sabato 26 ottobre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 27 ottobre 2019.

Chiesa di San Francesco d'Assisi - Ala (TN) 
Il Signore non è attratto dalle virtù di pochi, ma dalle necessità di molti.

Il Signore preferisce il pubblicano, il peccatore, al fariseo, il professionista del sacro e della religione il più osservante della legge.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18, 9-14). 
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio per
ché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Il commento. 
    Dio non guarda i meriti delle persone, ma i loro bisogni. Il Signore non è attratto dalle virtù di pochi, ma dalle necessità di molti. È questo il significato della parabola senz’altro più sconcertante che troviamo nel vangelo di Luca, al capitolo 18, versetti 9-14. Vediamola. “Disse ancora questa parabole per alcuni…”, quindi vediamo a chi orientata questa parabola. “…che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Questi che ritengono di essere giusti e, in base alla loro virtù, alla loro santità di vita, si arrogano il diritto di disprezzare gli altri, in questo vangelo, sono i farisei.
    Quindi l’argomento di Gesù, l’invettiva di Gesù e l’insegnamento di Gesù sono rivolti ai farisei. Infatti, scrive l’evangelista: “«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano»”. Il termine fariseo, lo sappiamo, significa ‘separato’. Separato da che? Separato dal resto della gente. Il fariseo era colui che metteva in pratica, nella vita quotidiana, i ben 613 precetti che aveva estrapolato dalla legge di Mosè, stava meticolosamente attento a non infrangere nessuno dei 1.521 divieti di lavori da compiere nel giorno di sabato, e soprattutto aveva un’attenzione maniacale rispetto a ciò che era puro e ciò che era impuro. Questo era il fariseo, un professionista del sacro e della religione ed era il più osservante della legge. Gesù ci presenta quindi i due opposti riguardo la legge: l’estremo osservante e quello che invece la ignora, o non se ne cura. Uno era fariseo, quindi, e l’altro pubblicano.
    “Pubblicano” viene da publicus, che significa ‘cosa pubblica’ ed erano i dazieri, quelli che vincevano l’appalto per l’imposta delle tasse del dazio e poi potevano mettere le tariffe che volevano. Erano dei ladri di professione, degli imbroglioni, ed erano talmente impuri che, anche se un domani avessero voluto convertirsi, non si potevano salvare. Perché? Non avrebbero potuto restituire quello che avevano rubato alle tante persone che avevano truffato. Perciò qui l’evangelista ci presenta la persona che ha già in tasca la piena santità, e l’altro che, anche se un domani volesse, vive in una condizione che si è cercato, dalla quale non potrà più uscire.
    “«Il fariseo, stando in piedi,…»” – la preghiera serve per dare l’esempio, per farsi vedere – “«pregava così»”, e l’evangelista scrive letteralmente Verso se stesso, la traduzione è tra sé, ma in greco è verso se stesso. In realtà lui non prega il Signore, ma si compiace con se stesso. La sua lode non è rivolta a Dio, ma è una lode rivolta a se stesso. È un compiaciuto soliloquio sulle proprie virtù, sui propri meriti, sulla propria santità. E, come è stato detto già all’inizio, la trave di questa santità, di questo senso di essere nel giusto, gli impedisce di vedere la realtà e per questo disprezza gli altri.
    “«Il fariseo, stando in piedi, pregava verso se stesso. O Dio, ti ringrazio perché… »” – ecco il senso di santità porta al disprezzo degli altri – “«…non sono come gli altri uomini»”. Quindi il fariseo si distingue dal resto della gente. Gli altri sono “«ladri, ingiusti, adulteri»”. In realtà Gesù è molto ironico perché proprio Gesù ha accusato i farisei di essere dei ladri. All’esterno sembrano chissà cosa, ma all’interno “sono pieni di rapina”.
