sabato 28 luglio 2018

Il Vangelo con commento di domenica 29 luglio 2018.

La grotta della Madonna di Lourdes a Cernobbio (CO). 
Non bisogna purificarsi per ricevere il pane, che è Gesù, ma è l’accogliere, il mangiare questo pane di Gesù, che purifica.
Questa è l’indicazione preziosa che ci dà l’evangelista.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 1-15)

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Il commento.

Giovanni è l’unico tra gli evangelisti che non riporta il racconto della cena eucaristica, con le parole e i gesti di Gesù sul pane e sul vino, ma in realtà è l’evangelista che senz’altro più degli altri ne approfondisce il significato e ne svela la ricchezza. In particolare lo fa in questo capitolo 6. Scrive l’evangelista che era vicina la Pasqua, la festa dei giudei, ma la folla, anziché salire a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, viene attratta da Gesù. La folla ha compreso che in Gesù si manifesta il vero santuario di Dio dal quale si irradia il suo amore. Ebbene, Gesù, vedendo la folla, pensa lui a provvedere al suo sostentamento. Mentre nel deserto, nell’Esodo era stata la folla che, attraverso Mosè aveva dovuto chiedere a Dio e aveva dovuto supplicare per avere il pane, qui Gesù previene le necessità della gente. L’evangelista indica qual è l’azione divina: Dio non risponde ai bisogni della gente, ma precede e previene le sue necessità.
E l’evangelista descrive questa azione della condivisione dei pani e dei pesci parlando di un ragazzo «che ha cinque pani d’orzo». Perché cinque pani d’orzo? Perché l’evangelista vuole richiamare un fatto che era scritto nell’Antico Testamento quando Eliseo, il profeta, con venti pani d’orzo sfamò cento persone.
«E due pesci». Vediamo ora, ed è importante, perché l’evangelista ci da attraverso questi segnali l’indicazione precisa del significato dell’Eucaristia; vediamo qual è l’indicazione che ci dà Gesù. Gesù dice «Fateli sedere», perché questo particolare? Per mangiare i pani e i pesci potevano stare in piedi, sdraiati, seduti, perché Gesù dà questo preciso ordine, letteralmente “fateli sdraiare”?
Nei pranzi solenni, nei pranzi festivi, in particolare per la Pasqua, i signori, cioè quelli che avevano dei servi da cui potevano farsi servire, mangiavano sdraiati su dei lettucci. Chi mangiava così? Quelli che erano signori, quelli che avevano dei servi. Ebbene, la prima azione di Gesù è far sentire le persone “signori”; Gesù si fa servo perché i servi si possano sentire signori. Quindi la prima indicazione di Gesù, che dice ai discepoli, collaboratori di questa Eucaristia, è di far sdraiare la gente. E l’evangelista ci dà l’indicazione che «c’era molta erba in quel luogo». Questo è un richiamo a un Salmo, il Salmo 72, nel quale si prevedeva l’arrivo del Messia «in campi ondeggianti di erba e di frumento». Quindi l’evangelista vuol dire che è arrivato il Messia atteso. L’evangelista aggiunge «in quel luogo». ‘Luogo’ è un termine tecnico che indica il tempio di Gerusalemme, il santuario dove si manifesta Dio. Ora Dio non si manifesta più in un santuario costruito dall’uomo, ma nella persona di Gesù.
«Si misero dunque a sedere», e l‘evangelista indica il numero di queste persone in 5000. Perché questo numero? Sia perché è il numero della prima comunità cristiana secondo il Libro degli Atti, al capitolo 4, ma soprattutto perché i multipli di 50 indicano, nell’Antico Testamento, l’azione dello Spirito. “Pentecoste”, termine greco che significa ‘cinquantesimo giorno dopo la Pasqua’, è il giorno dell’effusione dello Spirito. Quindi l’evangelista vuol far comprendere che non c’è soltanto un alimento fisico, ma c’è una comunicazione dello Spirito di Dio. «Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede». Sono gli stessi gesti che gli altri evangelisti pongono a Gesù nell’ultima cena. «Gesù prende i pani, e, dopo aver reso grazie» – ringraziare significa che ciò che si ha non è proprio, ma è dono ricevuto e va diviso con gli altri – «li diede a quelli che erano seduti». Gesù non chiede a questa folla che partecipa a questa condivisione dei pani se sono purificati e non chiede neanche di purificarsi. Non bisogna purificarsi per ricevere il pane, che è Gesù, ma è l’accogliere, il mangiare questo pane di Gesù, che purifica. Questa è l’indicazione preziosa che ci dà l’evangelista. Ebbene, mangiano, e l’evangelista dice che dai pezzi avanzati raccolgono 12 canestri. I numeri, ovviamente, sono tutti figurati, tutti simbolici. Il numero dodici rappresenta Israele.
Però, purtroppo, la gente non ha capito questo segno. Questo segno di Gesù, che lui, il Signore, si faceva servo per far sì che i servi si sentissero liberi, non è stato compreso. Infatti «la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva ‘Questi è davvero il profeta’». Il profeta era quello promesso da Mosè, loro non hanno capito la novità portata da Gesù, e sono pronti a sottomettersi.
Infatti, «Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re» – vogliono sottomettersi, vogliono la sottomissione e non la libertà. Gesù li aveva chiamati alla libertà, ma loro non sanno che farsene e vogliono essere dominati; vogliono fare di Gesù un re. E Gesù «si ritirò di nuovo sul monte». Come Mosè dopo il tradimento del popolo con il vitello d’oro, il peccato d’idolatria, risalì sul monte, così Gesù sale su il monte. L’azione del popolo di farlo re, lui la considera un peccato di idolatria, un tradimento.
«Lui da solo». Perché da solo? Perché anche i discepoli condividono la mentalità della folla.

