sabato 23 febbraio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 24 febbraio 2019.

Chiesa di Santa Maria Assunta - Arco (TN). 
“Porgere l’altra guancia” non è segno di debolezza né tantomeno di viltà, ma di forza e superiorità.
Significa avere la forza di non reagire alla violenza e dimostrare la superiorità dell’amore sull’odio, per quanto grande esso possa essere.

Il credente non è un pavido ma un coraggioso. La sua non violenza non nasce dal timore ma dal suo amore, così potente da non lasciarsi condizionare dall’odio e dal male ricevuto. 

In ogni religione la divinità premia i buoni e castiga i malvagi. Gesù afferma che il Padre non si comporta così, e che a tutti, indistintamente, offre il suo amore, meritevoli e no. 
Nessuno aveva mai osato un’affermazione del genere riferita a Dio... 

Il Vangelo con commento nel seguito.

DAL VANGELO SECONDO LUCA  6, 27 - 38

 Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano.   A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso.  E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso.  E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai  peccatori per riceverne altrettanto.  Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi.  Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato;  date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio".

Il commento.

L’amore ai nemici, punto culminante del discorso di Gesù, è da considerare come la novità e la caratteristica che distingue il gruppo dei discepoli, dal momento che costoro, non solo sono tenuti a predicarlo, ma a metterlo in pratica.
Il verbo adoperato dall’evangelista per indicare l’amore, designa il genere di amore che Gesù richiede: una volontà di bene indipendente dalle qualità delle persone che ne sono l’oggetto. Per questo l’evangelista adopera il verbo greco agapaô (da cui la parola agape) e non il verbo greco phileô (volersi bene), che indica una comune intesa basata sull’attrazione e sulla simpatia reciproca.
L’amore che Gesù richiede è immotivato e incondizionato, ma non rimane mai astratto e si traduce concretamente nel fare del bene anche a coloro che sono solo capaci di odiare e far del male.
Per questo l’amore va esteso ai nemici. Adoperando il termine nemico, con il quale nella Bibbia s’indicano di solito i nemici del popolo di Dio (Sal 31.7; 139.21), l’evangelista raffigura quelli che saranno i persecutori della comunità cristiana.
L’evangelista, attraverso le parole di Gesù anticipa per il lettore quello che sarà il comportamento del Signore condannato e crocifisso. Gesù infatti pregherà per i suoi crocifissori e chiederà al Padre di perdonarli (Lc 23,34). Se qualcuno ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra; Nell’esperienza della comunità di Luca era certamente ancora vivo il ricordo delle terribili conseguenze che il popolo giudaico aveva subito a causa della rivolta contro i romani nell’anno 70.
L’esperienza insegna che la risposta violenta non fa altro che aumentare la violenza e condurre alla rovina.
L’immagine adoperata da Gesù non significa un’accettazione passiva di ogni violenza. Di fatto l’unica volta che Gesù verrà schiaffeggiato non porgerà l’altra guancia, ma chiederà conto del perché della violenza (Gv 18,22-23).
“Porgere l’altra guancia” non è segno di debolezza né tantomeno di viltà, ma di forza e superiorità. Significa avere la forza di non reagire alla violenza e dimostrare la superiorità dell’amore sull’odio, per quanto grande esso possa essere.
Il credente non è un pavido ma un coraggioso.
La sua non violenza non nasce dal timore ma dal suo amore, così potente da non lasciarsi condizionare dall’odio e dal male ricevuto.
Se qualcuno ti leva il mantello, lasciagli prendere anche al tunica.
Le immagini paradossali di Gesù sono tutte incentrate sulla piena libertà alla quale è chiamato il discepolo. Non è possibile seguire Gesù se non si è liberi da ogni forma di odio, rancore e violenza.
