questo sarà occasione per dare testimonianza e si vedrà che questi difensori di questi valori sacri sono, in realtà, i nemici degli uomini. Ecco perché Gesù a Dio, patria e famiglia, proporrà di sostituire a Dio, nome comune di tutte le religioni, il Padre. Mentre in nome di Dio si può togliere la vita alle persone, in nome del Padre si può soltanto dare la propria. Alla patria Gesù sostituirà il regno di Dio, non limiti e confini, ma un amore universale. E la famiglia di Gesù non sarà quella contraddistinta dai vincoli del sangue, legata dai vincoli di sangue, ma dalla condivisione di un ideale, l’amore.
E quindi questa persecuzione che si scatena dimostrerà che i difensori di questi falsi valori sono nemici dell’umanità. E Gesù annunzia: “Non preparate prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza”, perché, quando si vive in sintonia con Gesù per il bene dell’uomo, si vive la sua stessa vita, si assorbe il suo stesso linguaggio, questo che emana dalla vita del credente.
“Cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere”. L’evangelista adopera i termini che poi adopererà nella seconda parte di questo vangelo, negli Atti degli Apostoli, per l’annunzio del primo martire cristiano, S. Stefano, i cui avversari non potevano resistere né controbattere alle sue affermazioni e Stefano verrà accusato di aver parlato contro il tempio e contro la legge. Chi tocca questi valori sacri muore.
Quindi il messaggio universale del regno di Dio, che annulla il privilegio di Israele, il suo sogno di potere, di predominio, scatena una reazione tremenda contro i seguaci di Gesù, al punto che, conclude Gesù: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi”. L’evangelista qui si richiama a una legge prevista nel libro del Deuteronomio, capitolo 13 , dove, in caso di idolatria, si è autorizzati, anzi benedetti, ad uccidere persino i propri familiari. L’adesione a Gesù significherà, agli occhi della società di Israele un tal sovvertimento dei valori, un crimine così grande da essere paragonato all’idolatria che riesce ad annullare persino i legami più stretti.
Quindi l’adesione al messaggio di Gesù viene considerata come una idolatria, e per questo si può ammazzare la persona, anche il proprio familiare. Ed ecco l’assicurazione di Gesù – tutto questo non è un messaggio di angoscia, ma di speranza, di fronte alle inevitabili persecuzioni che vivere con Gesù e come Gesù comporterà nella vita comunità di credenti, “Ma nemmeno un capello”, il capello è la parte minima che una persona ha sul capo, “andrà perduto”, perché, conclude Gesù, “con la vostra perseveranza”, con la vostra fedeltà a questo messaggio della buona notizia, “salverete la vostra vita”.
Il termine adoperato per vita è psyché, che indica la vita vera, quella che è capace di resistere alla morte. Anche se ci saranno le persecuzioni, anche se vi toglieranno la vita fisica, la vostra vita, quella vera, la realtà profonda, questa continuerà per sempre. Che non sia un messaggio di paura, di angoscia, ma di speranza, lo si vede poi continuando il brano al versetto 28, quando Gesù dice: “E quando cominceranno ad accadere queste cose alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina”. Quindi tutte queste persecuzioni, tutto questo male che vi si rivolta contro è una denuncia che quanti lo fanno sono i nemici dell’umanità ed è una conferma che voi siete, con Gesù, a favore degli uomini.

sabato 9 novembre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 10 novembre 2019.

