sabato 21 luglio 2018

Il Vangelo con commento di domenica 22 luglio 2018.

Duomo di Monreale (PA). 
Quando il successo fa apparire indispensabili davanti ai propri stessi occhi, è tempo di salire su una barca e di andare altrove, a purificarsi, «in disparte»  per ritrovare le proporzioni della propria dimensione, per rimanere in contatto con la realtà e la spiritualità del dovere e della responsabilità. 

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6, 30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Il commento.

Gesù nel Vangelo di fronte all’entusiasmo dei discepoli che gli narrano del loro successo, si preoccupa di ridimensionarli e li porta in «luogo deserto, in disparte», sottraendoli alla folla che dava loro l’ebbrezza dell’importanza e della loro indispensabilità: «non avevano neanche il tempo di mangiare». Quando il successo fa apparire indispensabili davanti ai propri stessi occhi, è tempo di salire su una barca e di andare altrove, a purificarsi, «in disparte»  per ritrovare le proporzioni della propria dimensione, per rimanere in contatto con la realtà e la spiritualità del dovere e della responsabilità .
È questo il senso pastorale e spirituale dell’Eucaristia: è il nostro «luogo deserto», il nostro «disparte» dove formiamo una comunione di persone per prendere coscienza della nostra vocazione e del nostro ministero. Questa coscienza rende responsabile ogni battezzato consapevole davanti al diritto innato di parola e di testimonianza.
Dal canto suo, Gesù, nel brano di oggi esprime la sua preoccupazione sulla condizione dei discepoli al ritorno dal mondo esterno e sulla situazione disperata in cui si trova il popolo, abbandonato a se stesso. Al loro ritorno, «gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» . È qui il modello di Chiesa evangelica: andare nel mondo, tornare, riunirsi attorno a Gesù e riferire parole ed eventi: la comunicazione circolare . Nella Chiesa spesso predomina il comando, l’ordine a una unica direzione, la condanna senza giudizio e senza possibilità di difesa: autoritarismo verticale, dall’alto al basso, senza ritorno perché ai credenti è richiesto solo l’obbedienza all’autorità, anche nelle cose in cui l’autorità non ha alcuna competenza e per la quale non ha avuto alcun mandato, come l’impegno nelle realtà terrestri.
In che modo Gesù si fa carico fino a generare la folla con un atteggiamento materno di condivisione vitale? Si mette a fare scuola: «si mise a insegnare loro molte cose», non si preoccupa adesso se hanno fame, ma si preoccupa che abbiano una coscienza, una consapevolezza. Gesù era partito da due obiettivi: mandare i discepoli nel mondo perché apprendessero il linguaggio degli uomini e ne conoscessero l’habitat; con il secondo obiettivo voleva sottrarre i discepoli alla tentazione della folla e quindi della superficialità perché era necessario approfondire ciò che avevano visto e fatto.
L’improvvisazione è nemica del vangelo, della fede e della pastorale. La manovra di Gesù non riesce perché la folla da cui vuole scappare se la ritrova di nuovo appresso. Ora la folla non è più anonima perché «molti li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero» : la folla non è più anonima: essa decide, sceglie, li precede, segnando così il passaggio dalla superficialità alla coscienza.
Gesù e il suo messaggio aiutano la folla a diventare popolo. Quando la Chiesa ha paura del popolo di Dio e lo relega nella categoria della «folla» amorfa, ossequiente «usi ad ubbidir tacendo», non solo priva se stessa del diritto fondamentale di essere soggetto di evangelizzazione, ma frena e impedisce l’avvento del Regno di Dio. Ricaviamone un insegnamento esistenziale: noi credenti non siamo testimoni di Gesù perché offriamo un buon esempio di vita morale, infatti tale vita non è appannaggio dei soli cristiani: anche i non credenti hanno una vita morale che eticamente può anche essere superiore alla nostra. La testimonianza unica che nessun altro può «rapirci» è solo questa: dire con la nostra vita quella di Gesù, che si lascia consumare e si distribuisce alla folla affamata di Parola e di pane.

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