La spoliazione alla quale si riferisce Gesù rende più libero il discepolo il quale sa di poter contare su un Padre che si preoccupa per tutte queste cose.
Ed è sempre in questa linea di fiducia in un Padre che tutto darà “in aggiunta” (Lc 12,31), che Gesù invita i suoi discepoli a donare generosamente, senza calcoli, arrivando a rinunciare alla sicurezza dei beni per sperimentare la certezza di avere Dio per Padre. Attraverso queste immagini paradossali Gesù non impone delle regole da applicare letteralmente, ma comportamenti volti a rompere la perversa spirale della violenza e dell’egoismo, per liberare il discepolo da ogni atteggiamento e pensiero negativo.
Forza e modello di questa capacità di amore più forte della morte è il Padre.
La tradizione ebraica conosceva quella che veniva chiamata la regola aurea dell’amore, che era così formulata: “Non fare a nessuno ciò che non piace a te” (Tb 4,15).
Gesù si rifà a questa norma ma volgendola al positivo. Se per essere un bravo ebreo era sufficiente non fare del male, nella comunità del regno di Dio occorre fare del bene.
Questo atteggiamento positivo nei confronti degli altri dona al credente la certezza di realizzare la volontà del Padre e non c’è più bisogno di dipendere dagli scribi per sapere come comportarsi. Tutti, anche i peccatori, sono capaci di amare se riamati. Ma l’amore che caratterizza il discepolo di Gesù non è una risposta all’amore dell’altro, ma lo deve precedere e, per questo, deve essere immotivato e incondizionato.
E‟ la fede in Dio quel che dona al credente questa superiore capacità d’amore. Fede che è la risposta dell’uomo all’amore gratuito con il quale si sente generosamente amato dal Padre.
Gesù invita i suoi a rompere l’interesse egoistico tipico di ogni clan o gruppo sociale, per rivolgere attenzioni e amore a tutti indistintamente. Mediante gesti concreti i discepoli dimostrano la qualità di amore che distingue la comunità cristiana.
Quanti non lo fanno sono equiparati ai peccatori. Non c’è bisogno infatti di credere in un dio per voler bene a chi ci vuol bene.
Nella mentalità semitica, l’essere figlio significa assomigliare in tutto al padre. E‟ questo l’invito finale, che segna il definitivo esodo dalla religione alla fede.
Mentre nella religione il credente è colui che obbedisce a Dio osservando la sua Legge, nella fede il credente è colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo.
Non l’obbedienza ma la assomiglianza a Dio contraddistingue il credente, che diventa simile al Padre con una continua offerta d’amore gratuita a ogni uomo.
La ricompensa non è un premio da ottenere nel futuro per la buona condotta tenuta in questa vita, ma la conseguenza di questa capacità d’amare immotivata e incondizionata. Essendo l’amore la linea di sviluppo e di crescita dell’uomo, questo amore rende il credente ogni volta più somigliante al Padre realizzando in lui il progetto del Creatore diventando figlio di Dio (Gv 1,12).
Egli infatti è buono anche verso gli ingrati e i cattivi.
In ogni religione la divinità premia i buoni e castiga i malvagi. Gesù afferma che il Padre non si comporta così, e che a tutti, indistintamente, offre il suo amore, meritevoli e no.
Nessuno aveva mai osato un’affermazione del genere riferita a Dio.
La tradizione biblica e rabbinica presentavano un Dio che castigava severamente ingrati e malvagi destinati tutti all’annientamento: “I malvagi saranno sterminati… Tutti i malvagi saranno distrutti; la discendenza degli empi sarà sterminata” (Sal 37,9.38).
Se nella religione l’amore di Dio doveva essere meritato, con Gesù l’amore del Padre deve solo essere accolto come dono gratuito che non dipende dagli sforzi degli uomini ma dalla bontà del Padre.
La novità di Gesù è deflagrante.