sabato 21 luglio 2018

Il Vangelo con commento di domenica 22 luglio 2018.

Duomo di Monreale (PA). 
Quando il successo fa apparire indispensabili davanti ai propri stessi occhi, è tempo di salire su una barca e di andare altrove, a purificarsi, «in disparte»  per ritrovare le proporzioni della propria dimensione, per rimanere in contatto con la realtà e la spiritualità del dovere e della responsabilità. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6, 30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Il commento.

Gesù nel Vangelo di fronte all’entusiasmo dei discepoli che gli narrano del loro successo, si preoccupa di ridimensionarli e li porta in «luogo deserto, in disparte», sottraendoli alla folla che dava loro l’ebbrezza dell’importanza e della loro indispensabilità: «non avevano neanche il tempo di mangiare». Quando il successo fa apparire indispensabili davanti ai propri stessi occhi, è tempo di salire su una barca e di andare altrove, a purificarsi, «in disparte»  per ritrovare le proporzioni della propria dimensione, per rimanere in contatto con la realtà e la spiritualità del dovere e della responsabilità .
È questo il senso pastorale e spirituale dell’Eucaristia: è il nostro «luogo deserto», il nostro «disparte» dove formiamo una comunione di persone per prendere coscienza della nostra vocazione e del nostro ministero. Questa coscienza rende responsabile ogni battezzato consapevole davanti al diritto innato di parola e di testimonianza.
Dal canto suo, Gesù, nel brano di oggi esprime la sua preoccupazione sulla condizione dei discepoli al ritorno dal mondo esterno e sulla situazione disperata in cui si trova il popolo, abbandonato a se stesso. Al loro ritorno, «gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» . È qui il modello di Chiesa evangelica: andare nel mondo, tornare, riunirsi attorno a Gesù e riferire parole ed eventi: la comunicazione circolare . Nella Chiesa spesso predomina il comando, l’ordine a una unica direzione, la condanna senza giudizio e senza possibilità di difesa: autoritarismo verticale, dall’alto al basso, senza ritorno perché ai credenti è richiesto solo l’obbedienza all’autorità, anche nelle cose in cui l’autorità non ha alcuna competenza e per la quale non ha avuto alcun mandato, come l’impegno nelle realtà terrestri.
In che modo Gesù si fa carico fino a generare la folla con un atteggiamento materno di condivisione vitale? Si mette a fare scuola: «si mise a insegnare loro molte cose», non si preoccupa adesso se hanno fame, ma si preoccupa che abbiano una coscienza, una consapevolezza. Gesù era partito da due obiettivi: mandare i discepoli nel mondo perché apprendessero il linguaggio degli uomini e ne conoscessero l’habitat; con il secondo obiettivo voleva sottrarre i discepoli alla tentazione della folla e quindi della superficialità perché era necessario approfondire ciò che avevano visto e fatto.
L’improvvisazione è nemica del vangelo, della fede e della pastorale. La manovra di Gesù non riesce perché la folla da cui vuole scappare se la ritrova di nuovo appresso. Ora la folla non è più anonima perché «molti li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero» : la folla non è più anonima: essa decide, sceglie, li precede, segnando così il passaggio dalla superficialità alla coscienza.
Gesù e il suo messaggio aiutano la folla a diventare popolo. Quando la Chiesa ha paura del popolo di Dio e lo relega nella categoria della «folla» amorfa, ossequiente «usi ad ubbidir tacendo», non solo priva se stessa del diritto fondamentale di essere soggetto di evangelizzazione, ma frena e impedisce l’avvento del Regno di Dio. Ricaviamone un insegnamento esistenziale: noi credenti non siamo testimoni di Gesù perché offriamo un buon esempio di vita morale, infatti tale vita non è appannaggio dei soli cristiani: anche i non credenti hanno una vita morale che eticamente può anche essere superiore alla nostra. La testimonianza unica che nessun altro può «rapirci» è solo questa: dire con la nostra vita quella di Gesù, che si lascia consumare e si distribuisce alla folla affamata di Parola e di pane.

venerdì 13 luglio 2018

Il Vangelo con commento di domenica 15 luglio 2018.