    Loro sono i giusti. E, riguardo all’adulterio… l’adulterio è una immagine con la quale i profeti si riferivano all’idolatria. Ebbene il fariseo è un idolatra, perché la sua lode non è rivolta a Dio, ma ha fatto di sé stesso l’idolo con il quale compiacersi e al quale rivolgersi.
    E poi ecco che getta un’occhiata schifata verso l’altro personaggio: “«…e neppure come questo pubblicano»”. E quali sono i meriti che elenca questo fariseo? “«Digiuno due volte alla settimana»”, il digiuno di per sé era obbligatorio una sola volta l’anno, il giorno della espiazione, più altre quattro volte in ricordo di tragedie che colpirono il popolo di Israele. Ma i farisei volevano sempre fare molto di più di quello che era prescritto, di quello che tutti quanti osservavano. Allora “«…due volte alla settimana»”, esattamente il giovedì e il lunedì, in ricordo della salita e della discesa di Mosè dal Monte Sinai, “«e pago le decime»”, non solo su quanto è prescritto, ma “«su tutto quello che possiedo»”. Quindi si vanta di fare quelle cose che poi S. Paolo, che era anche lui stato un fariseo, dirà “Non servono a nulla, sono cose inutili”. Nella lettera ai Colossesi, capitolo 2 versetto 19, fa questa denuncia: “Queste cose hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità, la mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore, se non quello di soddisfare la carne”, cioè soddisfare se stesso, sono delle cose inutili. E già il Signore attraverso i profeti, il profeta Osea, afferma che il Signore non vuole sacrifici, ma vuole misericordia, quindi tutte queste cose sono cose che il Signore non ha richiesto.
    Il pubblicano, quindi il peccatore che vive in una condizione di peccato irrimediabile, fuori legge, “«Fermatosi a distanza»” – ‘distanza’ è un termine tecnico con il quale l’evangelista indica i pagani, quelli che sono proprio esclusi dal Signore – “«non osava neanche alzare gli occhi al cielo»”, il cielo è immagine di Dio, “«ma si batteva il petto»”, segno di profondo dolore, pentimento, però per una situazione dalla quale, anche se vuole, non può più uscire.
    “«Dicendo: ‘O Dio’»”, e qui il verbo imperativo non è tanto ‘abbi pietà di me’, ma ‘sii benevolo’, cioè sii misericordioso nei miei confronti, “«’peccatore’»”. Qui il peccatore, il pubblicano, dimostra d’avere una grandissima fede, sa che l’amore di Dio è talmente grande che anche a lui, peccatore, lo dimostrerà. Sa che l’amore di Dio non s’arresta di fronte a niente. L’amore di Dio è incondizionato. Ebbene, l’evangelista ci ha presentato due personaggi che sono entrambi chiusi nei confronti di Dio, ma soltanto uno, il pubblicano, ne è cosciente. Il fariseo è chiuso a Dio perché lui vede e loda soltanto se stesso; il pubblicano è chiuso a Dio perché vive una vita di peccato, di imbroglio e di truffa, però soltanto il pubblicano ne è cosciente.
    Ed ecco la sentenza inaspettata, per questo dicevamo che è la parabola indubbiamente più sconcertante di questo vangelo: “Io vi dico: «Questi»” – cioè il pubblicano – “«a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato»”, cioè in buoni rapporti con il Signore, perdonato, “«perché chiunque si esalta sarà umiliato, e invece chi si umilia sarà esaltato»”.
    Ecco la finale sconcertante di questa parabola. Che colpe ha il fariseo per non meritare la giustificazione, cioè il perdono, essere in sintonia con Dio, e che meriti ha il pubblicano per ottenere l’amore e il perdono di Dio? Nulla di tutto questo, ma il Dio di Gesù, come abbiamo detto inizialmente, non guarda i meriti delle persone, ma le loro necessità; non le loro virtù, ma i loro bisogni.