sabato 16 febbraio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 17 febbraio 2019.

Chiesa di San Lorenzo - Folgaria (TN). 
"Beati voi poveri!" 

Gesù non sta beatificando la povertà!

I poveri sono disgraziati che è compito della comunità cristiana togliere dalla loro condizione di povertà.

Praticamente l’evangelista sta dicendo “voi, che avete fatto una scelta in favore degli altri (avete lasciato tutto per seguirmi e quindi siete entrati in una condizione di povertà), non preoccupatevi perché Dio si prenderà cura di voi”; ecco perché sono beati.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Lc  6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Il commento.

Dopo la scelta dei Dodici su il monte – il monte indica il luogo della sfera divina della condizione divina – scrive l’evangelista che “Gesù, disceso con loro, con i Dodici, si fermò in luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli”, ed è ai discepoli che Gesù rivolge il suo insegnamento, le Beatitudini.
Le Beatitudini, nei Vangeli, le troviamo in Matteo e in Luca; la formula è differente, ma il messaggio è identico. In Matteo sono un invito a chi vuole entrare in questa beatitudine; nel Vangelo di Luca, invece, c’è una constatazione per quelli che già invece hanno lasciato e l’hanno seguito.
 Allora, scrive l’evangelista, “Alzati gli occhi verso i suoi discepoli”, è importante. Gesù non sta rivolgendosi alla folla, all’umanità, ma a quelli che hanno lasciato tutto e l’hanno seguito. E dice Gesù “«Beati»” – beati significa ‘immensamente e straordinariamente felici’, - “«voi, poveri»”, si riferisce ai discepoli, Gesù non sta beatificando la povertà! I poveri sono disgraziati che è compito della comunità cristiana togliere dalla loro condizione di povertà.
Mai nel Vangelo Gesù proclama ‘beati’ i poveri! Essere poveri è un elemento negativo che è compito del Signore sradicare da questa terra, grazie alla collaborazione di quanti lo vorranno aiutare. Ma qui Gesù si riferisce a quei discepoli che, come abbiamo sentito nel capitolo 5, versetto 11, lasciarono tutto e lo seguirono, quindi sono entrati in una condizione di povertà.
Ebbene, assicura Gesù, “voi poveri, che a avete lasciato tutto e mi avete seguito, beati perché vostro è il Regno di Dio”. Regno di Dio non indica un’estensione geografica, ma significa che Dio può governare come re, cioè il Padre si prende cura di voi. Quelle conseguenze negative che la scelta per la povertà, la scelta di seguire Gesù, possono far nascere, verranno attenuate, verranno eliminate, dal fatto che il Padre si prende cura di voi.
Praticamente l’evangelista sta dicendo “voi, che avete fatto una scelta in favore degli altri, non preoccupatevi perché Dio si prenderà cura di voi”; ecco perché sono beati.
Poi l’evangelista passa in esame gli eventuali elementi negativi che questa scelta comporta: la fame, il pianto, la persecuzione. Ebbene, in ognuno di questi elementi questi discepoli sono beati appunto perché il Padre si prenderà cura di loro e se avranno fame saranno pienamente saziati, se piangeranno, rideranno e, anche quando nascerà la persecuzione, sapranno che il Padre sta sempre dalla loro parte – persecuzione che nasce ovviamente a causa del Figlio dell’Uomo.
E infatti Gesù dice addirittura “Rallegratevi nel momento della persecuzione, della sofferenza”, non per masochismo, ma perché “la vostra ricompensa è grande nei cieli”.
Il cielo è una maniera per indicare Dio, cioè “Dio sta dalla parte vostra, Dio si prende cura di voi”. E poi, ecco l’importante dichiarazione di Gesù, “allo stesso modo infatti agivano i loro padri”. Stranamente Gesù non dice “i nostri padri”, Gesù prende le distanze dal suo popolo, “i loro padri con i profeti”. Gesù sta equiparando il ruolo del discepolo a quello del profeta.
Chi è il profeta? Colui che rende visibile nella propria esistenza il Dio invisibile. La scelta, l’adesione al suo messaggio, trasforma il discepolo in profeta. Quindi, come non sono stati compresi, accettati, ma anzi perseguitati, i profeti, così sarà di voi.
Poi il tono cambia, ma Gesù qui non usa la parola “Guai!” L’espressione greca Ouai, si rifà a un termine ebraico Hôi, che è il lamento funebre. Gesù non minaccia, ma Gesù piange già come morti, come cadaveri. Quindi non è una minaccia che Gesù rivolge a certe categorie, ma Gesù, mentre i discepoli hanno scelto la vita perché si dedicano agli altri, quelli che pensano soltanto a sé Gesù li piange come già morti. Quindi non minacce, ma lamenti.
“Ahi a voi” – quindi non ‘guai’ – “ricchi”, cioè quelli che causano la povertà, “Ahi a voi che siete sazi”, quelli che causano la fame, “Ahi a voi che ora ridete”, cioè quelli che sono stati la causa della sofferenza. E dice, conclude Gesù, “Ahi a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi”.
Il criterio di autenticità del profeta è il rapporto con il sistema. Se il sistema ti incoraggia, ti loda, ti applaude, significa che hai tradito il messaggio di Gesù. Quando, invece, il sistema di potere che regge la società, ti contrasta, ti perseguita, ti calunnia, rallegrati perché sei sicuro di stare dalla parte del Signore!
Infatti, conclude Gesù, “Allo stesso modo infatti agivano i loro padri” – di nuovo Gesù prende le distanze -  “con i falsi profeti”. Quindi quando la società applaude stiamo sicuri che questa persona non è un inviato, ma un traditore del messaggio di Gesù, appunto, un falso profeta. Mentre il profeta rende visibile l’immagine del Dio invisibile, il falso profeta è quello che – per usare il linguaggio dei profeti – “intonaca le loro malefatte”, di quelli del sistema.

sabato 9 febbraio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 10 febbraio 2019.