Chiesa di San Pantaleo - isola di Mozia Marsala (TP). 
Non si può andare ad annunciare la buona notizia di Gesù, un messaggio che è di rinuncia all’ambizione, se poi il proprio comportamento, il proprio abbigliamento, il proprio stile di vita lo contraddicono.
Quindi la vita dell’annunciatore del messaggio deve dimostrare la verità.

Il Vangelo con il commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6, 7-13)

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Il commento.

Dopo l’insuccesso di Gesù durante la predicazione nella sinagoga, dove è stato accolto da scetticismo e Gesù stesso si meravigliava per la loro incredulità, Gesù associa alla sua attività i dodici. I dodici sono i discepoli che rappresentano il nuovo Israele che era appunto composto dalle dodici tribù.
“Gesù prende a mandarli”, scrive Marco, “a due a due”, perché sono una comunità, non si presentano come leader o portatori di un messaggio, ma deve essere una comunità che vive questo messaggio. E “Da loro il potere sugli spiriti impuri”. Spirito significa energia, forza; quando questa forza proviene da Dio si chiama Santa, non soltanto per la qualità, ma per l’attività che separa l’uomo dalla sfera del male e del peccato e lo attrae in quella del bene. Quando queste energie vengono da realtà diverse da Dio, o addirittura contrarie, si chiamano impure perché trattengono e lo mantengono nella sfera dell’impurità, cioè dell’impossibilità della comunicazione con Dio - secondo la cultura dell’epoca.
“E ordinò” – è l’unica volta che ordina qualcosa in questo Vangelo, quindi deve essere qualcosa di molto importante, che dobbiamo prendere seriamente. Cos’è che Gesù ordina? Gesù ordina “di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura”.
Perché questo? Perché la vita dei discepoli deve mostrare la verità dell’annuncio. Non si può andare ad annunciare la buona notizia di Gesù, che è una notizia in cui l’uomo si fida pienamente di Dio e si fida pienamente degli altri, un messaggio che è di rinuncia all’ambizione, se poi il proprio comportamento, il proprio abbigliamento, il proprio stile di vita lo contraddicono. Quindi la vita dell’annunciatore del messaggio deve dimostrare la verità.
Quindi Gesù, che normalmente è parco di descrizioni, qui fa una descrizione molto dettagliata, addirittura di come deve essere l’abbigliamento di questi discepoli; dice di “calzare i sandali” – i sandali sì perché devono camminare molto – ma di “non portare due tuniche”, avere due tuniche era un lusso dei ricchi. Quindi i discepoli non devono smentire con il proprio comportamento l’annunzio di questo amore universale di un Dio che si mette a servizio degli altri.
Poi Gesù invita questi discepoli ad essere liberi dall’affanno economico, ad affidarsi completamente; dice che devono essere liberi anche interiormente, e infatti dice “dovunque entriate in una casa rimanetevi finché non sarete partiti di lì”. Perché quest’indicazione? Perché gli ebrei quando erano in viaggio cercavano spesso ospitalità soltanto in caso di altri ebrei, non andavano in casa di pagani. Perché? Perché la casa di un pagano era impura. Oppure non andavano a casa di ebrei che non sapevano essere pienamente osservanti delle regole della purezza o della impurità riguardo ai generi alimentari.
Ebbene, Gesù chiede di essere liberi; nella casa dove entrate, che siano osservanti o meno, lì rimanete. Quindi bisogna essere liberi per poter liberare. “Ma”, avvisa Gesù, “se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andandovene, scuotete la polvere sotto i vostri piedi”. Questo era un gesto simbolico che facevano gli ebrei, quando ritornavano dalla terra pagana, prima di entrare in Israele, scuotevano la polvere dei sandali per non portare neanche un briciolo di terra pagana, terra impura, nella terra santa. Quindi l’evangelista indica che quanti non accolgono questi annunciatori del messaggio, vanno trattati come i pagani.
Pagano allora non è chi non crede o chi crede in un’altra religione, ma chi non accoglie, chi non presta aiuto. Chi non riflette nella sua condotta l’amore universale di Dio è un pagano. Quindi Gesù invia i discepoli ad annunziare questo messaggio della buona notizia, e quanti non lo accolgono vanno trattati come i pagani; quindi ‘pagano’ non dipende dal Dio in cui credi, ma dall’atteggiamento di accoglienza e di ospitalità.
“Ed essi partiti” – ecco qui c’è da chiedersi ‘ma hanno fatto quello che Gesù aveva detto loro di fare o no?’ Perché Gesù non aveva invitato i discepoli a predicare la conversione, ed eventualmente la conversione era per il regno dei cieli, non li aveva invitati a scacciare i demoni, aveva dato il potere sugli spiriti impuri, che è un’altra cosa, e di ungere i malati con olio, ecc.
I discepoli non hanno fatto quello che Gesù ha indicato loro. E infatti vedremo nel seguito di questo Vangelo che Gesù li chiamerà in disparte e impedirà loro di annunziare un messaggio che lui non ha autorizzato.