sabato 19 ottobre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 20 ottobre 2019.

Chiesa di Santa Croce - Vinci (FI). 
Se un giudice disonesto riesce a fare giustizia per non essere più importunato, quanto più il Padre, al quale non bisogna chiedere, farà giustizia ai suoi eletti.

Ma non si può chiedere al Signore che si realizzi questa giustizia, se per primi i discepoli non hanno rotto con i valori falsi della società.

Il Vangelo con commento nel seguito.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18, 1-8)
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Il commento. 
    Nel capitolo 18 del vangelo di Luca, l’autore conclude il lungo insegnamento sulla fede, che aveva iniziato nel capitolo precedente, con la richiesta dei discepoli a Gesù: “Accresci la nostra fede”. Ma la fede non dipende da Dio darla, accrescerla o meno: la fede è la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio dà a tutti. Come si è visto molto bene nell’episodio del samaritano, l’unico che torna indietro a rispondere, a ringraziare del dono della vita, e solo per lui si parla di fede.
    Nel brano che adesso vediamo si conclude questo lungo insegnamento sulla fede. Rischiando di essere fuorviati dal primo versetto che leggiamo, a comprendere che questo sia un insegnamento sulla preghiera. In realtà non è un insegnamento sulla preghiera, ma è l’assicurazione della giustizia in questa società. Quindi non un insegnamento sulla preghiera, ma l’assicurazione del compimento della giustizia in questa società. Il fine di questo brano, che adesso vediamo, è la giustizia e il mezzo è la preghiera.
    Leggiamo il capitolo 18 del vangelo di Luca. “Diceva loro” – Gesù si rivolge ai discepoli, che, vi ricordo, avevano chiesto “Accresci la nostra fede” –, “una parabola sulla necessità di pregare sempre”, quindi pregare con perseveranza, “senza stancarsi mai”.
    Questa preghiera, l’abbiamo già detto, è finalizzata a una cosa, a ottenere giustizia. È una preghiera che si risolve in un impegno da parte dei discepoli perché ci sia giustizia. E Gesù, in questa parabola, presenta una città in cui viveva un giudice, “«che non temeva Dio»”.
    Teniamo presente che è una parabola, quindi ha un linguaggio particolare, non è un insegnamento sulla preghiera, tanto è vero che mai viene nominato il Padre, il nome del Dio di Gesù in questo vangelo. Non viene nominato il Padre, colui al quale non bisogna chiedere perché conosce i bisogni degli uomini prima che questi glieli presentino, ma Dio.
    “«Né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova»”; la vedova, insieme all’orfano e allo straniero, erano le persone che non avevano un uomo che pensasse a loro, erano le persone sprovvedute, erano gli emarginati. E Dio, nel salmo 68, si dichiara difensore delle vedove.
    “«Una vedova che andava da lui dicendo: ‘Fammi giustizia’»”. Ecco il termine ‘giustizia’, importante per la comprensione di questo brano, compare per ben quattro volte. “«’Contro il mio avversario’. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: ‘Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno…»”, il ritratto che Gesù fa dell’uomo potente è molto significativo.
    Sono persone ciniche alle quali interessa soltanto il proprio interesse e non i bisogni delle persone. “«’…dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia’»”, e per la seconda volta torna il tema della giustizia, “«’perché non venga continuamente a importunarmi’»”. È curioso il termine che adopera l’evangelista, che letteralmente è “a farmi un occhio nero”.