Chiesa della Natività di San Giovanni Battista - Vigo di Fassa (TN). 
Gesù disse a Simone: «Non temere». 
Quindi il rapporto di Gesù, che è Dio, con l’uomo, con l’uomo peccatore, non è più di timore, di uno che teme un castigo, che si sente minacciato, ma d’amore. “«D’ora in poi sarai»”, e qui, stranamente, la traduzione dice ‘pescatore di uomini’, ma l’evangelista non adopera come Matteo e Marco il termine ‘pescatore’, letteralmente dice “prenderai uomini vivi”.
Quindi Gesù non invita i discepoli, Simone in questo caso, a essere un santo, cioè a pensare a sé, ma a prendere uomini vivi, cioè tirare fuori gli uomini da quelle situazioni che possono portargli danno, che possono nuocere loro fino alla morte. Non pensare per sé, ma pensare per gli altri.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5, 1-11)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Il commento.

    Per la comprensione del brano di Luca di questa domenica, dobbiamo rifarci al profeta Ezechiele che, nel capitolo 47, vede un’acqua che esce dal tempio di Gerusalemme e scende verso il mare, lo risana e questo provoca una pesca abbondante.
    In particolare al versetto 10 scrive il profeta: “sulle rive vi saranno pescatori da Engàddi a En-Englàim, vi sarà una distesa di reti. I pesci, secondo le loro specie, saranno abbondanti come i pesci del mare grande”. Quindi questo è il riferimento che l’evangelista prende come sfondo della sua narrazione.
    Scrive Luca, che “la gente faceva ressa intorno a Gesù per ascoltare la parola di Dio”; vedremo poi che c’è la trasposizione e questa parola di Dio diventa la parola di Gesù, perché Gesù non è un inviato da Dio, ma Gesù è Dio stesso.
    “Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti”. Ecco questo è il contesto, il cui sfondo è la profezia di Ezechiele: i pescatori con le loro reti.
    “Salì su una barca che era di Simone”; Gesù già conosce Simone perché ne ha già guarito la suocera. “Lo prega di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle sulla barca. Quando ebbe finito di parlare disse a Simone «Prendi il largo»” – letteralmente ‘profondo’ – “«e gettate le vostre reti per la pesca»”.
    È Gesù, è Dio stesso, che parla. La reazione di Simone è questa, non lo chiama maestro, come dice la traduzione, ma il termine greco “Epistata” significa “capo, padrone”, mentre maestro si dice “Didaskalos”, quindi Simone vede Gesù come un capo, un leader a cui lui si può e si deve sottomettere.
    E protesta: “«Abbiamo faticato tutta la notte»”, ‘tutta la notte’ nel Vangelo non ha mai un senso solo cronologico, ma ha sempre il significato di ‘tenebre’, di impedimento all’accoglienza del Signore “«E non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola»”, ecco la parola di Dio che diventa la parola dell’Uomo, “«getterò le reti»”.
    Ebbene, la pesca abbondante è una costante dell’attività umana quando è condotta secondo la parola di Gesù. Infatti, scrive l’evangelista, “Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano”.
    “Al vedere questo”, continua poi l’evangelista, “Simone”, e qui viene chiamato Pietro; è la prima volta in Luca. Questo discepolo si chiama Simone; ha un soprannome negativo “Pietro”, che significa ‘il testardo, il cocciuto’ e mai Gesù si rivolgerà a questo discepolo, eccetto una sola volta, chiamandolo Pietro, lo chiamerà sempre Simone.
    Sono gli evangelisti che, come schema letterario, quando questo discepolo si comporterà bene, lo indicano soltanto con il nome; quando traballa, come in questo caso, Simone ha il soprannome negativo Pietro; quando è completamente all’opposizione soltanto Pietro, cioè ‘il testardo’.
    Simone  quindi sta facendo qualcosa – già l’evangelista qui ce lo fa capire con questo soprannome – che non va bene. Infatti si getta “alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore»”, ecco qui c’è già un progresso. Si era rivolto a Gesù chiamandolo ‘duce, capo, padrone’, adesso riconosce in Gesù il Signore.
    Però dice “«Allontànati da me perché sono un peccatore»”, in contraddizione con la missione di Gesù che dirà di essere venuto a chiamare i peccatori, quindi Pietro è vittima di una tradizione religiosa per cui il peccatore deve essere allontanato dal Signore, lo si deve allontanare. Non capisce che Gesù, Dio viene a portare l’amore per tutti, anche per i peccatori.
    Ebbene, la conclusione dell’episodio, che a Simone si associano “pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo” “ e Gesù disse a Simone: «Non temere»”. Quindi il rapporto di Gesù, che è Dio, con l’uomo, con l’uomo peccatore, non è più di timore, di uno che teme un castigo, che si sente minacciato, ma d’amore. “«D’ora in poi sarai»”, e qui, stranamente, la traduzione dice ‘pescatore di uomini’, ma l’evangelista non adopera come Matteo e Marco il termine ‘pescatore’, letteralmente dice “prenderai uomini vivi”.
    È chiaro il significato: è quello della pesca, ma va al di là. Qual è il significato che l’evangelista vuole dare? Prendere uomini vivi, in questo caso come il ruolo di un pescatore, mentre tirare fuori i pesci dall’acqua significa tirarli fuori dal loro habitat naturale per dar loro la morte, tirare fuori un uomo dall’acqua, prendere fuori un uomo vivo dall’acqua, significa impedirgli di morire, perché nel mare, nel lago, la persona affoga.
    Quindi Gesù non invita i discepoli, Simone in questo caso, a essere un santo, cioè a pensare a sé, ma a prendere uomini vivi, cioè tirare fuori gli uomini da quelle situazioni che possono portargli danno, che possono nuocere loro fino alla morte. Non pensare per sé, ma pensare per gli altri.
    “E, tirate le barche a terra”, conclude l’evangelista, “lasciarono tutto e lo seguirono”. Quindi c’è un cambio totale nella scala di valori che anche gli altri discepoli hanno accettato e hanno accolto.