sabato 7 luglio 2018

Il Vangelo con commento di domenica 8 luglio 2018.

San Teodoro Marsala (TP). 
Gesù dice “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria”.
E’ il destino dei profeti, in nome del Dio del passato le autorità religiose non riconoscono mai un Dio che si manifesta nel presente... 

Il Vangelo e il commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6, 1-6)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Il commento. 

In questo brano drammatico l’evangelista ci presenta la triste situazione del popolo sottomesso all’autorità. Il popolo non può permettersi di avere un’opinione propria, deve pensare esattamente quello che le autorità decidono che deve pensare: se le autorità dicono, impongono che quello che è bianco è nero, il popolo deve credere così. Questo è il peccato contro lo Spirito Santo.
Ma vediamo cosa ci dice l’evangelista.
Dice che “Gesù venne nella sua patria”, evita di parlare di Nazareth, perché il caso non è relegato al piccolo paese di Nazareth, ma si estende a tutta la nazione di Israele. Gesù “giunto il sabato si mise a insegnare nella sinagoga”, è la seconda volta che Gesù insegna nella sinagoga.
La prima volta a Cafarnao l’esito era stato positivo, c’era stata la stessa reazione di qui, la gente è rimasta stupita, però s’era detto “questo sì che ha autorità” – cioè ha mandato divino – “non i nostri scribi” (Mc 1, 21-22). Quindi la prima volta la situazione era stata positiva.
Ma Gesù aveva gettato discredito sui teologi ufficiali, sugli scribi, che erano passati al contrattacco, avevano messo in guardia la gente: attenti a quest’uomo, a questo Gesù, perché è vero che vi guarisce, ma lo fa per infettarvi ancora di più, perché è uno stregone, agisce per opera di Beelzebùl, il principe dei demòni. E il popolo lo crede.
Infatti qui la gente rimane stupita del suo insegnamento, ma non c’è una reazione positiva, e si chiedono “da dove gli vengano queste cose?”. Non percepiscono in Gesù la condizione divina, perché gli scribi hanno detto che in Gesù c’è una condizione diabolica, loro devono credere quello che le autorità impongono di credere. E si stupiscono dei prodigi e dicono che “sono compiuti dalle sue mani”, come se Gesù fosse uno stregone. Evitano di nominare Gesù, si riferiscono a lui con profondo disprezzo “Non è costui”, quindi evitano di pronunciare il nome e poi passano all’offesa, lo chiamano “il figlio di Maria”.
Un figlio, nel mondo palestinese, veniva sempre chiamato con il nome del padre, anche quando il padre era defunto; il figlio conservava sempre il nome del padre. Quindi avrebbero dovuto dire “non è il figlio di Giuseppe?” ; ma ignorano Giuseppe. Dire che qualcuno è il figlio di una donna significa che la paternità è dubbia e incerta. Quindi passano alle offese e passano alla realtà, elencando i suoi parenti, fratelli e sorelle, cioè gli appartenenti al suo clan familiare e, conclude l’evangelista, che tutto questo per loro “era motivo di scandalo”.
Quindi la situazione del popolo è tremenda: pur avendo ascoltato l’insegnamento di Gesù, non ne percepiscono l’autorità divina perché le autorità religiose, per non andare contro il proprio interesse – loro sì che sanno che Gesù è di condizione divina, ma se lo riconoscono perdono l’influsso e il prestigio sul popolo – hanno detto che Gesù opera per azione di Beelzebùl, il principe dei demòni.
E qui c’è la conclusione amara di Gesù che fa eco a quello che c’è scritto nel vangelo di Giovanni “Egli venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”((Gv 1,11.)
Gesù dice “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria”. E’ il destino dei profeti, in nome del Dio del passato le autorità religiose non riconoscono mai un Dio che si manifesta nel presente.
I profeti sono coloro che allargano lo spazio, dilatano la conoscenza di Dio, ma sono proprio le autorità religiose che, in nome della tradizione, non accolgono e non riconoscono questa novità di Dio e il popolo è sottomesso a questa loro tradizione. E quindi Gesù non può compiere nulla e “si meravigliava della loro incredulità”.