    È tradotto con “importunarmi”, fare un occhio nero non significa tanto che questa vedova al giudice lo colpisca con un pugno, ma fare un occhio nero era un’espressione che significava “danneggiare la reputazione”.
    Questa è la parabola. “«E il Signore soggiunse»”, quindi rivolto ai discepoli, “«’ascoltate ciò che dice il giudice disonesto: ‘Ed io non farò forse giustizia’»” – e per la terza volta compare il termine giustizia – “«’ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui?’»”  Quindi, se un giudice disonesto riesce a fare giustizia per non essere più importunato, quanto più il Padre, al quale non bisogna chiedere, farà giustizia ai suoi eletti.
    Questo “gridare giorno e notte” è un’espressione della preghiera che l’evangelista prende dai salmi, il salmo 22 e il salmo 42. E che cos’è che gridano questi eletti giorno e notte verso di lui? Ebbene l’evangelista Luca è quello al quale sta più a cuore di tutti gli altri il tema della giustizia, della giustizia sociale. Per questo, già all’inizio del suo vangelo, nel Magnificat, l’inno di lode che mette in bocca a Maria e a Elisabetta, c’era scritto che il Signore ha disperso i superbi, che il Signore ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato, che il Signore ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote.
    È questa la giustizia che la comunità cristiana deve portare su questa terra, ma, perché si manifesti questa giustizia che inaugura il regno di Dio, c’è bisogno di una rottura con i valori che la società presenta. Quindi non si può chiedere al Signore che si realizzi questa giustizia, se per primi i discepoli non hanno rotto con i valori falsi della società.
    L’evangelista qui si richiama a quel desiderio di giustizia che corre lungo tutto il suo vangelo. Dice Gesù: “«Li farà aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia»”, e il termine giustizia compare per la quarta volta, “«prontamente»”. Quindi Gesù assicura che se c’è questo desiderio di giustizia, di questo cambio dei valori della società, il regno di Dio – perché di questo si tratta – si inaugura.
    Ma Gesù è dubbioso, dice: “«Il Figlio dell’uomo»”, il figlio dell’uomo indica Gesù nella sua pienezza, nella condizione divina, Gesù è figlio di Dio, in quanto rappresenta Dio nella sua condizione umana, ma è figlio dell’Uomo in quanto rappresenta l’uomo nella sua piena condizione divina.
    “«Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà»”, in questo vangelo, nel capitolo precedente, Gesù dice che il Figlio dell’Uomo verrà al momento della distruzione di Gerusalemme. Quando il tempio sarà abbattuto, questo ostacolo che impediva di manifestare la volontà di Dio al suo popolo, ecco che il Figlio dell’Uomo si manifesta, cioè si rende percepibile il progetto di Dio sull’umanità.
    “«Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»” Gesù, ai discepoli che avevano detto “Accresci la nostra fede”, aveva detto: “No, non avete fede neanche come un chicco di senape”, il granello proverbialmente più piccolo. Gesù si chiede se i discepoli hanno questa fede, cioè una rottura con questa istituzione, ce l’avranno?
    Ecco perché Gesù si chiede, in maniera dubitativa. Anche perché questo vangelo termina in una maniera drammatica. Nonostante tutto ciò che Gesù ha detto e insegnato, i suoi discepoli rimangono attaccati alle istituzioni religiose e, al momento dell’ascensione di Gesù, tornano nel tempio a lodare il Signore, quel tempio che Gesù aveva dichiarato “un covo di ladri”, loro lo ritengono ancora un luogo sacro. Ecco perché Gesù si chiede se quando verrà troverà questa fede.
    Una fede che implica la rottura con le istituzioni, con i valori della società, per inaugurare quelli nuovi del regno di Dio.