sabato 2 febbraio 2019

Il Vangelo con commento di domenica 3 febbraio 2019.

Chiesa di San Nicolò - Pozza di Fassa (TN). 
Nemo propheta acceptus est in patria sua:
"nessun profeta è ben accetto nella sua patria”.
E questo sarà sempre lungo la storia dell’umanità.

Il profeta non è colui che viene a ripetere la dottrina conosciuta, ma colui che, per la propria esperienza di Dio, crea formule, nuovi atteggiamenti e nuovi modi di rapportarsi a Dio.
E questo viene sempre rifiutato.

Nel seguente brano del Vangelo Gesù propone, in una sinagoga di Nazareth, il concetto di un Dio che ama tutti indistintamente, e rischia il linciaggio... 

Il Vangelo con commento nel seguito. 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4, 21-30)

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Il commento.

Nella sinagoga di Nazaret Gesù legge e attribuisce a se stesso il passo del capitolo 61 del profeta Isaia dove si parla dell’investitura del messia. Ma Gesù commette un grave sgarbo agli orecchi degli ascoltatori, i nazaretani; infatti omette il versetto che era il più atteso dopo la proclamazione dell’anno di grazia del Signore, il testo di Isaia proseguiva dicendo E la vendetta del nostro Dio. E’ questo quello che il popolo attende.
Sottomesso da settant’anni, dalla dominazione romana, attende un liberatore che li aiuti a uscire dalla terribile occupazione dei dominatori pagani. Ebbene Gesù non è d’accordo con il profeta Isaia, parla di grazia annunciando questo amore di Dio, ma omette le parole di vendetta. E questo suscita la reazione scomposta che adesso vedremo nel brano dell’evangelista Luca, capitolo 4, versetti 21-30.
Quindi Gesù parla di grazia a nazaretani che invece si attendono la vendetta. Allora, dopo che Gesù si è attribuito la realizzazione di questo passaggio Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete ascoltato, Luca scrive: Tutti, cioè tutti i partecipanti alla liturgia nella sinagoga, gli davano testimonianza. Ecco qui c’è un problema di traduzione. Il verbo “martireo”, che significa testimoniare, da cui il termine “martire”, colui che testimonia la fede, secondo i contesti può significare una testimonianza una testimonianza a favore o una testimonianza contro.
La stessa espressione verbale la troviamo nel vangelo di Matteo, capitolo 23, versetto 31, dove Gesù scrive a scribi e farisei dice: Testimoniate contro voi stessi. Quindi qui la testimonianza è una testimonianza non a favore di Gesù, tanto è vero che tra poco vedremo che tutti pensano e decidono di ammazzare Gesù.
Allora va tradotto con Tutti gli erano contro. Ed erano sconvolti, meravigliati, sconcertati. Da che cosa? Dalle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca. Si aspettavano vendetta e Gesù invece parla di grazia. Gesù è venuto ad annunziare l’amore universale di Dio, amore universale non soltanto per la sua estensione, ovunque, ma soprattutto per la sua qualità, per tutti.
Non c’è nessuna persona al mondo che possa sentirsi esclusa dall’amore di Dio. Quando Gesù dovrà parlare di questo amore lo paragonerà al sole e alla pioggia. Il sole e la pioggia svolgono i loro effetti su tutti, non soltanto su quelli che lo meritano. Così è l’amore di Dio. E’ un amore universale nel senso di ovunque, ma per la sua qualità è rivolto a tutti quanti. Non c’è nessuna persona, quindi non c’è nessun nemico, non c’è nessun individuo che possa sentirsi escluso da quest’amore.