Chiesa di Sant'Antonio Abate - Masetti di Pergine (TN)
La morte non interrompe la vita, ma le permette di manifestarsi in una forma nuova, piena e definitiva, completa. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 20, 27-38)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Il commento.
    Contro Gesù si scatena l’offensiva finale. A ondate successive Gesù ha subito gli attacchi e li ha zittiti, dei sommi sacerdoti, degli scribi, gli anziani e i farisei, che rimasero meravigliati per la sua risposta e tacquero. Adesso è la volta dei sadducei. Fanno parte dell’aristocrazia sacerdotale, economica, del paese. Scrive Luca, siamo al cap. 20, versetto 27: “gli si avvicinarono alcuni sadducei”, il nome deriva da Sado, sacerdote al tempo del Re Davide.
    All’epoca di Gesù detenevano il potere economico, erano l’aristocrazia sacerdotale nobiliare di Israele. “I quali dicono che non c’è risurrezione”. Il termine “risurrezione” appare per la prima volta nel Libro di Daniele, ma i sadducei, estremamente conservatori, riconoscono come ispirata, cioè come parola di Dio, soltanto i libri della legge, la Torah. Quindi non riconoscono né i profeti, né gli scritti successivi. E non credono alla risurrezione, stanno così bene in questa terra che non hanno bisogno di pensare alla vita successiva.
    “E gli posero questa domanda: «Maestro»”, ecco questa è la falsità tipica curiale, perché vogliono screditare Gesù, vogliono diffamarlo, soprattutto vogliono ridicolizzarlo, ma gli si avvicinano con questo titolo di gentilezza, Maestro. In realtà non intendono apprendere, ma giudicare e condannare.
     “«Mosè ci ha prescritto»”, loro si rifanno a Mosè. “«Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello»”. Questa era la legge del levirato contenuta nel libro del Deuteronomio e in altri testi della Bibbia, che era stata stabilita affinché, scrive la scrittura, “il suo nome non sia estinto da Israele”.
    La maniera per perpetuare se stessi era che il figlio portasse il proprio nome, così che alla morte ci sarebbe stato sempre uno con il suo nome, e così via per tutti i tempi. Allora, se una persona moriva senza figli, la moglie veniva messa incinta dal cognato. E il figlio che sarebbe nato, avrebbe portato il nome del defunto. Questa era la legge chiamata “del levirato”.
    Continua Gesù: “«C’erano dunque sette fratelli, il primo dopo aver preso moglie, morì senza figli»”. Loro si rifanno alla storia contenuta nella scrittura, la popolare storia conosciuta di Sara e Tobia. Alla povera Sara morirono sette mariti la stessa notte delle nozze. “«Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli»”.
    Cercano di ridicolizzare il fatto della risurrezione e quindi far cadere nel ridicolo Gesù e fargli perdere questo appoggio entusiastico delle folle, per poi poterlo prendere e uccidere. “«Da ultimo morì anche la donna. La donna, dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie?»” La domanda che fanno non è intesa, come oggi noi pensiamo con la nostra mentalità occidentale a un rapporto affettivo di amore tra marito e moglie, ma la donna serviva esclusivamente per fare figli.
    Allora vogliono sapere quale di questi mariti defunti potrà avere la donna per fare il figlio, quindi per perpetuare il nome. Il discorso qui non riguarda l’affettività, l’amore tra marito e moglie, ma la possibilità di rendere eterno se stesso attraverso la nascita di un figlio, “«perché tutti e sette l’hanno avuta in moglie»”. Il problema quindi non è la moglie, ma i figli.
    E Gesù risponde ridicolizzando, a sua volta, questi sadducei: “«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati»”, letteralmente, “«di quel mondo»”, il mondo dove la morte non interrompe la vita, “«e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito»”, ed ecco la spiegazione di Gesù, “«infatti non possono più morire»”.
    È qui l’accento del brano, sul fatto che la morte non interrompe la vita, ma le permette di manifestarsi in una forma nuova, piena e definitiva, completa. “«Non possono più morire perché sono uguali agli angeli»”. Gesù con molta ironia parla degli angeli perché i sadducei non credevano nell’esistenza degli angeli, quindi Gesù tira in ballo proprio gli angeli perché gli angeli da chi ricevono la vita? Dai genitori?
    No, gli angeli ricevono la vita direttamente da Dio. Allora Gesù fa comprendere che non c’è più bisogno di rendere eterna la propria esistenza attraverso la nascita di un figlio perché la vita si riceve, come gli angeli, direttamente da Dio. E, ricevendo questa vita da Dio, questa vita è eterna e indistruttibile. “«Sono figli della risurrezione, sono figli di Dio»”, cioè generati da Dio. È Dio che comunica loro la sua stessa vita. E la vita che viene da Dio è una vita per sempre.
    “«Che poi i morti risorgano lo ha indicato anche Mosè»” – loro hanno citato Mosè e anche Gesù cita Mosè – “«a proposito del roveto, quando dice ‘Il Signore è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’»”. Il modo di parlare di Gesù è tipico dell’esegesi rabbinica, delle spiegazioni bibliche che facevano. Gesù cita un passo conosciuto nel libro dell’Esodo, al capitolo 3, dove Dio si presenta dicendo “Io sono il Signore il Dio di Abramo”.
    “Dio di…” non si intende tanto la divinità creduta da… ma il protettore di… Allora se Dio protegge Abramo, protegge Isacco, protegge Giacobbe, li protegge nella vita, questa protezione di Dio è per sempre e li protegge anche dalla morte. E poi ecco l’affermazione finale, molto importante, “«Dio non è dei morti, ma dei viventi»”.
    Il Dio di Gesù non è un Dio che risuscita i morti, ma è il Dio dei vivi, il Dio che ai vivi comunica la sua stessa vita, una vita capace di superare la morte. Quindi non un Dio che risuscita i morti, ma un Dio che permette ai vivi di vivere per sempre. Questo è quello che si chiama ‘vita eterna e risurrezione’.
“«Perché tutti vivono per lui»”, la vita viene grazie al Signore. Non c’è da aspettare una risurrezione futura, ma c’è una vita di una qualità tale che è indistruttibile. Questo è quello che si chiama ‘risurrezione’.