sabato 12 ottobre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 13 ottobre 2019.

Cattedrale di Santa Maria Assunta - Como.
Sotto l’immagine dei dieci lebbrosi, l’evangelista raffigura i discepoli che  sono ancora schiavi della mentalità tradizionale.
Gesù li invita ad uscire dal "villaggio". 
Nel momento in cui lasciano il villaggio, luogo della tradizione e del nazionalismo, vengono purificati. 
Solo il Samaritano, la persona considerata lontana da Dio, la persona considerata l’eretico, ritorna indietro per ringraziarlo.
Allora ecco che cos’è la fede! 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17, 11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Il commento. 
    “Aumenta la nostra fede”, avevano chiesto gli apostoli a Gesù. Ma Gesù aveva obiettato che la nostra fede non può essere aumentata da lui, perché la fede non è un dono di Dio agli uomini, ma la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio fa a tutti. Con questo interrogativo degli apostoli era iniziato il capitolo 17, e adesso, verso la conclusione di questo capitolo, vediamo proprio la risposta dell’evangelista su “che cos’è la fede”.
    Scrive Luca che “Lungo il cammino verso Gerusalemme”, Gesù sta andando a confrontarsi, a scontrarsi con la città santa, “Gesù attraversava…”; è strano, Gesù è con i discepoli e gli apostoli, ma adesso sembra come se ci fosse solo lui. Perché questo? Perché i discepoli in realtà non lo seguono, lo stanno accompagnando, ma ancora sono condizionati dalla mentalità giudaica e non hanno capito la novità portata da Cristo.
    “Attraversava la Samarìa e la Galilea”. Ci sono due incongruenze in questa narrazione, l’evangelista avrebbe dovuto scrivere che attraversava la Galilea, che sta più a nord e poi la Samarìa, ma Luca vuol farci comprendere che, al di là del racconto, della cronaca, la sua è una lezione di teologia e, sotto la figura di questi lebbrosi, l’evangelista vuole rappresentare i discepoli. Sono loro che sono ancora condizionati da una mentalità che impedisce di accogliere il messaggio di Gesù.
    “Entrando in un villaggio”, questo è un termine tecnico adoperato dagli evangelisti; il villaggio è il luogo della tradizione, è il luogo dove si fa difficoltà a comprendere e accogliere la novità portata da Gesù. Quindi, quando nei vangeli appare il termine villaggio, è sempre indice di opposizione o di incomprensione verso Gesù.
    “Gli vennero incontro dieci lebbrosi”, ecco un’altra anomalia. I lebbrosi non potevano vivere in un villaggio. Come mai questi lebbrosi stanno nel villaggio, che era impossibile? I lebbrosi dovevano vivere al di fuori dei luoghi abitati. Allora l’evangelista vuol far comprendere che questi qui sono lebbrosi proprio perché vivono nel villaggio. È il villaggio, il luogo della tradizione, il luogo del “si è sempre fatto così”, che li rende impuri. Quindi, sotto l’immagine di questi lebbrosi, l’evangelista raffigura i discepoli che ancora sono schiavi della mentalità tradizionale.
    “Che si fermarono a distanza”, quindi rispettano la legge. Il libro del Levitico chiedeva ai lebbrosi di stare a distanza dalle persone; “E dissero ad alta voce: «Gesù …»”, ecco un altro indizio del fatto che si tratta dei discepoli, si rivolgono a Gesù chiamandolo non tanto “maestro”, quanto “capo o duce”, che è l’epiteto con il quale i discepoli, soltanto i discepoli, si rivolgono a Gesù in questo. Perciò l’evangelista, sotto l’immagine dei lebbrosi, intende raffigurare i discepoli, ancorati a una tradizione religiosa che impedisce loro di scorgere la novità portata da Gesù.
    “Appena li vide Gesù disse loro: «Andate a presentavi ai sacerdoti»”. I sacerdoti fungevano da sorta di ufficio di igiene per certificare se la lebbra – sotto la voce lebbra venivano definite tante altre malattie della pelle – fosse sparita.
    “E, mentre essi andavano, furono purificati”. Non sono purificati quando arrivano dai sacerdoti, ma sono purificati mentre andavano. Era il villaggio che li rendeva impuri, era il villaggio che li rendeva lebbrosi. Nel momento in cui lasciano il villaggio, luogo della tradizione e del nazionalismo, vengono purificati. Quindi, quando si esce dal villaggio.
    “Ma uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù…”, quindi riconosce in Gesù l’autorità, la condizione divina, “… ai suoi piedi per ringraziarlo.” È lo stesso verbo da cui deriva poi la parola ‘eucaristia’, “ed era un Samaritano”. Cioè la persona considerata lontana da Dio, la persona considerata l’eretico, il meticcio, è colui che ritorna indietro per ringraziarlo. Allora ecco che cos’è – adesso lo vedremo – la fede.
    E infatti “Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio”, rendere gloria a Dio era un privilegio considerato esclusivo di Israele, “all’infuori di questo straniero”. Il termine ‘straniero’, adoperato soltanto da Luca nel Nuovo Testamento, con questa espressione ‘allogeno’, è lo stesso che si ritrovava nella cancellata, dalla palizzata, che divideva nel tempio l’ingresso dei pagani da quello dei giudei. Anche i non ebrei potevano entrare nel tempio, ma c’era una palizzata, un recinto con delle targhe, dove c’era scritto: “che nessuno straniero”, lo stesso termine adoperato qui da Luca, “entri all’interno della palizzata del recinto, perché, se viene sorpreso, dovrà incolpare se stesso della morte che seguirà”.
    Quindi era proibito avvicinarsi al Signore. Qui invece è il Signore che attira gli stranieri e cosa dice? “E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!»” Sono stati purificati tutti e dieci, ma soltanto per quello che ritorna e riconosce l’autore di questa purificazione. Quindi è la prova, come dicevamo all’inizio, che la fede non è un dono che Dio fa agli uomini, il dono d’amore Dio lo fa a tutti quanti questi lebbrosi, ma la fede è la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio fa a tutti quanti.