Questo provoca la reazione dei nazaretani che si chiedono: “Ma non é costui il figlio di Giuseppe?” Non mettono in dubbio la paternità di Giuseppe. L’evangelista aveva già scritto che Gesù era figlio, come si credeva, di Giuseppe. “Figlio”, in quella cultura, non indica soltanto colui che è nato dal padre, ma colui che gli assomiglia nel comportamento, quindi evidentemente Giuseppe condivideva gli ideali nazionalistici, violenti, del resto degli abitanti di Nazaret.
Ebbene Gesù, anziché cercare di placare gli animi, di spiegarsi meglio, rincara la dose. Cita un proverbio conosciuto, “Medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde in quella Cafarnao”, viene usato un dispregiativo perché Cafarnao era luogo di confine, dove c’era una popolazione mista ebrea-pagana, “fallo anche qui nella tua patria!”
E sono di nuovo le tentazioni del diavolo. Il diavolo ha tentato Gesù affinché esercitasse le proprie capacità a proprio vantaggio. E Gesù rifiuta. E questa tentazione del diavolo si ripete nell’attesa dei nazaretani, che Gesù usi qualcosa a proprio vantaggio, e a vantaggio soprattutto dei nazaretani.
E poi la dichiarazione drammatica di Gesù: “In verità vi dico”, quindi è un’affermazione solenne, “nessun profeta è ben accetto nella sua patria”. E questo sarà sempre lungo la storia dell’umanità. Il profeta non è colui che viene a ripetere la dottrina conosciuta, ma colui che, per la propria esperienza di Dio, crea formule, nuovi atteggiamenti e nuovi modi di rapportarsi a Dio. E questo viene sempre rifiutato.
E Gesù addirittura rincara la dose mettendo il dito della piaga di Israele, e tira fuori dal dimenticatoio due episodi che i nazaretani preferivano non ricordare, due episodi nei quali l’azione di Dio, in situazioni di grave emergenza, anziché dirigersi agli ebrei, si rivolse proprio ai pagani. Quindi Gesù ricorda le azioni di Elia ed Eliseo - il primo nella situazione di grande carestia, tre anni e sei mesi, - quando l’azione di Dio non si rivolse al popolo di Israele, ma a una vedova a Sarepta di Sidone. Quindi a una pagana.
Per Dio non ci sono popoli eletti, popoli prediletti, ma il suo amore si rivolge a tutti quanti. Qui Gesù non fa altro che riallacciarsi a quello di cui più volte i profeti avevano ammonito, specialmente Amos che diceva che Dio amava perfino i filistei, i nemici storici di Israele. Quindi l’amore di Dio viene attratto dove ce n’è più bisogno, non verso chi lo merita o pretende dei diritti speciali. Ugualmente la piaga della lebbra, che era terribile, l’unica volta che un lebbroso è stato guarito da un profeta si trattava di un pagano. Addirittura, più in generale, di un esercito nemico.
Ebbene, questo è troppo. All’udire queste cose, tutti … gli stessi che prima gli erano contro, si riempirono di sdegno. E la predica di Gesù si conclude in una maniera drammatica. La prima volta che Gesù predica in una sinagoga di Nazaret, la risposta del popolo quale sarà? Un tentativo di linciaggio, cercheranno di ammazzarlo. Non accettano questo annunzio dell’amore universale. Quindi all’annuncio di Gesù dell’amore universale rispondono con odio mortale.
Infatti, si alzarono e lo cacciarono fuori della città, il luogo delle esecuzioni dei delinquenti, e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Tentano di ammazzare Gesù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. L’evangelista non fa altro che anticipare quello che accadrà a Gerusalemme, dove ammazzeranno Gesù, ma la sua vita sarà più forte della morte. La morte non interromperà la vita di Gesù, ma le permetterà di manifestarsi con maggiore pienezza.