sabato 2 novembre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 3 novembre 2019.

Chiesa di Santa Maria Maggiore - Spilimbergo (PN). 
Le persone religiose (ai tempi di Gesù) non capiscono che l’accoglienza di Gesù rende pure le persone; loro pensavano che il peccatore dovesse purificarsi per poi avvicinarsi al Signore.

Con Gesù tutto è diverso: è l’accoglienza di Gesù che rende pure le persone.

Il Vangelo con commento nel seguito. 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 19, 1-10)

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Il commento. 
    Il messaggio di Gesù è stato chiamato vangelo, cioè Buona Notizia. Ma questa Buona Notizia è valida per tutti, anche per quelli che possono sembrare casi disperati? Sembra proprio di sì. Come ci insegna il vangelo di questa domenica, i primi dieci versetti del capitolo 19 di Luca.
    Scrive l’evangelista: “Gesù entrò nella città di Gèrico”, il fatto che venga nominata Gèrico, è perché Gèrico è stata l’ultima città incontrata dal popolo ebraico nel suo esodo verso la terra promessa, prima di entrarvi. E come Giosuè, che ha lo stesso nome di Gesù, salvò da questa città la prostituta Raab, così Gesù in questa città salva un’altra persona che si vende per denaro, il pubblicano Zaccheo.
    La citazione di Gèrico ci vuol far comprendere che, nell’esodo di Gesù, nessuno viene escluso. “E la stava attraversando, quando ecco un uomo, di nome Zacchèo”. Zacchèo, l’ebraico Zaccai, significa “puro” e questo nome è ripetuto per ben tre volte, che significa la totalità.
    Ma quest’uomo è il più impuro che ci possa essere, infatti è capo dei pubblicani. Pubblicano, da publicum, significa “proprietà pubblica”, erano gli esattori del dazio, i dazieri, gli ufficiali giudiziari che, per il fatto di collaborare con i romani e per il fatto di essere praticamente dei furfanti, erano considerati degli impuri senza alcuna possibilità di salvezza. Anche se un domani si fossero convertiti, per loro non c’era possibilità di salvezza, tanto erano caduti nell’impurità. Perché i pubblicani si consideravano i trasgressori di tutti i comandamenti; era impuro il pubblicano, era impura la sua casa, l’asta con la quale controllava le merci, quindi per i pubblicani non c’è salvezza.
    Ma questo per Gesù non sarebbe un problema, perché già Gesù aveva chiamato a seguirlo proprio un pubblicano, Levi, suscitando il malumore dei benpensanti. Ma c’è il fatto che questo pubblicano è pure ricco, e Gesù è stato chiaro: per i ricchi non c’è posto nella sua comunità. Nella comunità di Gesù c’è posto per i signori, ma non per i ricchi.
    Il signore è colui che dà e condivide con gli altri, il ricco è colui che ha e trattiene per sé. Allora Gesù l’ha detto: “È più facile per un cammello entrare nella cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel regno”. Quindi è una persona che è esclusa.
    “Cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo…” – il termine greco è micros, da cui microbo – “…di statura”. L’evangelista non è andato a misurare con i centimetri l’altezza di Zacchèo; il fatto che dica che è piccolo di statura significa che, essendo ricco, non è all’altezza di Gesù. Sommerso dai suoi averi, dai suoi beni, dai suoi ori, il ricco non può percepire la presenza di Gesù.
    “Allora corse...”, il correre in quella cultura equivale ad andare incontro al disonore, ma Zacchèo più disonorato di così non può essere, per cui non ha di questi problemi, “…corse avanti, e per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, poiché doveva passare di là”.
     L’evangelista, al di là del racconto folcloristico che può presentare, sta dando una grande indicazione teologica. La gente, il popolo pensa che, per incontrare il Signore, deve salire. Non ha compreso che, con Gesù, non c’è più bisogno, perché è il Signore Gesù che è disceso per stare a fianco degli uomini.