sabato 5 ottobre 2019

Il Vangelo con commento di domenica 6 ottobre 2019.

Chiesa della Madonna della Pace - Kamauz, Frassilongo (TN). 
La fede non è un dono che Dio fa e che quindi può essere accresciuto da Dio, ma la fede è la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio fa.
E questo dono d’amore deve essere manifestato in una altrettanta offerta d’amore agli altri.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17, 5-10)
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Il commento.
    I brani che la liturgia ci presenta devono sempre essere sempre inseriti nel contesto, altrimenti il loro significato ne può venire snaturato. Ad esempio per questo capitolo 17 del vangelo di Luca, la liturgia ci presenta cinque versetti, dal 5 al 10, ma vediamo come iniziava questo capitolo.
    Gesù inizia con un monito molto severo verso chi è causa di scandalo, dice che per lui sarebbe meglio se si mettesse una pietra da mulino al collo e venisse gettato in mare. Lo scandalo – cioè ‘far inciampare’ – è rivolto ai piccoli. Il termine greco adoperato dall’evangelista è micron che significa ‘gli ultimi, gli invisibili’. Allora Gesù ha parole molto severe; dice: “Chi fa cadere, chi fa inciampare gli ultimi”, gli ultimi della società che avevano pensato di trovare nella comunità di Gesù quell’ideale di amore e di fraternità. E qual è il motivo dello scandalo? Il motivo dello scandalo lo dice Gesù con parole molto severe: “Attenti a voi”. E dice “Se tuo fratello commette una colpa, rimproveralo, ma se si pentirà perdonagli”.
    Quindi il motivo dello scandalo, che fa inciampare, che fa cadere i piccoli, è la mancanza di perdono. Hanno sentito parlare del gruppo di Gesù dove l’amore è l’unica legge, dove il perdono vicendevole, e dopo trovano rancori e risentimenti come ovunque.
    E Gesù, parlando ai suoi, dice: “E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te, e sette volte ritornerà a te dicendo ‘ sono pentito’, tu gli perdonerai”. Gesù sta invitando i suoi ad essere figli dell’altissimo. Gesù aveva detto già nel capitolo 6 di questo vangelo che il Padre, l’altissimo, è colui che ha un amore incondizionato verso gli uomini, che ama pure gli ingrati e i malvagi.
    Gesù propone ai suoi discepoli di arrivare a questo livello, avere un amore simile a quello del Padre, a quello di Dio, cioè un amore incondizionato e pertanto un perdono illimitato.
    Questo sembra troppo ai discepoli che infatti intervengono. Questo è il brano che la liturgia ci presenta. “Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!»” Di fronte all’esigenza di Gesù di un amore che sia simile a quello di Dio, loro non se ne sentono capaci e chiedono un aiuto a Dio, chiedono di accrescere la fede. Ma la fede non può essere aggiunta o accresciuta da Dio perché la fede non viene data da Dio, ma è la risposta al dono d’amore che Dio fa a tutti. Come si vedrà poi in seguito nell’episodio dei dieci lebbrosi, dove solo uno torna indietro; e di questo che torna indietro a ringraziare per questo dono d’amore, Gesù parla di fede.
    Quindi la fede non è un dono che Dio fa e quindi può essere accresciuto da Dio, ma la fede è la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio fa. E questo dono d’amore deve essere manifestato in una altrettanta offerta d’amore agli altri.
    Ecco perché Gesù replica e dice: «Ma il Signore dice: ‘Se aveste fede quanto un granello di senape…’»”, cioè il chicco è proverbialmente il più piccolo, “«… potreste dire a questo gelso»”, o sicomoro, “«Sradicati e piantati nel mare»”. Il mare è il luogo dove Gesù aveva detto che doveva andare colui che è autore dello scandalo, quindi quello che fomenta lo scandalo, questa difficoltà, deve essere sradicata.
    E, proprio per questo invito ad essere figli dell’altissimo, Gesù continua con delle parole che sono in aperta contraddizione con quanto lui in precedenza aveva affermato nel capitolo 12. Nel capitolo 12, usando le stesse immagini, Gesù aveva parlato di un signore che torna a casa a notte fonda, trovava i servi ancora in piedi e cosa fa? Dice: “Li farà mettere a tavola, si cingerà le vesti e si metterà a servirli”.
    Era l’immagine dell’Eucaristia, dove il Signore, a quelli che l’hanno accolto e con lui e come lui orientano la propria vita per il bene degli altri, comunica la sua stessa energia, la sua stessa capacità d’amore. Qui abbiamo tutto il contrario: mentre Gesù parla di un signore che si cinge le vesti, qui il padrone dice al servo “cingiti le vesti”, atteggiamento di servizio.
    Mentre Gesù aveva parlato di un Signore che fa mettere i suoi a tavola, qui dice che è lui che si mette a tavola e, mentre aveva detto che sarebbe passato a servirli, qui dice che lui ordina e comanda “Servimi!”
    E poi continua: “«Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato…»” – ordinare è un verbo che richiama l’obbedienza alla legge dell’Antico Testamento –, “«…dite ‘Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare’.»”
    Qual è il significato di questa espressione che contraddice apertamente quanto Gesù aveva detto? Gesù vuole rendere i discepoli Figli di Dio, cioè liberi, ma questa libertà si ha soltanto con un amore simile a quello del Padre. Gesù vuole portare i suoi verso la nuova alleanza da quella antica, quella basata sull’obbedienza alla legge del Signore, a quella dell’accoglienza dell’amore del Padre. Quindi Gesù vuole rendere i discepoli Figli di Dio, per farlo bisogna innalzare la soglia del proprio amore e, per fare questo, bisogna abbandonare quel rapporto servo-Signore che era stato imposto da Mosè. Mosè, servo del Signore, aveva imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore, basata appunto sull’obbedienza, in cui l’uomo era un servo.
    Ma Gesù, il Figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, non più basata sull’obbedienza, ma sull’accoglienza del suo amore. Se non lo faranno, rimarranno sempre nella condizione di servi.