    “Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo…»”, il verbo ‘dovere’ è un termine tecnico, adoperato dagli evangelisti, per indicare la volontà di Dio.  Quindi quello che Gesù sta facendo corrisponde proprio al disegno di Dio sull’umanità, che nessuno vada perso. “«Devo fermarmi a casa tua»”. Quello che sta dicendo Gesù è grave, perché la casa di un pubblicano è impura e quindi lui entrandoci diventa anche lui impuro.
    “Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia”. Perché Zacchèo è pieno di gioia? Non solo per l’accoglienza di Gesù, ma per quello che sta per fare. Lui ha capito la beatitudine che Gesù pronunzia negli Atti degli Apostoli, cioè che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e, da ricco che era, si farà povero, perché così entrerà nella beatitudine, nella pienezza della felicità.
    “Vedendo ciò, tutti mormoravano”, ecco la gente, i benpensanti mormorano, non contro Zacchèo, ma contro Gesù: “«è entrato in casa di un peccatore!»”
    È la terza critica che Gesù riceve. L’ha ricevuta già quando ha chiamato il pubblicano Levi a seguirlo – al seguito di Gesù ci saranno pubblicani, ma non farisei, le persone pie – quando ha accolto i peccatori – e questa è la terza volta. Le persone religiose non capiscono che l’accoglienza di Gesù rende pure le persone; loro pensavano che il peccatore dovesse purificarsi per poi avvicinarsi al Signore. Con Gesù tutto è diverso: è l’accoglienza di Gesù che rende pure le persone.
    Ma le persone religiose con i peccatori non vogliono avere alcun contatto, bisogna minacciarli, ammonirli e, soprattutto, tenerli separati. Ma non così, per fortuna, la pensa Gesù.
    “Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri»”. Lui incomincia ad entrare nella beatitudine, comprende la gioia del dare. Quello che costruisce la persona non è quello che ha, ma quello che dà agli altri. “«E se ho rubato qualcosa a qualcuno»”, e lui ha rubato, “«restituisco quattro volte tanto»”.
    Il libro del Levitico imponeva di restituire l’importo più un quinto; lui fa di più, restituisce quattro volte tanto. Che cosa succede? Che Zacchèo non è più ricco, ma una volta che non è più ricco si è liberato di quella zavorra che gli impediva di crescere, ecco perché era basso di statura.
    Ed ecco infatti allora la risposta di Gesù all’azione di Zacchèo: “«Oggi…»”, esattamente come al bandito crocifisso con lui sulla croce, Gesù parla di un oggi della salvezza, “«…per questa casa è venuta la salvezza»”. È l’unica volta nel vangelo di Luca che si usa il termine ‘salvezza’, “«perché anch’egli è figlio di Abramo»”. 
    Gesù è stato presentato dagli angeli all’inizio di questo vangelo come “il Salvatore”, e lui è venuto a portare vita. Perché Gesù ha portato la salvezza a Zacchèo? Perché la scelta di Zacchèo è quella di non essere più ricco, era la ricchezza quella che distruggeva le persone. La vita si ottiene dando, non prendendo, e Zacchèo finalmente l’ha capito. Ha capito che quello che si dà è quello che veramente si possiede, perché quello che si trattiene per sé non si possiede, ma è quello che possiede l’uomo rendendolo un infelice.
    Ed ecco la sentenza di Gesù: “«È venuta la salvezza perché anch’egli è figlio di Abramo»”, è tolto l’impedimento, “«Il Figlio dell’Uomo»”, cioè l’uomo nella sua pienezza, “«è venuto infatti a cercare e salvare chi era perduto»”.
    Ecco l’azione di Gesù, comunicare vita ad ogni persona. L’azione di Gesù non si frena di fronte a nessuna situazione, come nel caso di questo ricco, di questo Zacchèo, che poteva essere considerato un caso disperato. La Buona Notizia è per tutti.